Digital Day: quali impegni per il digitale?

In occasione dei 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma si parla di centralità del digitale per lo sviluppo dell’Unione e per migliorare la qualità della vita dei cittadini in una giornata, il Digital Day, organizzata dalla Commissione europea – Direzione generale delle Reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie (DG CONNECT) e dalla Rappresentanza in Italia – e dal Governo italiano, sotto gli auspici della Presidenza maltese del Consiglio dell’Unione europea.

Quattro i temi trattati nel corso della giornata: il nuovo mercato del lavoro e la necessità di riqualificare le risorse umane europee alla luce della quarta rivoluzione industriale; industry 4,0; “supercalcolo“, ovvero il calcolo scientifico ad alte prestazioni e il relativo ecosistema, che potrà accrescere le capacità scientifiche e la competitività industriale dell’Europa; mobilità cooperativa, connessa e automatizzata, possibile grazie a 5G, intelligenza artificiale, megadati, azzeramento dei costi di roaming, standardizzazione, Internet delle cose, copertura di rete.

La Comunità Economica Europea – afferma Roberto Viola, Direttore Generale della Direzione CNECT – veniva fondata sulla base di un mercato comune per il carbone e l’acciaio, il cuore dell’industria dell’epoca. Oggi, concentrati sulle tecnologie digitali, ci poniamo lo stesso obiettivo: favorire la crescita sostenibile e la competitività dell’industria attraverso un mercato comune digitale, creando le condizioni perché l’industria possa innovare utilizzando al meglio le tecnologie digitali. Puntiamo ad un approccio inclusivo per creare occupazione di qualità tramite uno sviluppo economico sostenibile che favorisca la coesione sociale“.

Stilare una dichiarazione e prendere impegni concreti per lo sviluppo del digitale l’obiettivo perseguito dai più alti rappresentanti istituzionali e del mondo dell’industria, dell’università e della difesa dei consumatori che interverranno.

L’Italia è un importante protagonista dell’industria 4.0” ha dichiarato Stefano Firpo, Direttore Generale per la Politica Industriale, la Competitività e le Piccole e Medie Imprese del Ministero dello Sviluppo Economico. “Con questo significativo evento vogliamo sottolineare il passaggio epocale che stiamo vivendo verso un mondo sempre più digitale e ad alto impatto della tecnologia. Nell’incrocio fra digitale e industria, l’Europa può e deve costruire un concreto piano d’azione per il rilancio della propria competitività. Molti Paesi, tra cui l’Italia, hanno cominciato a farlo“.

Scommettere sul digitale il messaggio della giornata. Ma quali sono gli impegni concreti suggeriti dai nostri visionist?

Ci sono modi differenti di auspicare lo sviluppo digitale dell’Italia – afferma Mauro Lupi. “Quello in cui si chiede ad altri cosa fare (alle istituzioni, alla politica, alla scuola, ai media, ecc.) e quello in cui si realizza qualcosa di concreto. Non si tratta solo di fare il verso a Kennedy (“Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”), ma di capire che il ritardo colossale dell’Italia rispetto al digitale, non si potrà colmare realisticamente con due-tre grandi progetti. Servono invece iniziative diffuse, continuative, che toccano le esigenze del territorio e dei settori economici verticali. Occorrono progetti che superino la diffidenza verso il digitale e la mancanza di consapevolezza del suo ruolo chiave, attraverso linguaggi semplici ed esempi concreti”.

Punterei sulle persone, malgrado tutto – dice sicuro Andrea Castellani. “Smettiamo di inseguire il “digitale” come se questo fosse asetticamente scollegato dalla gente. Scuola digitale, Pubblica Amministrazione digitale, Salute digitale… Tanto digitale nelle parole, ma pochi ancora i servizi davvero utili e fruibili, insufficiente il cambiamento. Punterei sulle dinamiche tipiche della rete, della community, la condivisione delle esperienze e delle buone pratiche. Punterei cioè sul coinvolgimento vero degli utenti, per poter ripensare i processi ed i servizi digitali indispensabili nella nostra vita quotidiana. Ascoltare prima, poi agire concentrando priorità ed investimenti. Suona dannatamente utopistico, ma sinceramente non vedo molte altre strade per risaldare questo drammatico scollamento”.

Impegni da prendere? – chiede Marco AliciNe basterebbero due: l’impegno per la neutralità tecnologica, attraverso l’adozione di tecnologie standard aperte e condivise, in particolare riguardo ai formati dei file, ovunque sia possibile, e favorendone la creazione nei campi dove non esistono ancora, impegnando gli Stati membri all’adozione degli standard aperti e condivisi non solo nei confronti delle istituzioni europee, e nei confronti degli altri Stati membri, ma anche in ambito nazionale, nella comunicazione tra le istituzioni e verso i cittadini. “L’Europa parla […] circa 22 lingue, che certo non possono alimentare una aggregazione federale” (G. Sartori). L’Europa digitale ha gli strumenti per riuscire dove l’Europa delle lingue ha (finora) fallito.

Il secondo impegno dovrebbe essere quello di a promuovere una vera cultura digitale, libera ed indipendente, a partire dalle scuole. Purtroppo, almeno in Italia, probabilmente per difetto di consapevolezza, stiamo assistendo al triste fenomeno che vede le scuole appaltare la trasmissione delle conoscenze digitali alle aziende produttrici di software, che ovviamente ben volentieri, a volte addirittura gratis, si offrono di farlo, senza nessuna garanzia riguardo alla libertà e all’indipendenza, che anzi molti fatti dimostrano essere messa seriamente in discussione. Ecco, in occasione del Digital Day mi piacerebbe sentire qualcuno che dica che la cultura digitale non può essere scambiata con le istruzioni per far funzionare un programma”.

Uno sviluppo digitale – dichiara Carlo Piananon può esistere senza utenti pienamente coscienti. Purtroppo ho la sensazione che non esista, se non in pochi casi, una cultura digitale o una comprensione di cosa siano i fenomeni digitali. Servono veri cittadini digitali. Se per l’utente un “servizio digitale” è solo “una cosa che faccio col computer”, poco importa se su una pagina web, una pagina Facebook, un’app del telefonino, un web service, basta che funzioni, non avremo mai veri cittadini digitali coscienti dei propri diritti. Privacy, sicurezza, opponibilità, disponibilità, interoperabilità, servizi federati, “Internet” sono concetti vuoti, se non si capisce cosa comportano. Purtroppo l’informazione e la formazione non sono di grande aiuto.

Sul fronte pubblico servono più concorrenza, più trasparenza, più uso di standard aperti, progetti europei, non nazionali o regionali, servizi pensati in digitale, non processi cartacei riprodotti. Senza quelli ripeteremo ancora e ancora i tanti fallimenti già visti; i pochi successi saranno frutto di fortuna e impegno personale di pochi. L’amministrazione pubblica può e deve essere il motore dell’innovazione digitale, in tanti casi è il freno.
E si abolisca l’articolo 1341 comma secondo del Codice Civile (ovvero quello posto a tutela del destinatario delle clausole che, di solito, non ha potere contrattuale e può solo scegliere se stipulare a quelle condizioni o non stipulare, ndr)”.

Inclusione è la parola d’ordine per Massimo Canducci, che propone un modello per supportare il nostro Paese e tutti i suoi “digitaliani” con il digitale: “Per utilizzare correttamente il digitale in Italia come fattore abilitante per la cresciuta economica è necessario adottare una politica di aggregazione inclusiva che raccolga tutte le “digitaliane” e i “digitaliani” di buona volontà e trarre valore da questo coinvolgimento in un processo in più fasi: 1) identificare e misurare qual è il gap che ci separa da paesi più virtuosi su tutti i campi in cui le tecnologie digitali possono essere un fattore abilitanti; 2) sulla base dei risultati del punto precedente: identificare azioni concrete (poche e misurabili) su cui operare per abbattere il gap, con l’obiettivo di identificare i miglioramenti normativi che poi potranno essere portati all’attenzione del legislatore. Tutto questo con tempi stabiliti, su base volontaria e disegnando una road map evolutiva; 3) raccogliere e censire tutte le iniziative spontanee di innovazione territoriale ed individuare, per ciascuna di esse, una precisa best practice di attuazione su scala più ampia per fare in modo che non rimangano iniziative di pochi e per pochi, ma diventino di tanti e per tutti. Per ottenere questo risultato sarà necessario identificare un preciso modello di maturità di ciascuna iniziativa, dotato di strumenti adeguati e standard per abilitare la crescita di queste iniziative all’interno del modello di maturità; 4) saper raccontare i risultati ottenuti dai modelli descritti nei punti precedenti, in modo da abilitare e stimolare la nascita di nuove iniziative in un processo virtuoso e iterativo“. 

In sintesi estrema, almeno per il nostro Paese, si potrebbe smettere di organizzare tavole rotonde e quadrate dove raccontarsi le opportunità del digitale per disegnare una strategia concreta, seria, fattibile di digital transformation che parta dalla PA e possa supportare (e non complicare come spesso avviene) la trasformazione di altri settori. Un Basta Chiacchiere Intorno al Digitale Day, da un Paese al 25esimo posto su 28 se l’aspetterebbero in molti.

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