La do a tutti, virtualmente. L’amicizia. Poi però scelgo. Eccome se scelgo chi ascoltare e chi ignorare, chi odiare e chi amare, con chi litigare e far pace. Similes cum similibus: «chi si somiglia si piglia». Mi basta uno sguardo, dritto negli occhi o in quelli del tuo profilo, per capire se mi prendi o no. L’amicizia te l’ho data e non te la tolgo: per ora. Ma se non vai bene, «buongiorno e buonasera». Perciò, fra le mie migliaia di amici, alcuni sono per forza “più amici” di altri. Con loro si sviluppano i rapporti migliori e più veri. Che possono andare avanti per la vita: come nella vita.
E tra quelli che sono “meno amici”? Ci sono i noiosi, gli indifferenti, i nemici: esattamente come nella cosiddetta vita reale. E una categoria particolarmente sgradevole. I pazzi.
Psicopatici, maniaci più o meno pericolosi, stalker o semplici perditempo, che nulla hanno di meglio da fare se non rompere… le uova nel paniere a chi li fa sprofondare nell’invidia, nel senso d’inferiorità e nelle frustrazioni da cui già sono rosi e sopraffatti.
Parliamo dei troll: gente che «si diverte a gettare zizzania online, disturbando le conversazioni e insultando gli altri». Persone le cui caratteristiche psicologiche ricadrebbero addirittura, secondo recenti studi, nella «Tetrade Oscura». Una «triade» anarchica e distruttiva, fatta di «narcisismo, machiavellismo e psicopatia».
Torniamo a parlarne un’ultima volta [per ora] perché è vero, lo confessiamo: come nella “realtà”, così sui social, questi qua proprio non li sopportiamo. Per loro non v’è #SocialCare che tenga. Una «Social Education», piuttosto, coerente col principio «Don’t feed the troll», capace di dire «no alle risse, a chi accende flame col solo scopo di ferire, far male, costringere l’altro a tacere» e «sì a quanti davvero chiedono attenzione». La Social Education è tutt’uno col #SocialCare e col mio generale essere social. Scegliere chi fa, non chi distrugge – pretendendo con arroganza e presunzione che un suo tweet sposti le montagne solo perché suo –, ignorare questi e valorizzare quelli, è essenziale nel mio «comunicare assistendo e assistere comunicando». Il «non curarsi di lor», ma «guardare e passare», è il detonatore principale per far esplodere e liberare energie positive da riservare pienamente al “prossimo”.
«Trolls just want to have fun»: i troll hanno voglia solo di divertirsi. Così s’intitola – sulle note della storica canzone di Cindy Lauper – il recente studio dei Erin Buckels, Paul Trapnell e Delroy Paulhus, ricercatori canadesi del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Manitoba. Il fenomeno del trolling – si afferma – è tipico della «personalità della Tetrade Oscura»: «correlato a sadismo, psicopatia e machiavellismo».
Una «Triade» che sarà anche «oscura» ma che, come ricordato di recente con ironia anche da Wired, s’incontra sempre più frequentemente. Dall’«Hater» al «Rissoso», dal «Volgare» allo «Stalker», Pagine e Profili sono bersagliati da un Network che somiglia sempre meno “al” – e quasi fa passare la voglia “del” – Network. Ma cionondimeno è vita: anzi, proprio per questo, lo è ancora di più. E va dunque vissuta, gestita. Come? Conoscendola e affrontandola per quel che è.
Il quadro non appare invero dei migliori: alcuni intervistati hanno dichiarato di «provare piacere nel far del male agli altri giocatori nei videogame online» e che «più è interessante e seguita una discussione, più è soddisfacente dar fastidio». Attraverso un particolare strumento d’indagine, il «GAIT», «Global Assessment of Internet Trolling», i ricercatori hanno individuato tre fattori essenziali di riconoscimento della natura del troll: «narcisismo, machiavellismo e psicopatia». Fino al «sadismo». «Sia i troll che i sadici provano gioia per la sofferenza degli altri», spiega Buckels. «I sadici vogliono solo divertirsi e Internet è il loro grande parco giochi».
Egotismo e ossessione per se stessi; volontà di manipolare e ingannare il prossimo; impulsività, comportamento antisociale, mancanza di rimorso; piacere per il dolore, il malessere altrui. Ecco il DNA del troll. «Anche gli autori della ricerca», sottolinea La Stampa in un articolo sull’indagine, «suggeriscono di lasciarli fare. State attenti – sostengono – i troll sono agenti del caos online e sfruttano gli argomenti più dibattuti e divisivi per soffiare sul fuoco della reazione esasperando gli altri con accuse, denigrazione e insulti di ogni genere». Se questo è un troll insomma, «appresa la lezione, non lasciate che lo facciano a spese vostre».
Senza contare l’ultima novità in fatto di trollismo: l’avvento dei «presunti guru». Non tanto né solo «del web» in questo caso – quelli già si è imparato a conoscerli ed evitarli – ma della «illustre scienza del troll». Gli intellettuali, accademici ormai ben più che esperti di Social Media, signor «So tutto io», con sonar e occhi a radar pronti a captar il fruscio di ogni post di un Brand che, anche da distanze intergalattiche, possa venir connesso a temi “apri-rissa”. Al diavolo la coerenza: più infondata e strumentale è l’accusa, più emergerà la mia potenza distruttiva di troll. Si apra il via alla cascata di offese e oscenità: l’istantaneo grido all’#EpicFail nulla è rispetto a ciò che segue dopo. Nemmeno più le basi della caciara son da ricondursi, sebbene pregiudizialmente, a fattori oggettivi. Qui si viaggia nel non-sense assoluto della contestazione più inutile e dannosa.
Il mio network virtuale è la nuova realtà del mio oggi. Questo è il mio “struscio di paese”: quello che oggi non faccio più nel Corso stracolmo di gente, dove non vedo nessuno perché vado di corsa, parlo al telefono, penso al mio clamoroso ritardo e alle scuse da inventarmi in riunione. Il mio “struscio nel Corso” oggi si chiama Facebook: o Twitter, o Instagram. Il mondo social. Sono quelle ore in cui mi siedo davanti al computer e, lavorando o parlando al telefono, sono su social e trovo comunque il tempo di dire: «Ci sono ragazzi, sono qui». E accade di tutto.
Troveresti sensato, per strada, dar corda a chi al semaforo ti vuol lavare il parabrezza per l’ennesima volta o t’importuna con commenti pesanti? Incurante magari di chi, essendosi perso, ti chiede quell’indicazione stradale che solo tu, del quartiere, puoi dargli? «Mai discutere con un idiota», si dice d’altronde: «ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza».
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