Il ruolo dell’Università? Fornire gli strumenti culturali per la Sostenibilità Digitale: intervista a Giuseppe Pulina

Nostro secondo ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability è Giuseppe Pulina, Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti, è attualmente Prorettore alla Ricerca dell’Università di Sassari, oltre che Presidente dell’Associazione no-profit Carni Sostenibili

La Sostenibilità Digitale è un tema recente che, proprio per questo motivo, non sembra ancora godere di un’adeguata e diffusa attenzione. Ma che nel contesto universitario può trovare il luogo ideale nel quale svilupparsi, in termini di consapevolezza e competenze. Sono solo alcuni dei temi toccati con Giuseppe Pulina, nostro secondo ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability: Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti, è attualmente Prorettore alla Ricerca dell’Università di Sassari, oltre che Presidente dell’Associazione no-profit Carni Sostenibili. È stato, inoltre, incluso dalla rivista PLOS Biology nel 2% top scientist per citazioni ottenute nel 2020 e nel 2021, e al 621º posto nel top 1000 world animal and veterinary scientists.

Il ruolo della sostenibilità nella formazione universitaria

Quello della sostenibilità è un concetto sul quale lo sguardo del mondo universitario è attento ormai da molto tempo, e da ben prima che la questione ambientale lo ponesse al centro del dibattito. Infatti, nonostante oggi la sostenibilità sia spesso ricondotta alla sola tutela ambientale, l’attenzione verso questa dimensione rappresenta – in ordine di tempo – soltanto l’ultimo step di un percorso più ampio, che in ambito accademico ha preso le mosse dallo studio delle altrettanto importanti dimensioni economiche e sociali di questo concetto. “Le scuole di pensiero economica e sociale sono molto, molto più antiche di quella ambientale”, fa notare Giuseppe Pulina, “la consapevolezza della sostenibilità economica è la più antica: le scuole di economia nascono infatti proprio con il concetto di sostenibilità delle imprese. Allo stesso modo, la sostenibilità sociale ha spostato il concetto di progresso sociale. È soltanto cambiato l’appellativo e si sono adottate nuove modalità per leggere fenomeni che i sociologi e gli antropologi, da diversi punti di vista, studiano già da tanto tempo. Quella ambientale, che è nel tempo diventata sinonimo di sostenibilità, è quindi in ambito accademico la più recente delle tre dimensioni”.

Ad ogni modo, guardando al presente, la consapevolezza dell’importanza della formazione universitaria sui temi della sostenibilità, che sia essa ambientale, economica o sociale, è ormai totale e centrale in tutte le discipline. “Non c’è più nessuno che parli di sostenibilità senza declinarla nelle sue tre forme. Anzi, nelle sue quattro forme: ugualmente importante è infatti la sostenibilità culturale, che è probabilmente l’anima prevalente del mondo accademico”.

Dalle competenze all’etica del digitale

È però inserendo in questo quadro – sin qui positivo – la dimensione della Sostenibilità Digitale che la situazione si fa più complessa: sembra infatti esserci ancora molto da fare in termini di acquisizione di consapevolezza non solo dell’importanza, ma ancor prima del significato di questo concetto. “È un tema nuovo, che non è ancora penetrato del linguaggio e per il quale non è ancora molto chiara la dimensione in cui si colloca né tantomeno la semantica. In altre parole, il fatto che esista una Sostenibilità Digitale non è ancora entrato nella consapevolezza collettiva”, ha evidenziato Giuseppe Pulina. “Al massimo c’è chi parla di come smaltire uno smartphone, oppure delle emissioni di CO2 di una data tecnologia come può essere la blockchain. Tuttavia, nel senso in cui lo intende la Fondazione per la Sostenibilità Digitale, questo concetto non ha ancora spazio nel dibattito”.

Insomma, il significato di Sostenibilità Digitale è molto più profondo di come sembra sia attualmente percepito. Per questo è necessario maturare un diverso approccio al tema, guardando ad esso non soltanto in termini di ottimizzazione degli strumenti digitali, ma anche sotto l’aspetto delle implicazioni che gli strumenti stessi possono avere nell’ottica della sostenibilità. Sia che tali implicazioni siano positive, e dunque da valorizzare, oppure negative, e quindi da minimizzare. Ed è nel favorire la formazione di questa visione che le università possono fare molto, a partire dalle fondamenta: lavorando, cioè, anzitutto nella direzione dell’aumento delle competenze digitali perché, come sostiene Giuseppe Pulina, “se non si possiede l’alfabeto non si può capire la lingua. C’è un problema molto serio di analfabetismo digitale, che pone altrettanti importanti problemi di natura sociale: infatti, la non capacità di utilizzare gli strumenti digitali rappresenta, oggi, un fattore di esclusione. Il digital divide è una faglia molto profonda che separa, molto più velocemente di quanto possiamo pensare, chi detiene le opportunità da chi non le possiede. È per questo che vi è a livello universitario una stringente necessità di lavorare verso il raggiungimento di una forte alfabetizzazione digitale.

In secondo luogo, occorre implementare nelle università le materie dell’etica del digitale, che siano in grado di accompagnare agli aspetti relativi alla comprensione degli strumenti quelli riguardanti l’utilizzo degli strumenti stessi. Insomma: se non portiamo dentro ai percorsi universitari tanto un’attività di costruzione di competenze digitali quanto un’analisi etica delle conseguenze e dei problemi aperti del digitale, non sarà possibile implementare correttamente la Sostenibilità Digitale, perché mancherebbero gli strumenti culturali necessari per poter maneggiare questo concetto”.

Ripensare il lavoro in un contesto in trasformazione (digitale)

Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un punto fondamentale delle riflessioni di Giuseppe Pulina. Infatti, se è innegabile che il digitale possa avere un imprescindibile ruolo di abilitatore della sostenibilità, consentendo ad esempio “un monitoraggio degli indicatori di sostenibilità, o ancora una gestione sostenibile di sistemi complessi altrimenti non possibile senza un massiccio ricorso a questo strumento”, è altrettanto vero che una simile trasformazione può comportare il sorgere di problematiche significative. Ed è proprio rispetto a queste che è fondamentale disporre degli “strumenti culturali” utili, in primo luogo, a comprenderne la portata e, in secondo luogo, a identificare le giuste contromisure.

Un esempio, in questo senso, è fornito dagli enormi cambiamenti che questo contesto in trasformazione sta apportando al mondo del lavoro. “Per guardare correttamente ai possibili impatti del digitale occorre tenere in grande considerazione anche la distruzione del lavoro che il digitale stesso sta provocando”, ha sottolineato Giuseppe Pulina. “La trasformazione digitale è la big disruption: lo stravolgimento, cioè, del mondo come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Ed è in questa fase di cambiamento che, nell’esplorare il ‘nuovo’ del digitale, occorre essere consapevoli di questa sua funzione distruttiva, alla quale bisogna contrapporre una funzione costruttiva, per far sì che l’economia continui a girare. Per tale ragione, il lavoro deve oggi essere completamente ripensato. In questa prospettiva, alcune correnti di pensiero sostengono che il lavoro dovrà essere ripensato in termini di creatività, perché se i sistemi digitali arriveranno a colmare quasi tutte le funzioni programmabili, non saranno in grado di creare il ‘nuovo’. Tuttavia, questo pensiero è sempre più messo in discussione dal perfezionarsi di sistemi di IA, quali le chatbot, che sono oggi in circolazione. Dal mio punto di vista, invece, quello che dovrebbe avvenire è un cambiamento che riguardi l’emotività, la condivisione, per il quale ogni attività che realizziamo deve essere finalizzata alla soddisfazione non solo di bisogni fisici, ma soprattutto morali e affettivi. Perché in questo campo le macchine non ci sono. Non ci sono e non ci saranno. In altri termini, abbiamo bisogno di un profondo antropocentrismo, di riportare la persona al centro per ridare un senso, in questo contesto in trasformazione, alla parola ‘lavoro’”.

Una maggiore autonomia per le Università

Dalla costruzione delle necessarie competenze, alla formazione di una cultura relativa alle opportunità, ma anche ai potenziali problemi derivanti dalla tecnologia, le università hanno dunque un ruolo strategico nello sviluppo della Sostenibilità Digitale. Ma perché questo ruolo possa esprimersi al meglio, è necessario dispongano di una maggiore autonomia nella definizione dei propri percorsi rispetto a quella della quale si è potuto beneficiare fino ad ora. E questo è un tema, come evidenziato da Giuseppe Pulina, che riguarda da vicino anche le Istituzioni. “Occorre sempre tenere a mente che i percorsi universitari sono fatti dai docenti e dagli studenti. Sono convinto che se gli venisse lasciata maggiore autonomia, senza gli eccessi di burocrazia ai quali siamo abituati, l’università riuscirebbe a trovare i propri percorsi molto più rapidamente”.

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