Entrare sul digitale è solo la fine dell’inizio

Se molti di noi hanno problemi con il magico mondo dei Social, in parte è anche perché non pochi decisori di questi progetti si portano dietro un imprinting forte derivante da una vita passata ad occuparsi di comunicazione tradizionale. Un po’ come le paperelle che sono cresciute convinte di essere un etologo.

L’imprinting test

La cartina di tornasole è testare come vedono ad esempio Facebook. Se il manager è preda della fortissima tentazione di pensare a una pagina Facebook come ad uno spot, una cosa che si idea per bene, si mette su e poi fa il suo lavoro da sola, il test dell’imprinting è positivo. La controprova? Spiegare che il fare una pagina è solo l’inizio del processo, che di qui in poi bisogna lavorare giorno dopo giorno, ora dopo ora. Che i clienti non si conquistano a colpi di cluster ma uno a uno. Che non si parla a fasce demografiche ma si colloquia (dove indispensabile od opportuno) con singoli clienti… ognuno del quale magari vale una decina di euro di business o poco più.

Se impallidisce e non capisce, non va biasimato: è che ha passato tutta la sua vita  a pensare in grande e a grandi colpi da una botta e via in advertising. A gloriosi sbarchi in Normandia, mentre noi coi Social ci siamo impantanati in un Vietnam da conquistare albero dopo albero, con i nativi che ci sparano addosso dalla jungla.

Fare di necessità virtù, ma pensando che le mele siano boschi di querce?

D’altra parte, in tempi di crisi i budget pubblicitari vengono facilmente falcidiati. E dato che i soldi a disposizione sono quello che sono e la pubblicità non porta più i ritorni di una volta, si tenta la carta digitale, sperando di fare, con budget a 5 o 6 cifre quello che una volta si faceva con investimenti dieci o cento volte più pesanti.

Quindi (e lo vedo nell’esperienza quotidiana del mio lavoro) escono sempre le solite richieste da parte delle aziende. Viene chiesto di studiare una pagina Facebook. Di lavorare alla creazione di una “campagna Twitter”. Di fare un’operazione su Foursquare , di creare una Community e così via. L’importante, mi raccomando, è farli “quick & dirty”. Che costino poco, si facciano in fretta e non richiedano manutenzione.

Il mondo, specialmente quello della comunicazione è cambiato tumultuosamente. Regole scolpite nella pietra sono state affiancate da nuove regole diametralmente opposte, persino assurde, se viste da fuori. Di fonte alle quali il manager imprintato scuote la testa e sostanzialmente assume un atteggiamento negazionista. Cerca di ricondurre il nuovo ai modelli dell’antico,. Quindi l’azienda (partendo dalle persone) resta quello che è, non cambia filosofia, prodotti, modus operandi e soprattutto non cambia il proprio modo di percepire e considerare i propri clienti / prospect.

Entrare nei Social diventa quindi fare “un’operazione social”. Che ci permetta di essere percepiti come “contemporanei”. Di spingere una promozione. Di spingere un programma di marketing. Il tutto, rigorosamente senza cambiare ciò che siamo. Con operazioni “Social” del tipo apri, chiudi, e poi ce ne inventeremo un altra… e tra una e l’altra ovviamente mettiamo in animazione sospesa il nostro rapporto sociale con il pubblico, smettiamo di parlare, di comunicare.

Non si può organizzare una sveltina aspettandosi un matrimonio

In sostanza si chiede un “one night stand”, magari stile “Italian Stallion” aspettandosi però che a posteriori ci si ritrovi senza sforzo e senza manutenzione, senza impegno e senza coccole con una famiglia felice, una casa in campagna, una moglie bella e fedele – senza parenti da visitare e senza matrimoni da organizzare.

 

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