Perché le checklist per il Social Media non funzionano?

Se fate formazione, sarà capitato anche a voi. A me capita spesso. Trovarmi davanti, in aula o in ufficio, delle persone cui parlo di Internet e dei Social Media. E rendermi conto – a volte di fronte a richieste esplicite – che quello che vogliono è una checklist.
Una serie di step da seguire, una lista dei bottoni da premere per fare (ad esempio) una operazione Social di successo.

Perché chiedono le checklist?
Chiaramente le checklist sono popolari perché danno l’idea di avere in mano uno “strumento operativo”. Di aver imparato come fare, avendo la sequenze delle operazioni da fare. Che se poi al primo passo della checklist c’è “conoscere e ascoltare il target”, non è così semplice, se uno non ci riflette a fondo e non fa esperienza. Non è come premere un bottone. Non è come dirlo.

Una spiegazione più completa e profonda l’ho trovata su un bel libro, il Cigno Nero, di Nassim Nicholas Taleb. Sintetizzo e traduco (traduttore = traditore)  dall’edizione originale.

L’informazione è costosa da immagazzinare (nel proprio  cervello) … Noi, membri della varietà umana dei primati, siamo affamati di regole, perché dobbiamo ridurre le dimensioni delle cose, affinché possano entrarci in testa. … Più sintetizziamo, più ordine imponiamo all’argomento… quindi le stesse condizioni che ci portano a semplificare, ci spingono a pensare che il mondo sia più ordinato di quanto sia in realtà”.

Questa descrizione secondo me calza perfettamente con il disperato desiderio di molte persone di ridurre il social (e, più in generale il digital) ad una cosa semplice, riportandolo alle vecchie logiche, ben note. Pensare a quali step operativi compiere, invece di riflettere a quella cosa complessa e inquietante… che fa sì che le persone interagiscano con noi, che ci critichino, che non siano più una massa passiva soggetta alla nostra pubblicità ma invece una forza attiva che, parlando, può influenzare il successo o la rovina della nostra marca.

Perché le checklist non funzionano?
a) Le checklist funzionano se sono una serie di istruzioni che si possono eseguire senza pensare. Come operare una macchina utensile o un software. Stessa situazione, stessa sequenza, sempre stessi risultati. Questo è training, non formazione.
b) Le checklist aiutano a non pensare. Quindi a non aggiungere valore.
c) Usare le checklist nei progetti di comunicazione implica che riteniamo che il nostro target sia fatto da scimmiette tonte. Basta dare la banana, sempre la stessa, e loro reagiranno felicemente e prevedibilmente.
d) Una checklist è utile come ripasso, per non dimenticare nulla. Ma se nn conosco a fondo il tema, non posso certo capirlo o impararlo da una lista. Se non ci credete, ecco una bella checklist… leggetevela. E dopo ditemi se a questo punto siete in grado di pilotare un aereo 😉

Che cosa serve, invece?
No, intendiamoci, le checklist vanno benissimo. Come passo finale di un processo. Dove prima dobbiamo imparare a volare. Anche perché mediamente i manager si sono formati e hanno fatto esperienza alla scuola del Marketing tradizionale. Una base solida  e utilissima (perché non è mica morto, anzi: sono solo cambiati dei tool e soprattutto delle prospettive).

Ma se penso che con gli stessi ragionamenti posso fare il social, è come pensare che un motoscafo, avendo anch’esso un volante, si guida più o meno come un’auto. E quindi ti devono solo spiegare dove accidenti è finito l’acceleratore e il freno, visto che non ci sono i pedali…

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1 COMMENT

  1. Contributo davvero eccellente!! Faccio questo lavoro, e penso che stamperò questo articolo e lo porterò con me per darlo ai clienti che mi chiedono esattamente quello che lei dice… ma come li convinciamo che non è possibile?

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