Competenze per competere

Tanto tuonò che piovve: finalmente abbiamo un piano sulle competenze digitali.
Frutto del lavoro congiunto di AgiD, Assinform e altre associazioni di categoria, è bell’e pronto un documento all’interno del quale ci viene spiegato come – anche grazie al fondamentale apporto della RAI – potremo lanciare un grande piano di acculturazione digitale rivolto a cittadini (in senso “generico”), studenti e lavoratori.
Ed è cosa buona e giusta, considerando il livello dal quale – purtroppo – partiamo.
Ma io, oggi, vorrei parlare d’altro.
Se da un lato è fondamentale costruire un background digitale all’interno delle professioni esistenti, dall’altro mi affascina molto di più provare a capire quali saranno le “nuove professioni e i nuovi mestieri” in un mondo digital by default.
Parlo, non a caso, anche di “mestieri”: perché se soltanto fossimo capaci di guardare attentamente tutto quanto sta succedendo in giro per il pianeta, forse potremmo accorgerci che i digital makers non sono un fenomeno mediatico ma cominciano a rappresentare punti di PIL; e non parlo soltanto di artigiani che usano stampanti 3D.
Proviamo a farci qualche domanda.
Come si trasformerà il “mestiere” dell’agricoltore o dell’allevatore? Come le ICTs cambieranno il cadenzamento delle loro giornate lavorative e i loro modelli di business?

learningEsiste la probabilità che l’intera filiera dell’agroalimentare possa subire profondi cambiamenti grazie al digitale? Ipotizzando un “contadino digitale”, potremmo tentare di immaginare anche nuovi mestieri collegati alla distribuzione dei prodotti? Il figlio del mio verduriere sotto casa, che oggi ha 15 anni, tra dieci anni che lavoro farà? Esistono prospettive per l’e-commerce di prossimità, di quartiere?

Cambiamo dominio: la sanità e il welfare.
Siamo sicuri che tra qualche anno le infermiere continueranno a lavorare come fanno oggi? E gli operatori sociali sul territorio? E’ possibile, tanto per continuare sulla fantalavoristica, immaginare badanti in sharing? E se sì, quanta e quale tecnologia pervaderà anche questo “mestiere”?
E la figura dell’e-health manager, vogliamo parlarne?

Altro cambio di scena: la giustizia.
Siamo sicuri che non nascano nuove professioni in uno scenario di giustizia “full digital”? Saranno soltanto “segretarie e/o praticanti maggiormente confidenti con l’uso di PC/tablet/Internet”?
Molto probabilmente, la risposta è “no”.

Vogliamo parlare di open data? Parliamone.
Possiamo pensare che nascano agenzie di data brokering? E’ così tanto  stupido immaginare una figura professionale di “data miner” profondamente differente dall’odierno esperto di Business Intelligence?

Potremmo andare avanti per ore: dal turismo ai beni culturali, dal mondo dell’informazione alla finanza, eccetera eccetera.
A quel punto, i piani di acculturazione digitale rispetto alle professioni esistenti (“insegnare a una infermiera a usare il PC”) mostrano gli stessi limiti che caratterizzarono la stagione epica del primo e-government: digitalizzazione dell’esistente, tout court.
Anche su questo fronte delle competenze digitali, occorre metterci quel guizzo in più rappresentato dalla capacità di disegnare il futuro.
E tutto questo non può essere attuato – a mio avviso – su tavoli prettamente tecnologici: è necessario coinvolgere il mondo della scuola (prima di insegnare informatica ai geometri, tentiamo di capire come si evolverà la professione del geometra e costruiamo nuovi percorsi formativi anche a costo di stravolgere i programmi) e quello del lavoro.
Sarebbe fantastico se all’interno del “Jobs Act” ci fosse un capitolo interamente dedicato ai “new jobs”. Perché, insisto: questa non può e non deve essere una partita giocata dai soli tecnologi.

Un piano per le competenze digitali non può e non deve essere un elenco di figure professionali esistenti e un elenco di competenze tecniche da inculcare.
O meglio: può e deve essere così strutturato, ma a partire da una visione realistica e consapevole del modello di Paese al quale vogliamo tendere.

 

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