Personal democracy forum: a Roma si discute dello stato dell’opengov

L’occasione per fare il punto sull’open government a livello internazionale e nazionale. Questo è stato l’obiettivo del Convegno Open government: le sfide di un movimento globale, che ha aperto un percorso di dibattito che condurrà al maggio di quest’anno quando, per la prima volta in Italia, si terrà il Personal Democracy Forum Italia, evento dedicato al tema della democrazia digitale.

Dopo l’apertura di Antonella Napolitano, organizzatrice dell’evento, i lavori – Moderati da Stefano Epifani – si sono aperti con l’esperienza dell’americana Sunlight Foundation raccontata da Julia Keseru, sua International Policy Manager, che ha subito collocato in alto l’asticella della discussione. La fondazione, infatti, è un’organizzazione no-profit apartitica fondata nel 2006 che utilizza Internet per catalizzare l’attenzione del governo sul tema della trasparenza e dell’opengov. “Lo facciamo attraverso una serie di azioni che vanno dalla creazione di strumenti, dati aperti, raccomandazioni politiche, ma anche ricorrendo al mondo dei giornalisti”. Infatti alla Sunlight Foundation lavorano una ampia varietà di professionalità “migliaia di sviluppatori di software, attivisti, blogger, cittadini attivi e giornalisti offline e online” che vengono coinvolti in progetti di ricerca, hackathon, attività di lobbying e formazione mirata. E il risultato è quello di essere efficacemente pungolo dei governanti e promotori di trasparenza e dati aperti. Molti i tool sviluppati nel tempo da Sunlight Foundation che permettono ai cittadini un migliore accesso ai dati del governo: strumenti semplici che mettono tutti nella posizione di essere attori di democrazia.

Se il modello raccontato da Julia Keseru è di fatto una eccellenza in un panorama di per se molto avanzato, come quello americano sul tema dati aperti, è pur vero che non bisogna scoraggiarsi e invece “pressare” la politica. La provocazione viene lanciata da Carola Frediani, giornalista per Wired e L’Espresso, che rilancia con un paradosso: “La tendenza vede cittadini trasparenti e stati opachi: la politica dove vuole collocarsi?”

Stando ai non incoraggianti dati riportati da Andrea Menapace, Ricercatore per l’Italia per Indipendent Reporting Mechanism di Open Government Partnership, la PA italiana ha ancora molto da fare. Se è vero che nel 2011 il nostro paese è entrato nell’Open Government Partnership, iniziativa internazionale e multilaterale che mira a garantire impegni concreti da parte dei governi verso i loro cittadini, l’Independent Reporting Mechanism (IRM) che revisiona con cadenza biennale le attività di ogni paese partecipante a OGP, mostra una Italia ancora in arretrato rispetto agli obiettivi ambiziosi (ma poco misurabili) descritti nel piano di azione. “Su 16 impegni presi dall’Italia solo tre sono stati completati in questo lasso di tempo, sette hanno un livello limitato di attuazione e ben 5 non sono mai stati attivati” spiega Menapace. Cosa non ha funzionato nello specifico ma cosa più in generale rallenta l’operato nazionale? Prova a rispondere Ernesto Belisario secondo cui sono tre gli elementi da considerare: “la mancata la capacità di porci obiettivi raggiungibili, non aver realizzato metriche chiare per misurarli e non aver fatto controlli periodici”. Altra criticità: “nell’action plan sull’open gov mancano completamente regioni, province e regioni. Una dimenticanza degli attori molto grave: in un paese che dal 2011 ha un impianto federale, fare open gov solo sui ministeri, vuol dire non avere alcun impatto positivo sui cittadini. E’ una partita persa, senza coinvolgere enti di prossimità come scuole o ospedali”.

La mattinata si conclude con una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di Paolo Coppola (Partito Democratico), Antonio Palmieri (Forza Italia), Sergio Boccadutri (Sinistra Ecologia e Libertà) e Massimo Artini (Movimento 5 stelle). Al centro della tavola rotonda si pone il tema controverso del rapporto tra società civile e governi: la società civile ha davvero il potere di entrate nelle decisioni del governo? E i cittadini vogliono essere coinvolti oppure tendono ad essere attivi e proattivi e interagire con la PA su temi molto specifici e per brevi periodi, tanto da rendere la domanda puramente accademica?

Dal nostro punto di vista quello che è certo è che se è vero che non si possono “costringere” i cittadini a partecipare costantemente alla vita pubblica, è altrettanto doveroso da parte di chi ci governa metterle la società civile nella condizione di farlo. Per lavorare insieme all’innovazione del Paese.

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