Privacy dissociata

Il digitale ha ridefinito i confini tra pubblico e privato ed ha al contempo ricombinato aspetti tradizionalmente separati della nostra vita pubblica e privata. Tuttavia le cose, inevitabilmente, si complicano quando si tratta di andare a definire le misure necessarie per garantire la privacy

Immagine distribuita da Flickr con licenza CCO

La privacy, svegliatasi una mattina da sogni agitati si trovò trasformata in un insetto immondo…. La sera precedente la malcapitata aveva letto la parte del questionario che la riguardava…

Da fonti bene informate sono riuscito ad ottenere copia di quel questionario che era stato causa del suo profondo turbamento, anzi per essere più corretti della sua metamorfosi dissociativa. Eccolo in anteprima per i lettori di Tech Economy.

Al di là delle contraddizioni tra valutazioni positive e negative della tecnologia digitale cui siamo ormai abituati, l’80% del campione sostiene che la tecnologia digitale imporrà una profonda revisione della privacy e il 75% una profonda revisione dei rapporti personali, il ché è peraltro sotto gli occhi di tutti. Il digitale ha ridefinito i confini tra pubblico e privato ed ha al contempo ricombinato aspetti tradizionalmente separati della nostra vita pubblica e privata. “Da sempre ci siamo preoccupati di curare e mostrare il nostro aspetto esteriore in occasioni pubbliche: la festa, la passeggiata, lo shopping, lo “struscio”, in cui la gioventù del loco – e non solo quella – “tutta vestita a festa, … lascia le case, e per le vie si spande; e mira ed è mirata“. Eravamo invece abituati a riservare una più o meno discreta manifestazione della nostra interiorità a contesti privati, tradizionalmente ben definiti e almeno formalmente improntati a una certa riservatezza, peraltro molto relativa (il diario, la confidenza all’interno della coppia, della famiglia, della cerchia dei parenti, degli amici, dei colleghi). Erano tradizionalmente solo gli artisti che si potevano permettere di mescolare a piacere vita pubblica e privata, destando non raramente proprio per questo scandalo. Ora tutti possiamo essere scrittori di tweet e post, artisti di immagini, in cui mostriamo pubblicamente la nostra vita privata, che dunque privata non è più, ma che desideriamo rendere pubblica nei tempi, nei modi e nella quantità che a noi aggrada. Siamo dunque i novelli divi e, da buoni divi, temiamo i paparazzi, ci dimentichiamo spesso però di essere i paparazzi di noi stessi”.

Le cose, inevitabilmente, si complicano quando si tratta di andare a definire le misure necessarie per garantire la privacy. Sui principi sono tutti d’accordo. Più o meno tutti (89%) sono d’accordo che “garantire la privacy degli utenti deve essere una priorità delle piattaforme digitali“, più o meno tutti (83%) concordano sul fatto che le grandi piattaforme hanno oggi troppo potere rispetto alla possibilità di influenzare i comportamenti delle persone e (83%) sul fatto che i governi devono preoccuparsi di regolamentare in modo nuovo e più restrittivo le grandi piattaforme per garantire un modello di sviluppo sostenibile ed equo (i sostenibili digitali sono i più compatti con il 91%). Come sempre il diavolo sta però nei dettagli: per cui, in ottemperanza alla natura disgiuntiva, divisoria, del principe delle tenebre, un 81% del campione ritiene che gli algoritmi alla base delle piattaforme vadano resi noti all’utente, un 78% giudica che i dati sui comportamenti degli utenti all’interno delle piattaforme digitali siano di proprietà degli utenti, ma  il 66% del campione ritiene che gli algoritmi alla base delle piattaforme digitali facciano parte del capitale dell’azienda e siano quindi dati da tutelare con le regole del segreto industriale e il 49% del campione sostiene che i dati sui comportamenti degli utenti prodotti all’interno delle piattaforme siano di proprietà della piattaforma stessa. C’è poi un 48% degli utenti che ritiene lo sviluppo di servizi migliori basati sulla personalizzazione più importante della privacy degli utenti; la stessa percentuale del campione ritiene pure che le scelte delle grandi aziende digitali debbano essere lasciate al libero mercato con minimi interventi regolamentari.

Ma cos’è questa se non appunto una dissociazione? Cioè un meccanismo di difesa in base al quale elementi dei processi psichici rimangono “disconnessi” o separati dal restante sistema psicologico dell’individuo, un processo di dis-integrazione tale per cui la mente viene a perdere la sua capacità di integrare alcune funzioni superiori . Dissociazione non è, per fortuna, sempre sinonimo di patologia. La dissociazione può accadere a tutti noi nella vita quotidiana: gli esempi più classici sono “dimenticarsi di essere alla guida poiché assorti in altri pensieri o anche leggere un brano senza però prestare effettivamente attenzione a quanto scritto. Queste esperienze dimostrano la capacità dell’individuo di lasciarsi coinvolgere dalle proprie fantasie e di poter poi riprendere il controllo delle proprie funzioni mentali. In questi casi, la realtà dalla quale ci allontaniamo non è percepita da noi come minacciosa e gli episodi in cui ci dissociamo restano transitori”.

Anche nel caso delle diverse valutazioni che diamo della privacy, dopo l’iniziale dis-integrazione, siamo in grado – nella maggior parte dei casi – di realizzare che la privacy è una sola, come le strisce pedonali, anche se qualche volta le vediamo da autisti come una perdita di tempo e altre volte da pedoni come una salvezza – si fa per dire. La privacy in questo senso si costituisce in definitiva come un oggetto con qualità affettive opposte, in alcuni momenti buono e in altri cattivo, per cui la sua rappresentazione mentale diventa duplice: un oggetto buono quando vogliamo che le istituzioni la  difendano dalle piattaforme cattive e un oggetto cattivo quando ci fa perdere tempo perché tocca a noi preservarla, non accettando sempre tutto ma valutando attentamente quali dati condividere e quali no, quale parte della nostra vita vogliamo tenere privata e quale rendere pubblica, se e quali social frequentare e soprattutto come.

È fin troppo scontato, fors’anche  banale che la via d’uscita alla dissociazione sia l’integrazione, la paziente e consapevole attività di ricongiungere le due rappresentazioni mentali della privacy in un unico concetto non perfetto ma reale, sul quale è possibile continuare a lavorare perché la privacy non rimanga un’astrazione dissociata ma divenga una realtà che ci accompagna nella vita quotidiana.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here