L’estate sta finendo (e un anno se ne va)

Anche se tecnicamente siamo ancora in estate, su molti fronti aperti della politica e dell’economia siamo in pieno autunno caldo: scioperi annunciati, tensione alle stelle nei rapporti col sindacato, qualche ulteriore resa dei conti nei salotti buoni dell’imprenditoria e della finanza.
Dove invece siamo ancora all’arietta fresca di aprile è nell’assopito mondo dell’Information Technology: qui regna calma piatta, e non succede nulla. Tanto da avvertire persino il più o meno insano desiderio di alzare i toni.

digitalAncora non ci è dato sapere se e quando potremo leggere il mitico “Digital Act”, documento che gira in bozze (plurale: ne esistono versioni differenti, come se ciascuno degli addetti ai lavori stesse scrivendo la sua in totale autonomia) tra i palazzi romani della politica e della lobby in attesa (pare) di trasformarsi in Decreto entro novembre.
Nel frattempo, l’industria IT fatica a mandare avanti la carretta quotidiana e – cosa ancora peggiore – ad avere un minimo di chiavi di lettura rispetto al futuro. Soprattutto per quanto riguarda la pubblica amministrazione, dove abbondano piani e disegni di digitalizzazione ma nessuno ormai parla più di politica industriale.
Vorrei spiegarmi bene: con l’espressione “politica industriale” non mi riferisco a un approccio statalista dove qualcuno si preoccupa di pianificare la produzione dell’ennesimo calcolatore o dell’ennesimo software, quanto piuttosto di uno sforzo di elaborazione di una vision. Cosa immaginiamo per l’Italia, quale ruolo potrà avere (o non avere, basta saperlo così uno si organizza) l’industria IT all’interno di un disegno di rilancio complessivo del Paese?
In uno scenario orientato al contenimento dei costi, l’informatica sarà vista come il principale driver per un significativo cambio di passo della PA o piuttosto come “la spesa inutile destinata a soccombere sotto la mannaia dei massimi ribassi d’asta”?

Seconda domanda: come pensiamo di risolverlo, il problema delle società IT in-house?
Attenzione: perché qui il tema non è decidere se le in-house sono buone o cattive, se vanno privatizzate o tenute rigorosamente sotto la mano pubblica. Il tema è piuttosto quello di fare in modo che tutte le in-house smettano di scrivere software e di fare assistenza ai PC (c’è un mercato capace di garantire questo tipo di servizi a prezzi decisamente più competitivi) e si riconfigurino come Agenzie Regionali per l’Innovazione, magari coordinate da AgID in modo da evitare le reinvenzioni della medesima acqua calda (leggi: bollo auto, fascicoli sanitari elettronici, software amministrativo-contabile) e da avviare quel benedetto percorso di smart specialization immaginato dall’allora ministro Francesco Profumo e dai suoi più stretti collaboratori.

Oppure, in uno scenario diametralmente opposto, vengano vendute (magari in blocco, tutte insieme) a qualche grande gruppo capace di trarre valore da qualcosa che oggi come oggi di valore ne genera sempre meno (ricavi in calo ormai da 5 anni di fila).
Anche queste sono decisioni, anche questa è politica industriale.
Non sarebbe male se il percorso di costruzione del Digital Act venisse aperto a contributi provenienti dalle associazioni di categoria e fosse gestito su tavoli aperti.

Come dire: una sorta di Open Data anticipato.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here