Case Histories, un pericolo per le aziende?

Nel mio lavoro di formatore ho imparato che esiste un’entusiastica e plebiscitaria richiesta di esempi, senza i quali si va a casa scontenti. Perché gli esempi aiutano a capire. Di qui una inaggirabile esigenza di Case Histories, ritenute spesso la parte di pregio, anche perché danno “concretezza”.

Ora io questo lo sposo se mi insegnano una grammatica, o una matematica. Lo sposo un po’ meno se si insegna a pensare strategicamente.

Le Case History di marketing – un dono del diavolo

Non che le Case History non siano utili, anzi, ma sono anche un dono del diavolo, che sotto l’apparente utilità nasconde un frutto avvelenato 🙂

Apparentemente aiutano a capire, in realtà per troppe persone spengono il pensiero. O portano a fare grossi errori (pare che io abbia detto, una volta, che le Case History sono la madre di tutte le sciocchezze fatte dalle aziende. Se non l’ho detto comunque sottoscrivo l’apocrifo).

A meno di non essere molto allenati, un esempio è la strada più breve per uccidere la creatività, per portare il nostro cervello a immaginare solo possibili copie di quanto visto…

Ad avere successo sono bravi tutti

Una Case History in genere è una storia di successo (quelle di fallimento, molto più utili, è difficili trovarle). Un caso che ci dice come un’azienda, in una specifica situazione e in un dato momento, abbia avuto la bravura o la fortuna di imbroccarla. La Case andrebbe studiata per capire quali sono le lezioni da trarne; ma sulla mia esperienza personale troppo spesso viene pedissequamente adottata come valida e replicabile, in situazioni diverse e tempi diversi.

In fondo, non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno comune a molte attività, ma soprattutto al Marketing e al digitale: la fatica di pensare in modo originale. Se la Case mi può servire a capire che certe cose vanno fatte fuori dagli schemi va bene, ma copiare quanto già fatto mi riporta in questi schemi. Se la Case mi serve a stimolare la creatività, bene: se me la uccide, male. Se le Case servono a passare un’oretta guardando filmetti divertenti (che non potremo mai replicare, per mancanza di coraggio e di fondi da parte dell’azienda) male.

La storia la fanno i vincitori

Ma ci sono altri fattori cui prestare attenzione, ad esempio:

  • buona parte delle case histories che si trovano in Rete sono presentazioni per partecipare a qualche premio creativo. Mettono in luce quindi alcuni elementi e ne tacciono altri…
  • Buona parte delle case histories parlano di ideone, più che del lavoro che ha permesso di arrivarci: il pensiero, la strategia, il lavoro meno glamorous di mettere le fondamenta alle idee.
  • Quasi tutte le Case sono scritte da chi le ha ideate. Come sappiamo, la storia la fanno i vincitori. E la riscrivono come a loro fa più comodo.
  • Quasi tutte le Case si focalizzano su un dettaglio, più che sull’esecuzione di un piano integrato di marketing e comunicazione. E, lo sappiamo, non sono le singole ideone a risollevare le aziende, ma un lavoro a 360°.
  • Quasi tutte le Case omettono di spiegare perché una cosa ha funzionato. E se non lo capiamo, come possiamo replicare il successo? Sperando di avere la stessa fortuna una seconda volta?
  • Quasi tutte le Case di comunicazione fanno vedere quanto è grande l’idea. Ma alla fine sarebbe interessante capire come ha impattato sul business dell’azienda…

Che poi a fare questi discorsi mi sento a volte anche ipocrita, dato che il mio blog non è altro (in larga parte) che una collezione di Case di marketing e di comunicazione, digitale e unconventional… ma lo farò per venire incontro ad un mercato o perché un qualche cosa di buono queste Case Histories? Lo farò perché credo che siano come un coltello affilato che può servirci per fare il sushi come per finire sulla prima pagina dei giornali?

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1 COMMENT

  1. Il suo punto di vista è molto interessante.
    A me, però, personalmente capita a volte il contrario, ovvero citare un caso (di marketing) per sottolineare alcuni aspetti che ritengo, mutatis mutandis, utili a chi mi ascolta, e sentirmi rispondere “ah, ma da noi questa cosa non funzionerebbe mai”. E così, per pigrizia o per non ammettere che le cose si potrebbero fare diversamente, si cerca l’alibi della diversità del caso citato…
    Oliviero

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