Dal mondo accademico a quello industriale, passando per i policy maker: è dalla capacità di messa a sistema di questi diversi mondi, per un obiettivo congiunto, che passa il futuro della Sostenibilità Digitale. Di questo e altro abbiamo parlato con Giovanni Vaia, nel nuovo appuntamento con la rubrica University 4 Digital Sustainability; laureato in Economia Aziendale all’Università degli Studi di Napoli, si interessa sin da subito di digitale e in modo particolare alla progettazione organizzativa, con focalizzazione specifica sui sistemi informativi, la governance delle reti, l’Outsourcing IT. Dal 2011 all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha fondato e dirige il Digital Enterprise Lab (DEL) e insegna Global Sourcing e Digital Management.
Sostenibilità, un’attenzione crescente
In forte crescita, negli Atenei italiani, l’attenzione nei confronti della sostenibilità. Ne è convinto Giovanni Vaia, secondo il quale – confermando quanto evidenziato in diverse interviste per questa rubrica – questo tema comincia ad essere presente in pianta stabile nell’offerta formativa delle università del nostro territorio. “In Ca’ Foscari, l’Ateneo che vivo quotidianamente e nel quale lavoro, quello della sostenibilità è un argomento molto presente”, ha spiegato, “abbiamo, ad esempio, un corso di laurea magistrale in Management e sostenibilità, oltre che tutta una serie di corsi dedicati a questo tema. Non solo, abbiamo anche un laboratorio di ricerca, il Sustainability Lab, nell’ambito del quale vengono anche realizzati dei seminari periodici sulle diverse tematiche della sostenibilità con l’obiettivo di fornire una formazione continua.
Allo stesso modo, la mia percezione derivante dalla partecipazione a diversi convegni, gruppi di lavoro e così via, rilevo che anche nelle altre università italiane la sensibilità sul tema sia molto elevata. E non soltanto rispetto all’ambiente: noto, infatti, una forte crescita nell’attenzione anche verso temi di natura etica e sociale in senso generale”.
L’impatto sociale delle nuove tecnologie
In altri termini, nelle università ci si rende conto che sostenibilità non è soltanto sinonimo di attenzione per l’ambiente, e che esistono altri fondamentali elementi che non possono essere trascurati. E questo aumento di consapevolezza, secondo Giovanni Vaia, è strettamente correlato alla trasformazione digitale in atto. “Mentre problematiche come il riscaldamento globale hanno contribuito ad innalzare l’attenzione verso la sostenibilità ambientale, oltre che a sensibilizzare gran parte della popolazione, ritengo che sui temi etici e sociali un impulso decisivo lo abbiano dato le nuove tecnologie, in particolar modo l’Intelligenza artificiale: oggi si analizza l’impatto di queste tecnologie, che hanno già marginalizzato alcune categorie professionali e fatto scomparire delle altre, oltre che temi relativi alla privacy nell’uso di questi strumenti e molto altro ancora”.
Insomma, quello che si osserva è un grande fermento nell’esaminare il cambiamento in corso, con tutte le sue implicazioni verso importanti elementi di sostenibilità. Ma se questi argomenti cominciano oggi a ritagliarsi un ruolo importante, ciò che ancora sembra mancare nelle università è una focalizzazione specifica sul concetto che li racchiude: quello della Sostenibilità Digitale. “Mentre nelle università si discute oramai in modo diffuso sulla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni, raramente è possibile trovare un filone specifico sulla sostenibilità digitale. In altre parole, seppure in diversi contesti, ci si occupa delle interconnessioni tra la sostenibilità ambientale, economica e sociale e la trasformazione digitale, ma senza un focus particolare su questo tema di cruciale importanza”.
Il cambiamento culturale può partire dalle università
Per colmare adeguatamente questa mancanza, però, occorre introdurre le persone ai concetti e alle competenze utili a padroneggiare entrambe le trasformazioni, quella digitale e quella della sostenibilità. Per arrivare a far comprendere, poi, l’importanza di declinare l’una sull’altra. “Guardando alla sostenibilità come un elemento che deve essere attentamente gestito, le competenze di base che le persone dovrebbero acquisire sono quelle che riguardano la gestione di imprese, enti e territori”, ha spiegato Giovanni Vaia. “Se questo è vero, nelle università dovrebbero esserci insegnamenti come Strategia e Innovazione per la Sostenibilità, e anche Economia Industriale per la Sostenibilità o Misure di Performance per la Sostenibilità. Insegnamenti uniti, ovviamente, alla formazione sui principali framework e obiettivi che sono stati definiti sul tema dalla comunità europea e il resto del mondo.
Quanto alle competenze digitali, invece, nelle università si sta facendo ancora troppo poco. E questo è un serio problema, considerando che i ragazzi di oggi sanno usare i Social Media più che il digitale in senso generale: se si chiede agli studenti cosa siano tecnologie come il Cloud o l’Internet of Things, i ragazzi fanno ancora fatica a rispondere. A mio parere, ciò dipende dal fatto che queste materie non sono ancora obbligatorie: per questo motivo ritengo fondamentale la presenza di esami di base relativi al digitale, per trasferire i fondamenti per la conoscenza e l’utilizzo dei nuovi strumenti.
Le persone, poi, andrebbero formate all’uso del digitale in un’ottica di sostenibilità in ogni sua declinazione. Nelle mie attività dialogo spesso con figure manageriali di grandi imprese a grosso impatto, e ciò che noto è che chi si occupa di digitale, e nella programmazione degli investimenti, include ancora troppo poco la sostenibilità. Ad esempio, nella creazione di un data center si considera ancora molto quale potrebbe essere l’impatto per l’azienda, e poco quali tecnologie e servizi potrebbero aiutare a ridurre l’impatto dei suoi consumi. Un cambiamento culturale nelle persone, però, può avvenire a partire dalle università: ciò presuppone, tuttavia, che i ‘vecchi’ insegnamenti vengano oggi ridisegnati ponendo la sostenibilità al centro di tutto”.
Il digitale tra rischi e grandi opportunità
In questa direzione, usare il digitale in modo sostenibile significa minimizzare i rischi di un suo errato utilizzo e sfruttare, d’altra parte, le grandi possibilità che è in grado di abilitare. “È un dato di fatto: il digitale, essendo molto energivoro, può danneggiare l’ambiente quando non adeguatamente implementato”, ha evidenziato Giovanni Vaia. “Dall’altra parte, però, le tecnologie possono aiutarci ad adottare comportamenti maggiormente sostenibili, così come trasformare determinati modelli di business in modo che consentano di risparmiare nell’uso delle risorse ambientali. Pensiamo ad esempio a un fenomeno fortemente abilitato dal digitale e che riguarda da vicino anche l’economia: la sharing economy, un nuovo modo di fare business e di generare valore per gli imprenditori, che ha alla base il concetto molto interessante e potente della condivisione. Si tratta non di creare nuovi prodotti o nuovi asset, ma di condividere quelli che oggi abbiamo già a disposizione. Questo genera un impatto altamente positivo, che dovrebbe essere maggiormente comunicato affinché possa entrare a far parte dello stile di vita di ogni individuo”.
Il tema del trade-off tra rischi e opportunità vale anche per l’impatto sociale della tecnologia, evidenziando ancora una volta l’importanza di utilizzare adeguatamente uno strumento dall’enorme potenziale. “Il digitale rischia senz’altro di enfatizzare aspetti negativi quali i divari, le diseguaglianze e così via. Dall’altra parte, però, è fonte di grandi opportunità: consente ad esempio alle persone ai margini geografici o sociali, di entrare facilmente in reti di lavoro, di informazione, di collaborazione. E può essere, inoltre, un grande abilitatore di servizi in grado di sostenere per esempio le classi più svantaggiate della popolazione”.
L’importanza di fare sistema
Ma per comprendere i potenziali benefici della trasformazione digitale e riuscire a sfruttarli per costruire un domani migliore, occorre supportare e diffondere i principi della sostenibilità digitale. Un obiettivo cruciale che, secondo Giovanni Vaia, richiede un deciso impegno da parte delle università e di tutti gli attori coinvolti in una logica di sistema. “Ci vuole un grande piano culturale efficace e continuo a supporto di un diverso piano industriale, e ciò può essere fatto dai policy maker, dalle università, dagli industriali, dalle organizzazioni di lavoro. Soltanto dalla messa a sistema di tutti questi mondi, sul lungo periodo, potremo ottenere dei risultati. Tuttavia ad oggi ognuno di questi attori continua a guardare al proprio orticello, perdendo di vista l’obiettivo finale”.
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