Canone RAI anche per le imprese in possesso di PC e Smartphone

Un Regio Decreto, ancora in vigore dal 1938, sarebbe il cavillo legale con il quale la RAI giustifica la richiesta di pagamento del canone, giunta a 5 milioni di imprese che hanno trovato nella cassetta della posta una lettera di ingiunzione.
La motivazione? Il solo possesso di device in grado di collegarsi ad internet, come PC, Smartphone e Tablet, in grado di ricevere (potenzialmente) le trasmissioni in streaming dell’azienda pubblica.

Il testo di legge infatti  (non tenendo per questioni temporali conto degli sviluppi nel mondo delle telecomunicazioni degli ultimi 70 anni)  sottolinea come:

“Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento”.

Questo comporta quindi che chiunque possieda un device facilmente collegabile alla rete o all’antenna televisiva (inclusi monitor di PC, videoregistratori, videotelefoni ed addirittura sistemi di videosorveglianza) non può esimersi dal pagamento della tassa. Un’interpretazione che per ora ha toccato il mondo delle imprese italiane, che dovranno versare, a seconda del numero di dispositivi e dimensioni delle società, una cifra che va dai 200 ai 6.000 euro annui, per l’utilizzo di strumenti lavorativi che difficilmente in azienda vengono adibiti alla visione dei canali televisivi.

Ma la decisione di riesumare questa vecchia legge per estendere le possibilità di entrate, crea un precedente che in futuro potrebbe colpire ogni privato cittadino in possesso di tali device, che siano utilizzati per guardare le trasmissioni o meno, rendendo il canone una tassa a cui nessuno potrà più sottrarsi.

Dopo l’iniziale stupore dei dirigenti che hanno ricevuto l’ingiunzione di pagamento, non hanno tardato ad arrivare le proteste di numerose associazioni di categoria e tutela di imprese e consumatori, che ritengono assurda e pretestuosa tale richiesta, che porterebbe quasi un miliardo di euro in più nelle casse della Rai.

R.ETE. Imprese, contattata della nostra redazione per un’intervista sul caso, ha dichiarato di aver già provveduto ad inviare una lettera, firmata dal suo Presidente Marco Venturi, al Governo Monti per segnalare la situazione e richiedere “l’esclusione da qualsiasi obbligo di corrispondere il canone in relazione al possesso di apparecchi che fungono da strumenti di lavoro per le aziende, quali computer, telefoni cellulari e strumenti similari”, data la “palese iniquità della situazione”.

L’associazione ha inoltre sottolineato come “l’azienda pubblica si è di fatto sostituita al legislatore nel tradurre in regola concreta una norma che certamente non ha come scopo quello di obbligare al pagamento del canone chi utilizza i propri strumenti di lavoro per finalità intrinseche, e a volte addirittura per effetto di norme che obbligano l’impresa a dotarsene” riferendosi ad esempio all’obbligo di utilizzo della PEC per le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione.

Anche Confindustria ha diramato da pochissimo un suo comunicato stampa, definendo la richiesta della Rai “un’assurda forzatura giuridica, ma soprattutto un’iniziativa fuori dal tempo e in totale contrasto con gli obiettivi dell’agenda digitale e gli sforzi che si stanno mettendo in atto per rilanciare la crescita del Paese”. Inoltre, aggiunge il Presidente del Consiglio direttivo di Confindustria Digitale Stefano Parisi,  “la visione miope e arretrata che affiora da parte di un importante ente pubblico tecnologico come la Rai”, è considerata “un segnale molto negativo” e chiede il blocco di tale iniziativa “in netta contraddizione con la politica del Governo avviata con il Dl semplificazioni che punta all’attuazione dell’agenda digitale in Italia”

Alla mobilitazione hanno recentemente preso parte con le loro dichiarazioni anche esponenti del mondo politico, dall’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni a vari vertici del PD, tutti profondamente contrari al provvedimento della Rai:
“Non è possibile e neppure saggio per le prospettive economiche del Paese esigere la riscossione di questo canone dalle aziende e per questo ho già presentato un’interrogazione al governo”.
Questa la dichiarazione del senatore PD Gian Carlo Sangalli apparsa sul portale del suo partito poche ore fa.

 Ma anche la rete si infiamma, e la protesta dilaga su Twitter, rendendo la notizia della richiesta del canone speciale per le aziende uno dei trend del giorno.

 Finalmente l’azienda televisiva pubblica dopo tanti anni è tornata alla sua missione di partenza. Uniformare le voci ed unire gli italiani.
Purtroppo, tutta la nazione si sta coalizzando proprio contro di lei.

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