Agenda Digitale e standard

L’Agenzia per l’Italia Digitale, dopo le dimissioni di Alessandra Poggiani, è di nuovo alla ricerca di un direttore generale in grado di dare un indirizzo all’agenda digitale. Un vuoto importante, perché l’agenda digitale è fondamentale per il futuro dell’Italia, che proprio nell’ambito della cultura digitale – a tutti i livelli – è profondamente arretrata rispetto a quello che dovrebbe essere il percorso ideale segnato dall’evoluzione della tecnologia.

Un percorso che vede, purtroppo, tutti più o meno arretrati allo stesso modo (compresi i Paesi che vengono portati come esempio), in quanto l’agenda digitale globale – che nasconde interessi economici di dimensioni significative – ha subito l’influenza delle aziende (i cui destini potrebbero variare sensibilmente in funzione dell’evoluzione dell’agenda digitale stessa).

innovationCerto, la difesa degli interessi commerciali è un diritto delle aziende, ma la difesa a scapito degli interessi dei cittadini lo è un po’ meno.

Per questo motivo, sarebbe bello che insieme agli investimenti sulla connettività (la banda larga nelle case e sulle dorsali delle reti mobili) che premiano le aziende che producono i diversi apparati di rete e allo stesso tempo vanno a vantaggio dei cittadini, ci fossero investimenti sugli standard, che invece vanno in direzione contraria rispetto agli obiettivi commerciali delle aziende che sviluppano software proprietario. Queste ultime, infatti, adottano il lock-in – determinato dall’uso di un formato proprietario o pseudo standard – come strategia per la difesa delle proprie quote di mercato, andando contro gli interessi dei cittadini.

I formati standard e aperti “sganciano” il singolo documento dal software con cui è stato creato, in quanto permettono di aprirlo, modificarlo, stamparlo e salvarlo – e forse mi dimentico di qualcosa – con qualsiasi software che gestisce il formato standard. In pratica, il formato ODF – standard e aperto – permette di gestire i documenti modificabili nello stesso modo in cui il PDF permette di gestire quelli non modificabili, ovvero in modo del tutto trasparente.

A ben vedere, in questa pagina, c’è un’indicazione precisa per ODF e PDF, che vengono indicati come unici standard aperti e quindi validi per l’interoperabilità. Il problema è che l’indicazione viene disattesa dagli stessi dipendenti dell’AgID, che continuano a usare formati proprietari pseudo standard, contravvenendo a quello che essi stessi hanno contribuito a definire in modo corretto.

I documenti che indicano le competenze che dovrà avare il nuovo direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale confermano questa tendenza, tanto che l’elenco riflette esattamente gli obiettivi di business delle grandi aziende ICT (che non sarebbe, in teoria, sbagliato, se integrasse anche quelle competenze che non riflettono questi obiettivi, come la definizione delle regole per l’adozione degli standard aperti).

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Fino a oggi, solo il governo del Regno Unito – e in misura minore quello dei Paesi Bassi – hanno avuto il coraggio di indicare una strada diversa, e di fare una scelta in funzione degli interessi dei cittadini e non di quelli delle aziende, imponendo i due standard aperti per lo scambio dei documenti con il governo.

Tra l’altro, il governo del Regno Unito è arrivato a questa decisione dopo un processo di valutazione che è durato due anni, e ha coinvolto esperti di standard a livello globale (compreso il sottoscritto, che è un esperto di standard solo perché quelli che dovrebbero essere i veri esperti ignorano l’argomento).

Durante questo processo sono stati individuati tutti i punti a favore di ODF e contro gli pseudo standard proprietari, e tutti i documenti sono stati pubblicati in modo trasparente. Oggi, anche le aziende che sviluppano software proprietario si stanno adeguando, per cui tutti i software per la produttività individuale – siano essi liberi o proprietari – saranno compatibili con ODF. Una vittoria per tutti i cittadini, di cui dobbiamo essere grati al governo del Regno Unito.

Tornando all’origine del ragionamento, sarebbe auspicabile che il prossimo direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale mettesse tra i primi punti della sua agenda anche un programma non tanto per la definizione degli standard aperti – perché questo, fortunatamente, è già stato fatto – ma per l’adozione degli stessi nella pubblica amministrazione, a vantaggio dell’interoperabilità, e quindi dei cittadini.

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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