La spending review e gli open data: maneggiare con cura

Oltre che per le secchiate d’acqua gelata, ricorderemo questa estate 2014 per i pettegolezzi sulla spending review: dalla Val Pusteria a Panarea, passando attraverso Versilia, Maremma (con picco d’attenzione, ça va sans dire, dalle parti di Capalbio), Circeo e Ponza, tutto un florilegio di “Ma lo sa, signora mia, che in Calabria le siringhe costano dieci volte di più che in Trentino?”.
Ed è un bene, che se ne parli. Anche perché sta diventando ormai lampante che grandi alternative al mettere seriamente mano alla spesa pubblica, partendo da quella immediatamente aggredibile, non ce ne sono. Hai voglia a immaginare di far quadrare i conti in altro modo: non ce la si può fare, perlomeno nel brevissimo periodo.
spesa pubblicaCosì come è un bene che Consip abbia conquistato la platea dei talk show di prima serata, in quest’estate meteorologicamente antipatica come poche. “La7” ha mandato in onda un servizio giornalisticamente molto ben costruito, dove un fantomatico funzionario pubblico andava in un negozio specializzato in arredi per ufficio con l’obiettivo di farsi fare dei preventivi da confrontare, poi, coi prezzi medi del MEPA di Consip.
Prezzi più alti del 200, 250%. E lo stesso discorso vale praticamente per qualsiasi altra tipologia merceologica.
Benissimo anche sentire in TV che a Palazzo Chigi si sia tornato a parlare di drastica riduzione della quantità di stazioni appaltanti: 30.000 sono davvero tantine, per quanto ciascuno di noi possa essere affezionato (sempre ammesso che sia ancora possibile esserlo) ad un modello di Stato fondato sul decentramento e sul federalismo. Perché: un conto è essere federalisti, un altro è pensare che il Comune di Roccacannuccia possa spuntare lo stesso prezzo di Consip quando compra 5 fischietti e palette per i suoi vigili urbani.
Il tema del ridimensionamento (drastico) della spesa pubblica per beni e servizi deve diventare “pop”: perché è anche attraverso una piena consapevolezza e condivisione del problema che si può arrivare in tempi brevi a una soluzione definitiva, equivalente a un bel po’ di miliardi l’anno risparmiati.

Eviterei, se possibile, il ricorso al “benchmarking fai da te”: perché questa è stata anche l’estate dei numeri allo sbaraglio. Con qualche cronista a caccia di scoop che si improvvisa “data miner” e si mette a giocare con gli open data disponibili, in cerca di “quanto paga Tizio”. Salvo poi commettere l’errore di andare a pescare nel mare magno di SIOPE (il sistema informativo delle operazioni degli enti contabili gestito da Bankitalia) ed annunciare trionfante: “Il tal Comune spende 8 milioni l’anno in bolletta telefonica!”.
Peccato che …
Peccato che SIOPE, essendo nato con lo scopo ben preciso di rilevare puntualmente i flussi di cassa, è organizzato in modo tale per cui, se ad esempio il “tal” Comune nel 2012 non ha pagato le bollette del telefono e le paga tutte nel 2013, e magari nel 2013 paga anche le bollette del telefono riferite all’anno in corso, al giornalista data miner di turno scappa inevitabilmente il pateracchio e raddoppia la spesa telefonica.
Per non parlare dei casi (non infrequenti) in cui il “tal” Comune (o la “tal” ASL, e vale per tutti gli enti) intrattiene rapporti contrattuali “complessi” con provider di servizi e paga i mandati senza dettagliare più di tanto (attraverso il mitico “CPV”, vocabolario internazionale per gli appalti pubblici) la natura dei servizi acquistati.
Succede così (il caso che espongo è reale, provare per credere!) che se rileviamo i flussi SIOPE 2013 di un importante ospedale pubblico romano, troviamo che esso spende (paga) 10.862,40 Euro all’anno per assistenza informatica e manutenzione software (Codice Gestionale 3212), e addirittura 0 Euro all’anno per canoni telefonici (Codice Gestionale 3208).
I casi sono due: o quel tal ospedale  nel 2013 non ha pagato i fornitori, o li ha pagati su codici gestionali diversi. Ma il risultato non cambia: il cronista a caccia di scoop porta a casa un dato sbagliato.
Molti enti pubblici, ad esempio (soprattutto tra gli enti locali e le ASL), pagano “in bolletta telefonica” prestazioni erogate da Telecom Italia che col traffico telefonico non c’entrano niente. Ma tutto questo SIOPE non lo sa, ovviamente. Ed è giusto e sacrosanto che non lo sappia.
Intanto, però, si generano “i mostri”: enti che pare telefonino come pazzi in giro per il mondo, quando invece (anche in questo caso, parlo di cose reali) in quella “bolletta telefonica” sono compresi i servizi di “smart illumination”. Col risultato che il “tal” ente passa per spendaccione in telefonate quando invece attraverso l’illuminazione intelligente ha risparmiato un sacco di soldi.

Ricetta_elettronicaLo dico per esperienza diretta: l’Osservatorio Netics in questi mesi ha effettuato una rilevazione piuttosto precisa della spesa informatica e telefonica delle ASL italiane, portando a casa dati affidabili in quanto dichiarati dai diretti interessati. Ovviamente, confrontando questi dati con quelli di SIOPE (test effettuato la settimana scorsa su un campione casuale di 24 ASL italiane), il risultato è clamorosamente diverso.
A volte per eccesso, a volte per difetto: dipende da un sacco di fattori, a partire dalla cronica “aritmia” dei pagamenti a fornitori e dall’esistenza di contratti di “global outsourcing” che vengono pagati su codici gestionali non sempre rispondenti alla natura “complessa” della fornitura.
Bene, pertanto, attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla “esuberanza” della spesa pubblica per acquisto di beni e servizi: evitiamo però, se possibile, di cercare lo scoop giornalistico confrontando le mele con le pere. Il rischio è quello di “mandare in caciara” un discorso che invece è serissimo, e – se affrontato con professionalità – può aiutarci a venire fuori dai guai.
E, se proprio vogliamo fare i “benchmarking”, facciamoli utilizzando dati affidabili. A partire da quelli in mano a Consip.

Il resto, come sempre, è “chiacchiera e distintivo”.

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