Agenda digitale: eppure dovrebbe essere il contrario

Eppure dovrebbe essere il contrario: il nostro Paese non è solo in crisi ma è proprio un Paese in default, un fallimento strutturato e pervasivo che blocca ogni tentativo di crescita. L’Italia non dovrebbe essere gestita da un Presidente del Consiglio carismatico, giovane ed entusiasta, ma da uno spietato curatore fallimentare. Uno di quegli uomini tutto d’un pezzo, ligio, preparato, incorruttibile, certamente noioso e senza dubbio sottopeso. Un’immagine di austerità e rispetto delle regole e soprattutto di devozione alla fede economica.

È questo che ci meritiamo, ma gli italiani non lo vogliono. È questo il modello che dovremmo dare agli italiani, affinché ognuno si prenda le proprie responsabilità per poter superare, insieme, la crisi. Per voltare pagina serve il rigore, serve quel leopardiano studio matto e disperatissimo che permette di tradurre la genialità italiana in cose meravigliose, che permette di ricreare la bellezza, di innovare una vita di qualità. Gli italiani hanno bisogno di fare le cose professionalmente, di prendersi sul serio per credere nel proprio futuro. L’autostima deve essere alimentata e non si sfama di annunci, ma si droga di annunci. Eppure, la politica continua a farli: le home page dei siti istituzionali di ogni ministero lanciano misure per milioni finanche miliardi di euro: pacchetti per la crescita che indicano ingenti investimenti senza perdersi in dettagli sui risultati sperati, sui ritorni calcolati.

NEWS_120829Eppure dovrebbe essere  il contrario: i cittadini italiani che pagano le tasse più alte d’Europa dovrebbero arrabbiarsi nel vedere i propri soldi spesi senza poter analizzare chiaramente il piano che vi sta alla base, dovrebbe ma non è così. L’ennesima dimostrazione che siamo tutti responsabili, un po’ come accade per l’agenda digitale. Siamo ultimi o quasi ultimi in Europa in troppe cose: infrastrutture a banda ultralarga veloci – perché il mercato non investe, utilizzo regolare di internet perché gli over 50 non si impegnano, competenze digitali nei giovani perché le scuole non sono all’altezza… colpa di tutti insomma, una nazione che non riesce più a competere, perché ha smesso di lottare pensando che la responsabilità sia dell’altro.

Non adagiamoci sul fatto che avendo concepito figli nativi digitali questi possano avere il bagaglio culturale sufficiente per: competere con il resto del mondo e, addirittura superare analfabetismo digitale dei loro nonni. Non è così, come non bastava saper leggere ora non basta saper usare uno smartphone!

Dobbiamo impegnarci di più perché Il mondo è sempre più complesso e la competizione sempre più globale. All’Italia serve una buona scuola, proprio così e forse fra le nuove materie obbligatorie occorrerebbe insegnare il rispetto per sé stessi, il proprio lavoro e il proprio Paese, in altre parole insegnare ad assumersi le proprie responsabilità.

Agassi, il tennista campione del mondo che di tenacia, disciplina e senso del dovere ne sapeva parecchio, faceva ripetere ogni giorno agli studenti dropout della scuola da lui istituita “The essence of good discipline is respect. Respect for authority and respect for others. Respect for self and respect for rules. It is an attitude that begins at home, is reinforced at school, and is applied throughout life.” Per una buona scuola servono dei buoni insegnanti e per una scuola competitiva servono degli insegnanti aggiornati e che sappiano utilizzare gli strumenti con cui si fa business oggi.

Ho letto delle interviste a docenti che dopo quasi un decennio da sindacalisti, sono costretti a tornare a scuola ad insegnare per volontà del Ministro Madia, ebbene, dopo 10 anni affermano che insegnare sia come andare in bicicletta e quindi non serva rimettersi a studiare! Non c’è nulla, nemmeno l’insegnamento della preistoria, che non sia cambiata negli ultimi 10 anni: pensiamo alle ricostruzioni 3D che possiamo fare oggi della Mummie Chinchorro, pensiamo alle visite virtuali ai musei di tutto il mondo, a partire da quello di Torino. Come si può considerare buona una scuola così?

Stratford_Public_School_wideweb__470x319,2Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca questo lo sa bene e speriamo che con questo nuovo piano si riesca concretamente a cambiare la nostra non più buona scuola, che pare chiederci, come si fa nella scuola di Agassi, di credere che ogni studente possa imparare e, n questo caso – che anche ogni docente possa dare un tocco digitale al suo metodo di insegnamento. E ricreare un po’ di sana competizione, fra scuole e fra docenti, è il miglior metodo – a costo 0 – per aumentare la qualità della scuola italiana.

Una grande riforma che considererei più una rivoluzione se contiamo le persone coinvolte: 7,8 milioni di studenti per un totale di 366 mila classi ripartitte in 8.644 istituzioni statali e 41.483 sedi, 728 mila docenti di ruolo e 101 mila insegnanti di sostegno dedicati a oltre 200 mila discenti disabili. Per vincere e cambiare servono gli strumenti, le infrastrutture tecnologiche adeguate. Non parlo di LIM o PC, per i quali pare il Ministro Giannini preferisca fare appello al BYOD (bring your own device)  e a tecnologie non proprietarie e neutre, quanto alle infrastrutture di telecomunicazioni a banda ultralarga senza le quali è impossibile trasformare le antiquate e superate lezioni tradizionali in un didattica interattiva e multimediale.

Secondo quanto affermato nel Piano “la buona scuola” del MIUR nel 2014 “solo il 10 per cento delle scuole primarie e il 23 per cento delle scuole secondarie è connesso a internet con rete veloce. Le altre sono collegate a velocità medio-bassa, ma con situazioni molto differenziate e spesso insufficienti a mettere in rete il solo ufficio di segreteria, o il laboratorio tecnologico. Quasi in una scuola su due (46%), la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette quell’innovazione didattica che la Rete può abilitare”.

Un gap da colmare con la massima urgenza e di cui possediamo già lo strumento capace di risolverlo nei prossimi due anni se adeguatamente sostenuto e finanziato da Governo centrale e regioni: il Piano strategico banda ultralarga già in corso di attuazione e che, investendo 2 miliardi di euro, garantisce almeno 30 mbps a tutti gli italiani e ad almeno 100 mbps a tutti gli uffici strategici della pubblica amministrazione. Si tratta di collegare a 100 mbps tutte quelle sedi in aree a fallimento di mercato, ovvero non raggiunte dagli operatori privati. L’attuazione del Piano banda ultralarga da parte di Infratel Italia, per conto del Ministero dello sviluppo economico,  permetterebbe quindi di avere in due anni tutte le scuole saranno connesse a 100 mbps potendo così applicare le forme di didattica digitale previste del Piano scuola.

Sostenere il piano strategico banda ultralarga, quindi significa sostenere il piano scuola. Un esempio di lavoro di squadra, ottimizzando le risorse, evitando duplicazioni e sperperi. Un piano serio che chiarisce gli investimenti da fare e i risultati tangibili. Un piano in cui l’Italia deve credere e deve puntare subito per poter cambiare, dotando i propri cittadini di quell’infrastruttura di cui ogni altro Paese europeo può vantare condizioni migliori delle nostre. Un deficit, quello delle infrastrutture digitali italiane, che come la scuola deve essere colmato subito, con urgenza, per poter aprire le porte a nuovi lavori, a nuovi mercati, incrementando la produttività nazionale in ogni settore dell’economia, con un effetto moltiplicatore calcolato da molti, ma certamente ancor più inesplorato.

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Rossella Lehnus, classe '83, esperta di economia digitale, già Consigliere per le Reti e l'innovazione del Ministero dello sviluppo economico, gestisce i rapporti tra questo, la Commissione europea e le Regioni per l’attuazione del Piano Nazionale Banda Larga e del Piano Strategico Banda Ultralarga nel territorio italiano. Nell'ambito degli accordi siglati tra Ministero dello sviluppo economico, Fondazione Ugo Bordoni e Agenzia per l’Italia digitale e tra questa, Invitalia e Infratel Italia, si occupa del Piano Nazionale di razionalizzazione e consolidamento dei Datacenter della PA. È referente del Ministero dello sviluppo economico – dipartimento impresa e internazionalizzazione per l’attuazione dell’accordo di programma con Unioncamere volto alla digitalizzazione delle imprese italiane.

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