Delta, i Mondiali e le giraffe del Ghana

Dillo con una foto. La comunicazione sui social media passa soprattutto dalle immagini e non ci vuole molto a capire il perché: sul web come altrove le immagini hanno un potenziale comunicativo molto maggiore rispetto a quello delle parole, sono più immediate, dirette e comprensibili e riescono a bypassare il problema della lingua che  – sui social media dove si può raggiungere la viralità in una manciata di ore – non è una questione da poco.

Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, da sempre: dallo Zio Sam a Michelle Obama che tiene tra le mani un foglio di carta con un hashtag a favore delle ragazze nigeriane rapite passando per i video con i gattini, il cui significato viene compreso al volo dalla stragrande maggioranza delle persone, senza bisogno di troppe parole.

Sui social media un’immagine rimane impressa nella mente, si presta ad essere condivisa e, soprattutto, attira l’attenzione. Per questo le immagini sono le vere regine dei social media marketing, sia che si tratti di concepire un’intera campagna social o di creare un semplice tweet per ravvivare una giornata di magra.

E tutto questo diventa ancora più importante quando ci si trova a dover comunicare qualcosa sull’onda di un grande evento globale, come ad esempio i Mondiali di calcio. Tutti sanno cosa succede sulla timeline di Twitter durante una partita di Coppa del Mondo: il social network dell’uccellino blu diventa un gigantesco bancone da bar che riunisce milioni di persone, dove ognuno dice la propria. O, dal punto di vista delle aziende, diventa uno sterminato pubblico cui propinare un po’ di sana pubblicità.

In realtà non c’è neanche bisogno di fare spot o di lanciare i “consigli per gli acquisti”: davanti a eventi come questi, l’importante non è vendere, ma esserci. Entrare a far parte della conversazione, interagire con gli utenti, far vedere il proprio brand. E questo obiettivo lo si raggiunge in modo molto più efficace se si riesce a piazzarci una nota di colore, in senso letterale. Insomma: dillo con un’immagine, in modo che tutti i tifosi di tutto il mondo possano capire che il tuo brand è lì, nelle conversazioni che contano in quel momento.

Ovviamente, quell’immagine bisogna scegliersela bene: deve essere d’impatto, esteticamente bella a vedersi, riconoscibile e univoca, deve trasmettere il suo messaggio con immediatezza, al primo sguardo. Deve essere semplice ma in grado di attirare l’attenzione, senza però catalizzarla su se stessa, ma riuscendo nell’impresa di portare l’attenzione di chi guarda dalla foto al brand.

Nessuno dice che sia semplice: riuscire a veicolare così tanto significato attraverso una sola immagine in un contesto così “affollato” è una cosa estremamente complessa. E infatti a volte qualcuno finisce per prendere qualche sonora cantonata, come è successo a Delta – una delle più grandi compagnie aeree del mondo – soltanto qualche giorno fa.

È martedì 17 giugno, in Brasile si gioca Ghana- Stati Uniti e, come ogni incontro, migliaia di persone se ne stanno a commentare la partita sull’hashtag #USAvGHA. Il match finisce 2-1 per gli Stati Uniti e su Twitter esplode la festa del tifosi americani. Una festa cui partecipa anche Delta, con questo tweet:

Ghana

Delta si congratula con la nazionale statunitense per la vittoria, e fa i complimenti agli autori dei due gol. E poi decide di rappresentare visivamente il risultato finale, accostando l’immagine della Statua della Libertà a quella di una giraffa, nell’intento di sintetizzare entrambe le nazioni in quelli che sono considerati i loro simboli più famosi nel mondo.

Diciamo però che per Delta sarebbe stato meglio se gli Stati Uniti avessero giocato contro la Francia o l’Italia: in quel caso avrebbero potuto mettere la Tour Eiffel o il Colosseo e risparmiarsi una figuraccia. Perché se c’è un animale che in Ghana proprio non si trova, ecco, quell’animale è la giraffa.

Lo spiega bene Global News: il Ghana è uno stato dell’ Africa subsahariana, lontano migliaia di chilometri dalla savana, l’habitat naturale delle giraffe, che appunto in Ghana non si trovano più frequentemente che nella stessa New York. E, sebbene su Twitter la maggior parte della gente fosse impegnata a esultare o a scrivere ispirati commenti tecnici sull’esito dell’incontro, il tweet di Delta non è passato inosservato. Anzi, ha centrato proprio il suo obiettivo: attirare l’attenzione. Pure troppa.

Subito qualcuno si rende conto della gaffe e scoppia immediatamente la polemica: Delta viene accusata di avere un’immagine stereotipata dei paesi africani, avendo dimostrato di ignorare le caratteristiche delle varie regioni di un continente tanto vasto e, soprattutto, di non avere la benché minima idea di come sia il Ghana, livellato a “paese africano”, dove per “Africa” viene riciclata l’immagine degli spazi sconfinati, tramonti spaccacuore, leoni, rinoceronti, elefanti e, appunto, giraffe.

Ghana2

[“Immagino che quando prenoti un volo per il Kenya, la Nigeria, la Costa d’Avorio o il Ghana il biglietto di Delta dica solo ‘Africa, quello che ti pare’” – “Il social media expert di Delta sta mettendo insieme qualche bella immagine di Barcellona per Stati Uniti – Portogallo di domenica” – “Giraffe. Perché è l’Africa, no?” – Fonte: Huffington Post]

E salta anche fuori, come fa notare un utente, che quella foto della giraffa in controluce stagliata su un cielo violetto è una foto di stock presa da una famosa agenzia fotografica: quel tipo di foto generiche che vengono spesso usate come “contorno” agli articoli. Ironia della sorte, la descrizione della foto lo dice chiaro e tondo: quella giraffa lì è stata fotografata in una riserva naturale in Kenya, dove vivono le giraffe.

Ghan3

Ops.

Morale della favola: il tweet di Delta viene fatto sparire nel giro di poco e al suo posto compare un contrito messaggio di scuse. O almeno è quello che vorrebbe essere, visto che ci scappa anche il refuso:

Ghana4

[Siamo dispiaciuti per la scelta della foto nel nostro prezioso tweet. Buona fortuna a tutte le squadre impegnate nella Coppa del mondo]

“Prezioso” tweet?

Ghana5

[Siamo dispiaciuti per la scelta della foto nel nostro PRECEDENTE tweet. Buona fortuna a tutte le squadre]

Buona la seconda.

Al di là della ciliegina sulla torta delle scuse finite male e dell’utente che scopre l’origine della foto, il caso della giraffa di Delta dimostra quanto utilizzare un’immagine sui social media possa rivelarsi un’arma a doppio taglio, specialmente quando si fanno le cose con leggerezza.

Quindi, social media manager, vuoi usare una foto per dire quello che hai da dire? Fai attenzione a quello che fai perché, diversamente dalle parole, difficilmente poi potrai cavartela dicendo di essere stato frainteso. Se usi una giraffa per parlare di un paese dove non ci sono giraffe, con quell’immagine non solo dimostrerai di non sapere di ciò di cui stai parlando, ma svelerai anche il tuo modo di guardare il mondo, stereotipi compresi. Solo che se sei il social media manager di una grande azienda, il problema non è più solo tuo, ma diventa principalmente dell’azienda di cui tu di fai portavoce.

Il problema, in questo caso, non è solo l’ignoranza in geografia del social media manager di Delta, ma anche il suo voler essere a tutti i costi “semplice e comprensibile”: riducendo all’osso i concetti da esprimere, si banalizza al punto che si finisce per dire un’altra cosa. In più, la scelta di entrambe le foto dimostra chiaramente come lo scopo, qui, fosse semplicemente quello di piazzare un’immagine esteticamente piacevole, che colpisse l’attenzione in mezzo a migliaia di tweet. Guarda che bella foto, questa, e poi c’è pure una giraffa. Va benissimo per parlare del Ghana, tanto è in Africa, no?

Una bella foto attira l’attenzione, e il suo scopo è proprio quello di portare chi guarda a soffermarsi un secondo di più prima sull’immagine e poi sul brand. Ma quell’immagine, inevitabilmente, dice anche molto altro. E se con quella foto che consideravamo “carina” abbiamo detto una castroneria, non si può impedire che qualcuno non ce lo faccia notare…

Lesson Learned: Sui social media bisogna saper comunicare in modo semplice e immediato, questo però non deve tradursi in faciloneria, banalizzazione o, peggio ancora, in un errore bello e buono.

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