In dieci anni di docente universitario, mi è capitato di tutto. Com’era inevitabile, anche perché io provengo dalla formazione aziendale e con un taglio certamente pragmatico: se c’è un problema cerca di risolverlo, che ti competa o no. Che si tratti di tecnologia che non funziona o di un gruppo di Rom che notte tempo ha occupato un’aula, o di una laureanda colta da improvvisa crisi di panico. Ogni volta le storie, che sono nate da questa mia tendenza al “problem solving”, mi sono ritornate arricchite dal colore che il passaparola inevitabilmente aggiunge. Quella che segue è una di queste, che racconto in terza persona perché metto insieme la vicenda vissuta e la tradizione orale degli odierni, e tecno attrezzati, cantastorie.
Una giornata uggiosa di fine inverno. Chi si fosse recato in una tal giornata di fine inverno in una delle Università di Roma per assistere a una sessione di laurea, avrebbe visto diversi capannelli di studenti, professori e pubblico discutere animatamente di un singolare episodio che aveva appena coinvolto un professore esterno.
Professore non di ruolo, ma esterno appunto, manager aziendale chiamato per “chiara fama” alla docenza universitaria. Al medesimo vengono attribuite alcune originali teorie; per taluni, occorre dirlo, più che originali semplicemente bizzarre. Come, per esempio, sostenere che le aule non si misurano in metri quadrati ma in pixel, perché le medesime sarebbero state smaterializzate dalla rivoluzione internettiana e dalla Knowledge Economy.
L’oggetto dell’intenso confabulare dei capannelli era che il professore fosse entrato di corsa nei bagni delle donne e, dopo aver allontanato con decisione le amiche e la madre di una sua laureanda in crisi d’ansia, si fosse chiuso con la medesima nel singolare ambiente. I più prossimi alla porta del bagno affermano poi di aver udito, alternativamente, la studentessa piagnucolare (“Non ce la farò mai!” e “Sono pure mezza spogliata…”) e il professore alzare progressivamente la voce: da “Il ppt è perfetto, e lavati la faccia!” a (addirittura!) “Adesso hai rotto i coglioni”, e ancora “chissenefrega, secca come sei non se ne accorge nessuno”. Le versioni dei testimoni divergono sull’esatta terminologia, ma sono sostanzialmente concordanti.
Poi il professore era uscito dal bagno, trascinando quasi di peso la ragazza verso la sala dove si discutevano le tesi, fermandosi davanti alla porta solo perché un’amica le infilasse la giacca del tailleur e un’altra le sistemasse alla meglio i capelli, peraltro bagnatissimi. Ai più attenti non è sfuggito che il professore era in maniche di camicia e che era bagnato anche lui lungo tutto il braccio destro.
Le fasi successive appaiono più confuse nel racconto dei presenti all’evento. Tuttavia emergono alcuni elementi di concordanza. Come il ripetersi ossessivo, in un serrato scambio verbale tra i due, dei termini “culo” e “così”. Diverse invece le interpretazioni su un punto fondamentale: e cioè chi fosse il terzo, destinatario del messaggio. Insomma: chi avrebbe fatto a chi, un “culo così”? Singolare conversazione in ogni caso, dato il momento, il luogo, i protagonisti, e l’apparente irragionevolezza del proposito.
La determinazione è un mantra. Un testimone peraltro ha affermato di poter ricostruire, con sufficiente attendibilità, queste pur convulse fasi. Il professore, mentre si rimetteva la giacca prima di entrare nell’aula, avrebbe intimato alla studentessa: “E basta frignare, concentrati! Che cosa devi dire? E a cosa devi pensare?” Con voce ancora incerta, la laureanda riepilogava: “Devo spiegare il concetto di netnografia, di viral unconventional… e… e gli, gli… faccio un culo così!“
A questo punto il professore avrebbe replicato che doveva essere più scandita e avrebbe ribadito, scandendo appunto, “gli/ devo/ fare/ un/ culo/ così!/… Ficcatelo in testa!” La ragazza avrebbe ripetuto, disciplinatamente e più volte (almeno tre), l’originale mantra e in maniera indubbiamente sempre più convinta. Alla fine entrambi avrebbero ripetuto all’unisono: “Sii, …un culo così!” E a quel punto sono entrati nell’aula. Alcuni dei presenti raccontano anche che la madre della laureanda si sarebbe fatta, e ripetutamente, il segno della croce. La donna appariva scossa dall’ostinata reiterazione del mantra, assai singolare in verità.
Dall’aula, riferiscono altre voci, la studentessa ormai laureata sarebbe riemersa dopo una quarantina di minuti, insieme a una folla festante di amici e parenti. Apparivano tutti più distesi. Restano controverse peraltro, quanto a interpretazione, le due battute finali, riportate con modeste varianti da testimoni concordi. Infatti, appena usciva anche il professore, la laureanda ormai laureata gli avrebbe buttato le braccia al collo farfugliando sottovoce ringraziamenti e scuse. Ma un’affermazione è stata udita da tutti, anche perché formulata con grande trasporto: “Prof, gliela vorrei dare al più presto!”. Più distaccata (ma qualcuno sostiene “imbarazzata”) la risposta: “Ma non è urgente! Per oggi hai dato abbastanza… Per un po’ non ti voglio vedere”.
Fonti ufficiali affermano che si stesse parlando, senza ombra di dubbio alcuno, “della copia nobile, rilegata e dedicata della tesi che la neo dottoressa voleva consegnare al suo mentore”. Non si può tacere, per dovere di cronaca, che sono circolate anche interpretazioni diverse. Ma si sa che la fantasia popolare ama più dei fatti le suggestive interpretazioni.
Lesson Learned (Prendo a prestito da Valentina Spotti, questa forma di sintesi che consente una “morale”): sarebbe facile dire che il fine giustifica i mezzi. Ma perché scomodare impropriamente messer Macchiavelli, quando c’è l’incisiva sintesi poetica di “RospoMiope”:
“se di laureanda il cervello è lesso
non l’abbandonar
foss’anche chiusa al cesso”
Grazie a te puntuale, goliardico e pur sottile autore che hai messo in rima l’essenza: cogliere un obiettivo è sostanza, non ci possono certo fermare i vincoli formali. Vincoli, spesso, anche ridicoli.
Cavalier Coraggio, a rischio di una denuncia per abuso di potere, Professore eroico salva giovine laureanda dalle spire dell’angoscia.
Applausi scroscianti per il gesto e per il mantra!
Avrei chiamato in soccorso te e Morena Ragone, ci puoi giurare. E non è escluso in futuro, perché non è che cambio con il tempo… Grazie Madonna Giovanna, al suo servizio il Cavaliere!
…questa laureanda ormai laureata ha un non so che di familare 😉 ! Che dire?! Non immaginavo che ci fosse stato addirittura un finale con il botto! Le dirò di più: questo aneddoto supera quello celebre della “nonna dolorante”. Impareggiabile davvero l’intervento in bagno.
Tramortito dalle risate ihihihihih! D’accordo colto il messaggio. Ma chi è questa Spotti, l’assistente quella cattiva (ok, rigorosa…)?
Ma adesso perché non racconta l’incontro con l’ENI? Prof io c’ero, è indimenticabile… Aspetto con fiducia. E l’ammirazione di sempre (ho pure ricontrollato il testo!).
Pure Vita era mitica però, mitica!
Ecco la dimostrazione che pure una tesi di laurea può diventare un best seller: aggiungendo una netarella piccola piccola e un po’ tendenziosa. A Monica Lewinsky è bastato non portare in lavanderia un abito macchiato.