Ti seguo e t’inseguo: il #SocialCare si fa «mobile». Ecco uno tra i risultati più sorprendenti del «Social Customer Engagement Index 2014», appena pubblicato da Social Media Today. Il 49,9% dei Brand interpellati conferma di “ingaggiare” i clienti per attività di Social Caring attraverso piattaforme mobili e di realizzare regolarmente Customer Care via mobile.
Una crescita che lo studio condotto da Brent Leary, con la collaborazione di Paul Greenberg, sull’«uso e l’efficacia degli strumenti social per il Customer Service» definisce «drammatica» rispetto all’anno precedente, quando il livello di coinvolgimento si fermava al 38,1%. Un dato che deve far riflettere anche da noi. È necessario e ormai imprescindibile effettuare Customer Care online tramite le piattaforme consuete, quali Facebook, Twitter e altri social “emergenti”: ma queste piattaforme stesse, per prime, stanno evolvendo. L’accesso a Facebook si svolge prevalentemente da Mobile App: proprio di qualche giorno fa è l’annuncio che oltre un miliardo di utenti accede al social network da dispositivi mobili. Inevitabile così che il cliente “corra”: che chieda assistenza non solo quando è a casa la mattina, prima di andare in ufficio, o la sera al ritorno, o ancora quando è comodamente seduto alla scrivania e si accorge di un problema inatteso: bensì piuttosto quando è in giro, in macchina, in fila alla posta o alla banca, a far la spesa e in attesa alla cassa. Il cliente si muove. E l’azienda deve muoversi con lui: evolvere contestualmente all’evolversi della richiesta. Il cliente è al centro: il Brand, chiamato a seguirlo, se non vuole perderlo deve convincersi e piegarsi a inseguirlo.
Se il 62,5% delle compagnie che investono oltre 250.000 dollari l’anno nel #SocialCare offrono già il servizio via mobile device e il 73% di chi si dice «soddisfatto» del Social Customer Care delle aziende con cui è in contatto specifica che queste offrono assistenza via mobile, vero è che ancora molto alta resta la percentuale di chi deve mettersi al passo coi tempi. Siamo al 34,5%: se la metà o quasi delle compagnie ha intrapreso la strada del cambiamento, oltre 1 su 3 deve aggiornarsi.
Come? Lavorando anzitutto sul proprio mobile website, gettonato dal 51,8% delle compagnie per fornire assistenza in mobilità. Ma anche sulle App per smartphone (usate nel 36,3% dei casi) e per tablet (23,4%). Proprio in App realizzate appositamente per il SelfCare dichiara di voler impegnarsi a investire il prossimo anno il 31,7% delle aziende interpellate, rispetto a un 19,6% che si dedicherà invece al Mobile Self-Service, un 18,9% impegnato su Chat Live via mobile, un 16,7% che si indirizzerà sul «Click-To-Call» e un 12,9% focalizzato su forum accessibili in mobilità.
Resta però un pesante 32,2% che ammette di non volere o non poter impegnarsi a breve in nessuna di queste attività. Il problema maggiore? L’allocazione delle risorse per il 42,3% dei Brand: accanto però – attenzione – per il 29,6% alla «accettazione» della riorganizzazione aziendale che il Social Care impone. Non si tratta insomma solo di un problema di budget: nel 2012 la percentuale di chi individuava la maggior difficoltà nel reperimento risorse era ben più alta, al 48,2%. In un anno chi voleva trovare i soldi li sta trovando: il problema vero resta la persuasione del management, che ancora fatica a convincersi della necessità, dell’urgenza di una riprogettazione della struttura aziendale alla luce di un Customer Care che si faccia online, di un’evoluzione social del DNA del Brand. Anche perché a sfuggire, e con ciò a frenare, è il possibile ROI: il guadagno, il ritorno sul business. Ostacolo, questo, evidenziato dal 26,1%.
E dire che è chiaro ormai il principio: «Vuoi vendere? Aiuta». Gli affari oggi si fanno solo essendo utili, guadagnando credibilità, recuperando affidabilità. Ponendo in opera la «Youtility», un «marketing così utile che la gente sarà felice di pagare», costruito sullo «Help», sull’aiuto, non sull’«Hype», lo strillo pubblicitario. Un “marketing del volontariato” – un “egoismo altruista”, altruismo egoista – che «assiste comunicando, comunica assistendo»: che «ascolta, poi risponde», fermandosi a comprendere l’altro – il cliente – prima di agire.
Uno stop quanto mai complesso da realizzare la prima volta: richiede l’accettazione di una svolta, della sfida dell’innovazione, di una trasfigurazione della propria natura che non è mai indolore. Mettere in gioco il cuore, vestirsi di dedizione e spirito di servizio, per cambiare come cambiano i tempi, non è cosa che si realizza dall’oggi al domani. Reclama una “con-versione”, un mutamento di rotta in animo e spirito che, oltre a realizzarsi nelle coscienze dei singoli, deve nel concreto essere accompagnato e favorito da un’adeguata gestione delle risorse, del capitale umano presente in un’azienda: risorse che anzitutto internamente devono collegarsi, per capire poi come ci si collega, come ci si connette a livello globale nella sharing economy entro cui viviamo.
Rimettersi in gioco è quanto sarà richiesto anche nella scelta pratica delle piattaforme su cui porre in opera le proprie attività di Social Caring. Se Facebook e Twitter, come è evidente, non possono non essere presidiati – e tuttora veicolano il traffico maggiore – emergono però prepotentemente altre realtà come Instagram e YouTube, Google+, LinkedIn e Pinterest: molte delle quali utilizzate soprattutto via mobile. E non ci vorrà molto per vedere la scalata di piattaforme come WhatsApp o la concorrente WeChat: sempre più in voga, tanto da competere ormai col gigante di Zuckerberg per numero di utenti attivi. L’assistenza viaggerà presto (anche) via instant messaging: se ti seguo, devo “inseguirti”, cliente, ovunque tu vada, in mobilità. Un messaggino ci salverà: se non ci faremo trovare impreparati.
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