Scontro USA – Cina su attacchi hacker

I recenti attacchi hacker che hanno visto danneggiare alcune importanti società americane come il Wall Street Journal, il New York Times ma anche Twitter e Facebook, sembrano, a detta di molti, essere stati causati da associazioni governative cinesi.

Secondo alcuni esperti di sicurezza informatica, gli attacchi sono così sofisticati e, di conseguenza costosi, da essere moto probabilmente mossi da azioni governative. Nel post rilasciato da Facebook dopo l’infiltrazione hacker nei propri sistemi, l’attacco era addirittura descritto come “zaro-day” che in gergo sta a significare l’evento più pericoloso che si possa immaginare.

La Cina ha risposto alle accuse americane affermando di non avere alcuna responsabilità per l’accaduto. La Mandiant, la società di sicurezza informatica statunitense, ha per la prima volta ha tracciato nome, cognome e indirizzo degli hacker protagonisti di attacchi ad aziende, siti governativi e caselle di posta elettronica negli Usa che risalgono, secondo gli Usa,  all’unità 61398 dell’Esercito Popolare di Liberazione, Datong Road, Shanghai.

Secondo il rapporto della Mandiant , che lavora sia per il governo sia per grandi compagnie Usa, “studenti cinesi con eccellenti competenze linguistiche sono selezionati, divisi per gruppi, disseminati in insospettabili luoghi nei dintorni di Shanghai e quindi, proprio grazie alla loro capacità di impersonare professionisti di madrelingua inglese, incaricati di phishing.

Alle accuse mosse il 19 febbraio, il portavoce del ministero degli Esteri Cinese, Hong Lei, ha risposto dicendo che: “ogni critica infondata è irresponsabile e non professionale, e non aiuterà a risolvere il problema”, sottolineando in questo modo l’innocenza della Cina.

Gli Stati Uniti non sembrano, però, intenzionati a credere alle parole cinesi e anzi rincarano la dose affermando: “La nostra reazione contro lo spionaggio industriale sarà forte” e, presentando un piano contro il furto di segreti commerciali a scapito delle aziende americane, la Casa Bianca continua: “Gli altri governi devono riconoscere che la tutela dei segreti industriali e commerciali è vitale per il successo delle relazioni economiche. I furti di segreti commerciali sono una minaccia per le aziende americane, mettono in pericolo la sicurezza nazionale e la sicurezza dell’economia americana”.

Geng Yansheng, portavoce del ministro della Difesa Cinese, scagionando il suo paese dalle accuse fa sapere che la Cina è altrettanto sotto costante attacco hacker e si è impegnata, per questo, dal 2004 ad assistere più di 50 paesi e regioni in indagini su circa 1.100 casi di crimini cibernetici. “Inoltre”, ha riferito Geng, “la Cina ha stabilito accordi bilaterali per il rafforzamento della legge sulla cooperazione con più di 30 Paesi, inclusi Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Russia”.

Le accuse statunitensi, però, non sembrano convincere tutti, anche al di fuori della stessa Pechino. Jeffrey Carr, autore del blog Digital Dao e collaboratore di varie agenzie Usa, contesta per esempio l’accuratezza del rapporto Mandiant: “Il mio problema è che Mandiant si rifiuta di prendere in considerazione quello che tutti riconoscono nella comunità dell’intelligence: cioè che ci sono più Stati impegnati in questa attività, non solo la Cina. Se si sta cercando l’attribuzione, allora si deve fare un’analisi equa e approfondita che, attraverso l’applicazione di un metodo scientifico , esclude ipotesi contrastanti”.

A confermare la tesi di Carr è arrivata la notizia che i recenti attacchi hacker a molte delle società americane, precedentemente imputati alla Cina, sono invece riconducibili a “un gruppo di hacker dell’Europa orientale”.

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