#SociallyDevoted: e il gusto ci guadagna

#SociallyDevoted: il tuo “essere social” meriterebbe questo hashtag? I tuoi account su Facebook, Twitter, avrebbero titolo per accompagnarsi a una tale keyword?

sd#SociallyDevoted: “esser social-mente”, “essere socialmente devoti”. Un egoismo – quello del Social Media Marketing – che si fa altruista. Per il business, sì, ma mettendoci la faccia: cuore, amore, dedizione, spirito di servizio, “devozione” verso i propri amici in Rete. Un «Social Care» a 360 gradi. #SociallyDevoted è la parola d’ordine dello studio appena uscito di Socialbakers, nota compagnia di analisi e monitoraggio dei social network, che misura a livello mondiale il tasso di social caring delle aziende, comunicandone periodicamente la “temperatura”. Requisiti essenziali, geneticamente parte del Brand affinché sia preso qui in considerazione, la sua capacità di «mantenere il dialogo col network», «rispondere ad almeno il 65% delle sue domande» e «farlo in un tempo dignitoso».

Neanche una settimana fa – lo scorso 21 gennaio – Socialbakers ha reso noti i risultati della ricerca «Socially Devoted» per l’ultimo quadrimestre 2013: ricca di «wonderful news for Fans and Followers». Le aziende infatti «rispondono più velocemente di prima»: i «response times», tempi di risposta, sono diminuiti del 12% rispetto al quadrimestre precedente. Interessanti anche i valori di «response rate», la percentuale delle risposte fornite a domande postate pubblicamente: palma d’oro alle compagnie aeree, sia su Facebook che Twitter, seguite dal settore «Finance» e Telecomunicazioni, le quali detengono invece un altro primato, quello del maggior numero di richieste di assistenza ricevute. La situazione però non è così rosea: il «response rate» generale è ancora basso. Solo un 59,4% lato Facebook e un 40,6% per Twitter: 50% di media. La metà dei clienti, tali o potenziali, resta a bocca asciutta. Nessuna risposta dall’azienda di cui, magari, s’intendeva anche diventare clienti. Non è un buon inizio: non serve per vendere.

La sensazione? Che il dialogo online – pur mandato giù come pillola ormai inevitabile, fiorito il virus dei social sul terreno di un’assistenza clienti carente – si stia imparando non a «viverlo», ma solo a «gestirlo»: nella foga di un multitasking ove il network si fa semplice «lavoro da smaltire», «oggetto», «ticket» da aprire, sciogliere e chiudere il più velocemente possibile per battere la concorrenza in classifiche così. Niente «amici», nessuna «persona».

Il progressivo abbattimento dell’attesa del cliente è certo cosa buona e giusta: purché all’altare della velocità non si sacrifichi l’attenzione verso tutti i clienti e si chiuda la giornata col record non solo di rapidità in reply, ma anche di risposte date. Non si è forse così bravi?

replyIl richiamo dei “risponditori automatici” rischia se no di divenire irresistibile per le nostre allodole. E si finisce a dover incrociare le braccia dopo 4 ore di lavoro perché si è stati schegge a rispondere, ma si è anche così esaurita la quantità di ticket gestibili: il numero di richieste di assistenza indicato dall’azienda come task, entro il quale si è chiamati a rientrare, ma “non oltre” il quale spingersi. Se no sono straordinari. E gli straordinari si pagano. «Così poi dove finisce il business?».

Questo accade anche in una notissima azienda italiana, tra le più contattate proprio perché tutti, in qualche modo, abbiamo a che farci e con cui ahinoi spesso i disservizi sono maggiori dei servizi. Azienda che forse non a caso deve aver puntato molto sui social: è quasi sempre prima fra i Top Brands nel Social Caring per il suo invidiabile Response Time. In effetti almeno lo staff di assistenza su Facebook e Twitter è molto efficiente: tanto da trovarsi più volte a “dover” dichiarare chiusa la giornata di lavoro a ora di pranzo. «Spesso non sappiamo come passare il pomeriggio», mi ha confessato di recente, sconsolato, un membro del team.

Certo, i sindacati sono sempre sul piede di guerra e il capo deve ben guardarsi dal mandare in overload  i lavoratori. Ma ciò non significa porre una regola di comportamento che pare “demansionare” tanto i dipendenti – che avrebbero voglia di far di più e meglio (pagati, s’intende) – quanto i clienti, dove per uno soddisfatto ce n’è un altro o chissà quanti abbandonati al loro destino. Non guasterebbe forse investire un po’ anche in questo. Il vero business sta nell’aiuto, totale e totalizzante: un marketing che si fa volontariato. Solo se mi metto al tuo servizio, dandomi a te completamente, tu mi darai la tua ben riposta fiducia: tu mi crederai. E comprerai.

Non stupisce dunque l’altra notizia diffusa da Socialbakers. La maggior parte delle richieste di assistenza arriva su Twitter anziché su Facebook: il 59,3% contro il 40,7%. Ciononostante i Brand continuano a esser più attivi sul social di Zuckerberg, in termini di replies e risoluzione delle problematiche, anziché cinguettarle su Twitter: il Response Rate su Facebook è del 59,4% contro il 40,6% di Twitter. Viviamo certo una fase di transizione, di crescita delle aziende, che stanno ancora tarando la loro presenza social, così come degli utenti, che devono individuare il modo più efficace per rivolgersi al Brand onde risolvere i loro problemi. Buon senso vorrebbe però che, dopo la diffusione di simili dati, le aziende corrano a riposizionarsi: o un maggior focus su Twitter o un redirect degli utenti sulla propria Pagina Facebook. Bene: in quanti lo faranno davvero?

«Ascolta, poi rispondi»: anche circa la piattaforma su cui ascoltare e rispondere. Una simile forbice prova il persistere di una comunicazione ancora disturbata col network. «Io vi seguo, ma tu no; io non vi seguo, ma tu sì»: l’azienda crede di [o dice di] seguire e assistere tutti i clienti, ma [più di] qualcuno resta fuori. E non per impossibilità, oggettiva mancanza di tempo: bensì per scarsa cura nella strategia, carenza nell’ascolto e nella comprensione delle esigenze di chi si ha di fronte.

Se il rapporto biunivoco si interrompe, io non riesco più a comunicare mentre ti assisto, tantomeno ad assisterti mentre cerco di comunicare con te. Non sono più #SociallyDevoted: errore che oggi nessuno può permettersi.

La svolta è iniziata: proseguiamo dunque con coraggio nell’innovazione. Da’ tutto te stesso nel #SocialCare, conscio che il sistema “per far quattrini” oggi è radicato in un’economia “collegata”, partecipata, condivisa: una Sharing Economy ove la ricchezza autentica è solo nelle risorse, sociali e solidali. Ricchezza “è” condivisione, è Social Care. Sii «devoto social-mente»: in senso social e sociale. Certo, è facile come scalare una montagna: alla fine, però, «il gusto ci guadagna».

 

 

 

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