Telecom, Bernabè: “saputo a cose fatte. Aumento capitale? Possibile”

Il riassetto del maggior azionista l’ha saputo a cose fatte e ormai è forse troppo tardi per tornare indietro, perché per fare altre scelte bisognava “pensarci prima”, quando però l’interesse del Sistema Paese non era certo quello dimostrato adesso. È il j’accuse che Franco Bernabè consegna ieri al Senato, all’indomani del riassetto di Telco, con cui Telefonica diventa di fatto la padrona di Telecom Italia: un’operazione che, tra l’altro, non mette affatto il gruppo telefonico al riparo da un possibile downgrade, evitabile solo con un aumento di capitale, considerato possibile da Bernabè, e non con la vendita delle attività in America Latina, che avrebbe tempi troppo lunghi e limiterebbe la crescita.

Davanti alle commissioni Industria e Lavori Pubblici del Senato riunite in seduta congiunta, che hanno convocato l’audizione a tempi record, Bernabè ha subito voluto chiarire quale sia stato il suo ruolo nella vicenda del riassetto: “Abbiamo avuto conoscenza ieri dalla lettura dei comunicati stampa della recente modifica dell’accordo“, ha affermato, forse per marcare una certa distanza dalla decisione presa dagli azionisti italiani. Certo è, ha spiegato, che “la modifica dell’assetto azionario di Telco e il nuovo ruolo di Telefonica non potranno non riflettersi” sul processo decisionale relativo alla “soluzione più vantaggiosa” per il futuro della stessa Telecom, anche perché con le regole sulla minoranza di blocco in assemblea gli spagnoli possono di fatto bloccare qualunque proposta. Proposta che Bernabè ha evidenziato senza reticenze. Per evitare il downgrade, ha sottolineato, ci sono solo due strade possibili: l’aumento di capitale o la vendita delle attività in Sudamerica, che con il controllo passato di fatto a Telefonica potrebbe essere imposta dalle autorità Antitrust dei Paesi coinvolti. Ma è la prima soluzione quella che piace al manager, e non la seconda. L’aumento di capitale, “aperto a soci attuali o nuovi” è possibilee molto utile, perché darebbe “solidità finanziaria“. Invece vendere le attività in Brasile e Argentina, che sono i fiori all’occhiello della gestione Bernabè, limiterebbe la crescita e non aiuterebbe neanche in merito al rischio downgrade, perché non sarebbe realizzabile in tempi brevi.

L’altra direttrice lungo la quale passa il rilancio di Telecom è quella dello scorporo della rete. Bernabè ne ha confermato l’importanza, sottolineando il ruolo di Cdp, ma ha anche riconosciuto che i tempi “sono molto lunghi” e che “l’esito finale dell’operazione non è scontato”, perché è difficile determinare il valore degli asset, ma anche per la mancanza di certezze sul piano regolatorio. Lo scorporo e tutto quello che ne deriva in termini di concorrenza e crescita del mercato è insomma un treno che l’Italia rischia di perdere, anche a causa dello scarso interesse dimostrato finora per Telecom dal Sistema Paese, perché “per arrivare a scelte differenti avremmo dovuto tutti pensarci prima”. Un’accusa che fa tornare alla memoria quanto avvenne nel 1999, all’epoca dell’Opa di Olivetti, fieramente osteggiata proprio da Bernabè: perse la battaglia e dovette alla fine lasciare la poltrona di amministratore delegato di Telecom, ma anche allora non lesinò dichiarazioni forti contro la politica dalla quale non si era sentito sostenuto.

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