L’AI sta trasformando il dialogo e anche il rapporto medico paziente?

L' AI risulta essere in grado di dialogare direttamente con il paziente e ciò sembrerebbe segnare un’altra decisiva tappa, quella in cui il medico sembra essere di troppo. Un sistema di intelligenza artificiale è realmente in grado di colloquiare e far diagnosi meglio dei medici?

Immagine distribuita da istockphoto

“Al centro della medicina c’è il dialogo medico-paziente, in cui un’abile anamnesi apre la strada a una diagnosi accurata, a un trattamento efficace e a una fiducia duratura”. Con queste retoricamente efficaci parole si apre l’abstract dello studio in cui si dimostra che un sistema di intelligenza artificiale riesce a colloquiare e far diagnosi meglio dei medici. Più precisamente AMIE (Articulate Medical Intelligence Explorer), un sistema di intelligenza artificiale sviluppato da Google, basato su Large Language Model (LLM) e ottimizzato per il dialogo diagnostico, ha dimostrato “una maggiore accuratezza diagnostica e prestazioni superiori ai medici su 28 dei 32 assi secondo i medici specialisti e su 24 dei 26 assi secondo i pazienti attori”.  Si è potuto osservare inoltre che “AMIE era approssimativamente equivalente ai medici di medicina generale nell’acquisizione delle informazioni, ma migliore dei nell’interpretazione delle informazioni per produrre una diagnosi differenziale accurata/completa”. “Le diagnosi differenziali fornite da AMIE sono risultate più accurate e complete rispetto a quelle fornite da un medico di medicina generale”. Non solo. “Sia gli attori pazienti che gli specialisti hanno valutato le prestazioni di AMIE superiori a quelle dei medici di medicina generale sulle metriche relative all’empatia e alle capacità di comunicazione” un risultato peraltro coerente con uno studio precedente in cui le risposte degli AMIE sono risultate più empatiche rispetto alle risposte dei medici alle domande sulla salute postate su Reddit.

Empatia

Fin qui ho riportato i dati principali dello studio „in apnea“, come, credo ogni medico, che di fronte a tali risultati sente vacillare le proprie gambe e anche le proprie radici, scientifiche, culturali e soprattutto umane. Invitabile domandarsi se sia l’AI ad essere così brava o noi così scarsi e addirittura così carenti di empatia da essere superati da una „macchina“ anche in questo ambito che siamo soliti considerare così nostro e così esclusivo, nonostante i pazienti ci rimproverino di averlo da tempo trascurato – da così tanto tempo che è lecito chiedersi se l’abbiamo mai curato.

Un inghippo?

Ecco allora che viene spontaneo immaginare ci sia un inghippo e andarlo a cercare. Gli autori dello studio ci vengono benevolmente incontro, ben sapendo che non giova, soprattutto mediaticamente, sparare sulla croce rossa. „Questo non significa affatto che un modello linguistico sia migliore dei medici nell’acquisizione della storia clinica”, si affretta ad affermare Karthikesalingam, ricercatore clinico presso Google Health a Londra e coautore dello studio, pubblicato l’11 gennaio nel repository arXiv preprint e, tra l’altro, non ancora  sottoposto a peer review. Karthikesalingam fa notare che i medici di base dello studio probabilmente non erano abituati a interagire con i pazienti attraverso una chat testuale e questo potrebbe aver influito sulle loro prestazioni. I colloqui su cui si basa lo studio sono avvenuti infatti in chat, senza che il richiedente sapesse se aveva a che fare in chat con un medico o con una macchina.

I passaggi dell’esperimento

Un articolo di Nature dal significativo titolo “Google AI has better bedside manner than human doctors — and makes better diagnoses“ (sottotitolo “Researchers say their artificial-intelligence system could help to democratize medicine.“) spiega, più chiaramente dello studio stesso, come sia avvenuto l’esperimento:

“I ricercatori hanno effettuato una prima fase di messa a punto del LLM di base con set di dati reali esistenti, come cartelle cliniche elettroniche e conversazioni mediche trascritte. Per addestrare ulteriormente il modello, i ricercatori hanno chiesto all’LLM di interpretare il ruolo di una persona affetta da una specifica patologia e quello di un medico empatico che cerca di capire la storia della persona e di elaborare potenziali diagnosi.

Il team ha anche chiesto al modello di interpretare un’altra parte: quella di un critico che valuta l’interazione del medico con la persona in cura e fornisce un feedback su come migliorare tale interazione. Questa critica viene utilizzata per addestrare ulteriormente il LLM e generare dialoghi migliori.

Per testare il sistema, i ricercatori hanno arruolato 20 persone addestrate a impersonare i pazienti e hanno chiesto loro di avere consultazioni online basate su testi, sia con l’AMIE che con 20 medici certificati. Non è stato detto loro se stavano chattando con un umano o con un bot.

Gli attori hanno simulato 149 scenari clinici e poi è stato chiesto loro di valutare la loro esperienza. Anche un gruppo di specialisti ha valutato le prestazioni di AMIE e dei medici.“

I risultati sono quelli che ho già indicato, anche se la precisazione del contesto specifico in cui è avvenuto „il dialogo“ o meglio lo scambio in chat li relativizza in parte. Per un breve momento possiamo tirare un respiro di sollievo. Ma fino a quando? Riportando la notizia dello stesso studio su Psychology Today, John Nosta afferma  „L‘intelligenza artificiale trasforma l’anamnesi medica. L’IA e i LLM stanno tracciando un nuovo corso nei dialoghi con i pazienti orientati agli obiettivi. …  Questo significa un cambiamento nella storia della medicina verso dialoghi più efficienti, guidati dall’intelligenza artificiale e orientati agli obiettivi. L’introduzione di AMIE suggerisce un impatto trasformativo sulla comunicazione in generale, non solo sulla sanità.“

Il tormentato rapporto  medico-paziente

Se andiamo a ripercorrere il tormentato rapporto medico-paziente, nel  prezioso anche se datato libro di di Edward Shorter, (1982), apprendiamo che nella storia si sono succeduti diversi modelli di medici e di pazienti o meglio sarebbe dire di rapporti tra medico e paziente.

I medici tradizionali, secondo la visione ippocratica, si basavano su scarse conoscenze scientifiche, erano privi di tecnologia diagnostica e di farmacologia specifica, assumevano una posizione paternalistica nei confronti dei pazienti che li accettavano a loro volta con obbedienza e senza discussione.

Il medico moderno, secondo Shorter, è nato tra la fine del XIX secolo e il 1950, grazie alla possibilità di individuare la natura della malattia, di formulare diagnosi, più o meno, esatte e di proporre un’alleanza medico-paziente: “sembra proprio che il malato e il medico si siano messi a collaborare per ottenere l’identico risultato, l’uno con la fiducia e il buon senso, l’altro con la spiegazione chiara e convincente della materia di cui trattasi”

Il medico postmoderno, attuale, può contare su uno sviluppo tecnologico e farmacologico senza precedenti ma si incontra e talora si scontra  con pazienti sempre più scientificamente informati ed attenti anche ai segnali emotivi e fisici del proprio organismo e  pronti a contestare l’autorità medica. Internet è stato da questo punto di vista uno spartiacque decisivo, segnando la possibilità di accesso a chiunque del sapere medico ma mettendo al contempo in crisi il rapporto di fiducia tra medico e paziente. L’utopia dello studio aperto, dell’ambulatorio che sia apre al mondo e accoglie con benevolenza informazioni e sollecitazioni che vengono dall’esterno si è spesso trasformata in una prova di forza tra autorità medica e diritti del paziente che ha scontentato entrambi.

Una nuova tappa

Ora l’introduzione, tutta peraltro da affinare, di un’intelligenza artificiale in grado di dialogare direttamente con il paziente sembra segnare un’altra decisiva tappa nel rapporto medico-paziente, quella in cui il medico sembra essere di troppo. Naturalmente gli autori dello studio in questione sono i primi a ribadire che il colloquio con l’intelligenza artificiale non può sostituire quello con il medico, che i risultati devono essere interpretati con cautela ed umiltà. Dichiarazioni di principio già sentite mille altre volte in altri campi. Quando però il colloquio medico con l’AI diverrà sufficientemente sicuro e soprattutto economicamente redditizio, sappiamo cosa ne sarà di queste dichiarazioni di principio. Belle parole scritte sulla sabbia. Così come ora i tempi per il colloquio medico, la diagnosi e la terapia vengono sempre più contingentati, ridotti e spremuti all’insegna di una presunta efficienza, presto potrà risultare ancora più efficiente e dunque economicamente redditizio affidare la valutazione diagnostica all’AI.

Non mi scandalizzo affatto. La tormentata storia del rapporto medico-paziente ci insegna che il paziente ha dovuto sopportare di ben peggio e il medico pure. In fin dei conti la prospettiva è quella di avere una diagnosi migliore, più veloce e proposta con maggior tatto. Non proprio una catastrofe! Il punto è, come insegna qualcuno, porre la domanda giusta? Di che cosa o di chi ho bisogno per che cosa? Per sapere se ho una congiuntivite, una sindrome del tunnel carpale alla mano, etc. potrebbe diventare forse sempre più  comodo e sicuro consultare i prossimi modelli sempre più avanzati di AMIE piuttosto che il medico curante del quale non mi fido.  AMIE potrebbe contribuire a formare meglio i medici, aiutandoli a concentrarsi sulle domande principali e a tralasciarne altre non rilevanti. Non solo. AMIE e la sua immagino numerosa progenie potrebbe diventare anziché un rivale, come spesso è stato e continua ad essere con Internet, un nuovo terreno di collaborazione tra medico e paziente, il simbolo di un patto di fiducia tra i due. A me non dispiacerebbe affatto immaginare una consultazione in cui dopo aver raccolto l’anamnesi dal paziente ed avergli proposto la mia diagnosi e il mio progetto terapeutico, insieme con il paziente chiedo a AMIE cosa ne pensa, se ho trascurato qualcosa, se ho preso lucciole per lanterne, se devo prendere in considerazione altre diagnosi differenziali. AMIE prenderebbe insomma il posto di quel secondo parere che ciascuno di noi vorrebbe avere dopo un primo consulto, a maggior ragione se per un disturbo grave. Finalmente, anziché nascondersi dietro la scusa del parente medico, Internet consultato casualmente e senza necessariamente dover ricorrere al parere di un secondo specialista, sia il medico che il paziente avrebbero a disposizione uno strumento che migliora non solo la competenza e la precisione scientifica ma anche l’onestà intellettuale e dunque il rapporto di fiducia tra i due. Perché, come diceva Balint, ben prima di AMIE, “il medico è la medicina”.

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