Conoscete la piattaforma di democrazia partecipativa “We the People”? Titolo ad effetto (un claim che suona bene, semplice, facile da ricordare, e che richiama l’incipit della Costituzione americana) e la promessa di restituire ai cittadini il controllo della vita politica del proprio Paese. We the People è l’archetipo degli esperimenti di democrazia partecipativa online che vanno di moda da qualche tempo. Partecipare non è mai stato così facile. Ti iscrivi, puoi presentare una petizione, aspetti che altre persone la trovino interessante e aderiscano. Se raggiungi un minimo di attenzione il governo è obbligato a risponderti. Fosse anche con un “no” secco.
Dal giorno del lancio ci sono state 232 petizioni che hanno superato la soglia necessaria per ambire alla risposta ufficiale. Quota che, per inciso, la Casa Bianca ha provveduto a ritoccare in corso d’opera. All’inizio bastavano 25mila persone favorevoli. Resisi conto che il quorum era troppo basso, e che generava le richieste più assurde e insensate, i burocrati di Washington lo hanno alzato a 100mila firme.
Comunque, nonostante la soglia di sbarramento più alta, un discreto numero di petizioni raggiunge il suo scopo. Ma, di queste, quante ottengono la soddisfazione di una risposta? I dati ci dicono che la (quasi) totalità delle 232 ha avuto risposta dal governo, e in tempi relativamente brevi. La media è 61 giorni, appena due mesi, week-end inclusi.
Fatti due semplici calcoli, ne restano fuori 32. Una manciata di petizioni che è in sospeso da circa 240 giorni, ossia 8 mesi. È come se, raggiunto il quorum il primo gennaio, a fine agosto nessuno si sia ancora degnato di dare una risposta. Il che, a dirla tutta, può creare imbarazzo. Per chi è abituato a gestire questo genere di esperimenti 32 petizioni senza risposta su un totale di 232 può essere giudicato un risultato tutto sommato positivo. Così, almeno, dal punto di vista dell’amministratore pubblico, portato per natura a vedere il bicchiere mezzo pieno. Dunque: la maggioranza dei cittadini ha ricevuto la risposta che voleva. We the People funziona. Il fatto è che, visto dalla parte dei cittadini, magari proprio quelli che hanno firmato una delle 32 petizioni senza risposta, il risultato può sembrare molto deludente. Per loro We the People è una fregatura.
Questione di punti di vista. La cosa interessante è che proprio a causa delle 32 petizioni ignorate che è nato un nuovo sito, appartenente alla categoria watchdog. E cioè un sito di monitoraggio dell’operato dell’amministrazione. Si chiama WHPetitions.info, lo ha inventato un ricercatore della George Mason University, e fa due cose molto utili. Non solo tiene sotto controllo l’andamento delle petizioni, ma fa anche in modo che la Casa Bianca non possa barare, cancellando quelle alle quali non ha voglia di rispondere, perché ad esempio toccano temi imbarazzanti e politicamente sensibili.
Come ha reagito la Casa Bianca al nuovo controllore? In una breve nota ufficiale il portavoce Matt Lehrich ha dichiarato che il governo approva questo genere di iniziative, considerandole segno di interesse – la parola corretta è engagement – da parte dei cittadini. Un buon esempio di quello che chiameremmo “fare buon viso a cattivo gioco”. Oltre che l’ennesima conferma dei rischi (per gli amministratori) legati all’uso di strumenti di democrazia partecipativa.
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