Droni in archeologia: se ne parla a Todi con Sonia Tucci

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Sonia Tucci è archeologa preistorica, esperta di GIS e docente certificato ESRI

Droni e archeologia, un binomio solo apparentemente insolito visto che il telerilevamento di prossimità sta trasformando la professione degli archeologi. Per questo motivo l’Istituto d’Istruzione Superiore Ciuffelli Einaudi di Todi, dal 14 al 19 luglio, ospita la prima summer school nazionale rivolta ad archeologi e operatori del settore dei beni culturali organizzata da Teamdev, in collaborazione con Planetek e Panoptes. A capitanare questa iniziativa Sonia Tucci, archeologa preistorica, esperta di GIS e docente certificato ESRI. “Le tecnologie ormai sono diventate lo strumento con cui affronto lo studio delle culture antiche – afferma Sonia – il viaggio attraverso la storia dell’uomo per mezzo di un binomio, quello della cazzuola & mouse, che inevitabilmente ti configura come un archeologo 2.0. È con questo spirito che ho organizzato la summer school nazionale di telerilevamento di prossimità e archeologia preventiva”.

Quanto è diffuso in Italia l’uso di droni nel settore dell’archeologia e della cultura? E quanto lo è all’estero?

In questi ultimi mesi i velivoli APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto), meglio conosciuti come droni, sembrano aver letteralmente invaso il panorama mediatico e culturale. Anche l’archeologia può accostarsi al mondo delle tecnologie, senza perdere il proprio fascino, anzi, sfruttandone le potenzialità arricchendosi di strumenti sempre più performanti. In Messico l’uso dei droni con termocamere ha permesso ad un team di ricercatori universitari di individuare e comprendere le dinamiche insediamentali di antiche popolazioni con tempi di acquisizione delle informazioni e costi notevolmente ridotti; in Giordania tali piattaforme sono state utilizzate per arginare le ripetute attività di spoliazione dei siti archeologici, mentre in Perù sono stati da ausilio all’indagine archeologica in ambiti in cui l’accesso antropico non si presenta particolarmente agevole.

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In Italia l’uso dei droni per la ricerca archeologica è conosciuto, sebbene ancora non sia ampiamente diffuso. Lavori interessanti vengono già svolti, ad esempio, in ambito di aerofotogrammetria digitale o rilievi architettonici ma quando si parla di diagnostica non invasiva e, conseguentemente, di telerilevamento di prossimità sono davvero pochi gli archeologi che ne fanno uso concreto e ne comprendono la reale portata.

Quali gli sviluppi professionali in questo ambito?

Fare ricerca, tutela, valorizzazione del patrimonio archeologico e, più in generale, culturale oggi significa avere la capacità di relazionarsi con le strategie messe in campo dalle smart city. Sempre più spesso l’archeologo si troverà di fronte alla necessità di confrontarsi con le logiche di una pianificazione territoriale ed urbanistica che tende all’ottimizzazione e all’innovazione dei servizi pubblici per poter collegare le infrastrutture materiali delle città e dei territori con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi vi abita, coniugando la componente tecnologica con quella sociale al fine di migliorare la qualità della vita e dell’ambiente.

In questa prospettiva è necessario riattualizzare un approccio operativo troppo spesso conservativo. Investire nell’utilizzo delle tecnologie di indagine non invasiva non significa “smettere di fare l’archeologo”, bensì dare nuova linfa vitale ad una professione e ai progetti anche mediante finanziamenti sempre più centrati su interventi che prevedono alti livelli di innovazione, mix funding, azioni di sistema e strategie condivise. Basta vedere le call di Horizon 2020 per poter capire dove verranno localizzati i nuovi fondi europei anche per i Beni Culturali.

Quali le competenze richieste per poter svolgere l’attività di “archeologo 2.0”?

Il cosiddetto “Archeologo 2.0” è prima di tutto un Archeologo, di conseguenza la formazione principale è quella che lo definisce come un solido e riconosciuto professionista in questo settore. Non ha senso fare uso di tecnologie se prima non si riesce a leggere una sequenza stratigrafica, non si comprende l’avvicendarsi delle trasformazioni di un territorio, non si penetra la dimensione culturale che è alla base di uno o più processi di antropizzazione di un determinato contesto territoriale. Le differenti tecnologie sono però strumenti che vanno conosciuti nelle loro complessità e in quest’ottica utilizzati.

La figura che si viene a delineare è per tale motivo, estremamente ricca ed articolata, frutto di anni di studio e di esperienza nella conoscenza e nell’utilizzo di sistemi informativi geografici, banche dati, telerilevamento, programmazione, rilevazione topografica, indagini geofisiche. Un corpus di conoscenze, tecnologiche e non, per poter avere la visione del dato archeologico il più completa possibile, in relazione ai diversi contesti di provenienza.

Quali gli ostacoli per lo sviluppo di tecnologie come queste e come pensi possano essere rimossi?

L’Archeologia, in un quadro normativo che la riconosce e la disciplina, diviene un ambito progettuale d’eccellenza. Non riconoscerle questo ruolo è l’ostacolo più grande allo sviluppo di nuove tecnologie al suo interno. Questo modello di ragionamento genera un diallele, un ragionamento circolare, un circolo vizioso.

A noi archeologi “ibridati” spetta il difficile compito di diffondere l’informazione, di far capire l’importanza dell’innovazione tecnologica, facendone però un uso corretto e realmente finalizzato alla produzione di un output scientifico, puntuale e coerente in una visione di progettualità e sviluppo condiviso.

Perché questa prima esperienza di summer school di telerilevamento di prossimità?

Formarsi sull’utilizzo di queste tecnologie porta anche a contestualizzare la figura dell’archeologo in una dimensione operativa “di precisione”. Nell’ambito del telerilevamento di prossimità è possibile lavorare in contesti archeologici altamente complessi mantenendo il livello di accuratezza metodologica estremamente elevato e limitando gli imprevisti operativi. Questo è uno dei motivi per cui l’”archeologia di precisione”, implementata dal telerilevamento di prossimità, può risultare estremamente funzionale, in particolar modo, nei cantieri di archeologia preventiva.

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