Il doppio binario

E così (almeno, pare) avremo due binari lungo i quali correrà quella che forse per ancora poco tempo chiameremo “Agenda Digitale”, in attesa di nuovi mantra e nuovi brand.
Pare di capire, in assenza di indicazioni precise, che si tornerà alla “separazione” tra ciò che è “digitalizzazione della pubblica amministrazione” e quello che possiamo chiamare “il resto del mondo digitale”.
A caldo (ma poi, forse, cambierò idea), mi pare un errore. Tornare ai “mondi separati” potrebbe voler dire ricominciare da capo un percorso che – a un certo punto – portò finalmente i più a comprendere il valore del “quadro di insieme”.
Abbiamo impiegato quasi quindici anni (e numerose centinaia di milioni di euro) per accorgerci che la digitalizzazione della pubblica amministrazione fatta “a prescindere” da un quadro complessivo di obiettivi di modernizzazione dell’intero Paese rischia di diventare un’operazione monca, mutilata.
doppio binarioAbbiamo assistito alla nascita di mirabolanti portali di e-government (allora si chiamavano così); abbiamo visto Regioni (e rispettive società ICT “in-house”) intente a reiventare l’acqua calda (il mio amico Roberto Moriondo, sul suo bellissimo blog, parlava della “mirabolante invenzione della patata lessa”), producendo decine di sistemi informativi per il bollo auto, decine di portali del turismo, dozzine di fascicoli sanitari elettronici.
Abbiamo partorito la madre di tutte le leggi digitali, il CAD, nella convinzione che tutto sarebbe successo per magia: “lo dice il CAD, quindi succederà”. Non è successo (quasi) nulla: provare a mandare una PEC a un ente pubblico per credere.
I pochi veri e grandi successi li abbiamo riscontrati soltanto quando si è avuto il coraggio di pronunciare la parola magica: “switch-off”. A partire dall’Agenzia delle Entrate e dall’INPS.

La digitalizzazione della PA ha fatto fatica a decollare per due ordini di ragioni: una evidente resistenza al cambiamento opposta dalle frange conservatrici della PA medesima e una altrettanto evidente “impreparazione” da parte dei potenziali fruitori dei servizi digitali erogati dagli enti.
Non è un caso se gli unici casi di successo hanno a che fare con sistemi fortemente intermediati: il dominio della fiscalità (intermediato dai commercialisti e dai CAF) e quello del Welfare (intermediato dai consulenti del lavoro).
Siccome l’intera filosofia del mitico primo piano nazionale di e-government (andate a rileggervelo, è un consiglio) partiva dall’enunciazione trionfalistica del principio di disintermediazione, è facile capire dove ci siamo incartati.

Il tentativo di “mettere insieme i pezzi” (la digitalizzazione della PA e della Sanità, il piano banda larga, le politiche di promozione della digitalizzazione delle PMI e dei cittadini, la “Scuola digitale”, eccetera) è clamorosamente fallito, perlomeno nei fatti. Il Presidente del Consiglio ha tenuto per sé le deleghe “complessive” sul digitale, (ri)affidando a Palazzo Vidoni il compito di sovraintendere alla digitalizzazione della PA e “decidendo di non ancora decidere” a chi dare il compito di occuparsi delle politiche digitali a livello di sistema Paese.
In realtà, questa apparente “non” decisione nasconde un ottimo intendimento che potrebbe ribaltare la mia forse frettolosa sentenza di fallimento: l’idea è quella di “iniettare il virus” delle politiche digitali all’interno di tutti i gangli strategici del policy making. Dal lavoro alla salute, dall’agricoltura ai trasporti, e così via. Partendo, ovviamente, dalla scuola.
L’idea è sicuramente affascinante e interessante: si tratta di immaginare una serie di tanti digital champion “infiltrati” nei ministeri e negli enti non economici (quelli che sopravvivranno …), ciascuno dei quali investito di un bel po’ di potere effettivo di incidere sulle politiche e sulle tante piccole decisioni quotidiane.

innovationNel frattempo, per quanto riguarda la PA, si deve partire da una sorta di “rifondazione”: si parta dai Comuni, approfittando di questo momento di ridisegno complessivo dell’architettura amministrativa del Paese, per dar vita a un piano di modernizzazione basato sul paradigma delle “comunità intelligenti”.
Avendo cura di non fare l’errore di “partire dalle tecnologie”. Energia, trasporti, sicurezza, istruzione, well-being.
Nulla di tutto questo può prescindere dalle ICT, e questo lo capisce chiunque.

Ma partiamo dal come migliorare la vita al signor Piero o alla signora Maria, dal come fare in modo che il loro figlio trovi “figo” andare a scuola e imparare utilizzando gli stessi strumenti coi quali vive il resto delle sue ore quotidiane; partiamo dal far  trovare parcheggio, dal poter affittare una bicicletta o comprare un biglietto del tram usando il telefono; dall’imparare a usare con giudizio le risorse energetiche e naturali. E così via.
Proviamo a trasformare il mondo delle “smart city” da un semplice circuito mediatico e convegnistico a un vero mercato.
L’offerta c’è.
La domanda, ci sarebbe.
Se soltanto fossimo capaci di farla emergere.
E qui, si torna a bomba.
Il problema del doppio binario.
Trattasi di compiere il miracolo: mettere insieme le azioni finalizzate a creare una PA davvero capace di comportamenti “smart” con quelle rivolte alla creazione di cittadini consapevoli e “felicemente utilizzatori” di tecnologie capaci di migliorare loro la vita.
Senza dimenticare un terzo binario: quello sul quale le PMI italiane rischiano di rimanere al palo non riuscendo a cogliere le opportunità fornite dal digitale.

L’augurio è che il Presidente del Consiglio trovi il tempo da dedicare a questo obiettivo: mettere insieme i vagoni sui vari binari e fare in modo che i treni partano.
Possibilmente, avendo ben chiara la destinazione.

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