Quando lo sharing diventa Community

Nell’articolo del 2 luglio, avevamo fornito una classificazione dei servizi collaborativi rientranti nella definizione di sharing economy assunta come incipit del nostro viaggio.

Tabella1

Dopo l’analisi dei modelli Business, ora descriviamo i modelli C-2-C, cuore dell’economia collaborativa nell’immaginario collettivo (v. tabella). Abbiamo differenziato due approcci chiamandoli:

–         “Sharing as a lifestyle” (ampia gamma di prodotti),
–         “Sharing as a solution” (prodotti specifici),

dove la relazione P-2-P è funzionale all’incremento del tasso di utilizzo di beni e competenze altrimenti inutilizzati, “attivando” – con la condivisione – una multiplazione delle possibilità di fruizione imperniata sulla centralità dell’utente. Queste due tipologie favoriscono un maggior benessere per gli attori dello scambio, con impatto ambientale nullo e massimizzazione dell’utilità marginale del denaro.
Considerando l’evidente razionalità cartesiana dei modelli indicati, viene naturale domandarsi perché la nascita di questi modelli sia avvenuta solo adesso.

In primo luogo, emerge il ruolo determinante della tecnologia che consente l’incontro della domanda di beni con la disponibilità degli stessi e favorisce il tracciamento dei comportamenti d’uso, generando quindi le condizioni per un affidamento basato sulla reputazione sociale. Tuttavia, il successo di questi modelli necessita di un modello sociale in cui al fattore identitario del possesso si sostituisca quello dell’utilizzo. E’ il passaggio più delicato perché i modelli di consumo tradizionali hanno convalidato l’acquisto come espressione di potenza sociale, rendendolo quindi anche radicata fonte di gratificazione personale. Una rieducazione alla razionalità dei modelli distributivi dovrà necessariamente essere un processo graduale, accompagnato da testimonial in cui ci si possa identificare in termini positivi. Ci vuole un cambio di paradigma che sostituisca l’esperienza d’acquisto con quella di uso.

Sharing as a solution 

Le iniziative classificate come sharing as a solution rappresentano ad oggi le esperienze di maggior successo e condividono un modello di revenue con commissioni percepite sulle transazioni effettuate dagli utenti.
Sono contraddistinte dalla focalizzazione su un’esigenza verticale cui danno una risposta specializzata, attraverso lo sviluppo di abilitatori tecnologici dedicati e sviluppati in profondità.

Airb1Airbnb, sito specializzato nell’affitto temporaneo di alloggi, è sicuramente il caso di maggior risonanza con circa 4 milioni di affitti annui, proposte di affitto in circa 200 paesi nel mondo ed una presenza organizzativa che si va consolidando, attraverso l’apertura di 12 uffici internazionali nel solo 2012.
Airbnb
Oggi parliamo di una realtà di grande successo, giunta sin qui perché alla positività dell’originaria intuizione ha corrisposto grande resilienza nell’affrontare il percorso di crescita che – (v. infografica) – è stato più lungo di quanto si possa immaginare. Il crescente successo di Airbnb è stato accompagnato dall’elevarsi di un movimento critico che – alimentato anche dall’industria turistica tradizionale – ha poggiato sull’assenza di una normativa di riferimento, dando luogo a diverse controversie giudiziarie importanti. Ne consegue che l’affermarsi della sharing economy deve accompagnarsi con la sua regolamentazione: eventuali comportamenti dilatori non fanno che legittimare le inevitabili istanze critiche.
Tuttavia il grande successo di Airbnb si fonda anche su un altro elemento: rende estremamente più efficiente e rapido un modello di transazione già esistente da tempo, l’affitto temporaneo di alloggi.

Completamente diverso il caso di Blablacar, che opera nella condivisione di mezzi di trasporto, con il vantaggio di ripartire le spese di viaggio tra conducenti e passeggeri con la medesima esigenza di spostamento. Definisce un modello di servizio non preesistente. Il vantaggio per il conducente risiede nel condividere le spese di viaggio godendo di compagnia in un tragitto di durata medio-lunga. Simmetricamente, il passeggero può raggiungere la propria destinazione con una spesa inferiore al costo di un biglietto ferroviario. BlaBlaCar conta 9 milioni di utenti iscritti in 12 Paesi e oltre 2 milioni di viaggiatori mensili.

Si registra un’occupazione media per veicolo di 2,8 occupanti (+75% rispetto alla media dei veicoli circolanti) con rilevante alleggerimento dell’impronta ambientale: riduzione delle emissioni di CO2 stimata a 700.000t.

Sharing as a lifestyle 

Il nostro viaggio nelle discontinuità introdotte dalla sharing economy prosegue con modelli che intendono fare della condivisione lo strumento per massimizzare la disponibilità di beni e servizi di cui le singole persone possono fruire. La value proposition di questi modelli è la valorizzazione dei beni/competenze inutilizzati (o parzialmente utilizzati), consentendo al proprietario di ricavarne un guadagno, mentre l’utilizzatore paga solo per l’effettiva fruizioneL’intuizione di fondo ruota intorno al costo opportunità pari a zero in quanto si tratta di beni/competenze già disponibili e non (pienamente) utilizzati.

La razionalità del modello è evidente, ma deve fare i conti con due barriere importanti, ovvero le eredità dell’economia del possesso (con il correlato della gelosia per i propri beni) e le complessità logistiche insite nello scambio. L’abbattimento di tali barriere si struttura in due direzioni.

Da un lato, con la creazione di sistemi di garanzia di tipo assicurativo o attraverso i sistemi di rating che dispiegano un’efficacia crescente via via che il singolo partecipa attivamente agli scambi. Dall’altro con la creazione di dinamiche sociali che rafforzano la godibilità dell’esperienze di utilizzo dei beni noleggiati sulla piattaforma, sia per la possibilità di scambiarsi suggerimenti tra gli iscritti, sia per la creazione di relazioni tra soggetti con il medesimo profilo di interessi.

useitA questo modello appartiene useit – nata all’inizio di quest’anno – che enfatizza la logica dello “SHARING AS A LIFESTYLE” proponendo la condivisione tra gli iscritti di beni, servizi e spazi, potenzialmente atta a soddisfare la totalità dei fabbisogni dei partecipanti. La piattaforma si connota per l’utilizzo di una moneta virtuale – lo u-coin – convertibile in euro.  Gli elementi differenziali sono l’assenza di commissioni sugli scambi e la presenza di una garanzia fino a 2000€ (crescente in funzione della frequenza e delle modalità di partecipazione dell’iscritto alla piattaforma).
In coerenza con la logica della condivisione, useit pone alla base del proprio agire il tema della responsabilità sociale, devolvendo il 10% del proprio fatturato ad associazioni benefiche e proponendosi di finanziare con gli utili le iniziative dei partecipanti.
loclAltro brillante esempio di operatore che coopera all’affermazione dello SHARING AS A LIFESTYLE è LocLloc. Si configura come un sito di noleggio tra privati, percependo il 20% di commissione sul prezzo del noleggio e garantendo i beni – attraverso un intermediario assicurativo – fino a 999€.
Anche in questo caso, siamo di fronte ad un operatore tendenzialmente trasversale, con la sola limitazione dell’impossibilità di offrire servizi. A conti fatti, gli operatori di quest’ultima interpretazione della sharing economy stanno gestendo una sfida più articolata. Alla rilevanza degli elementi di innovazione sociale – presenti per esempio anche in BlaBlacar, meno radicali in Airbnb – si associa, infatti, la trasversalità a diverse categorie di beni e servizi, un plus da valorizzare nel medio periodo.

La prevedibile roadmap evolutiva sarà resa possibile dalla resilienza e disponibilità a confrontarsi tra le diverse iniziative, cooperanti per, più che competitori ne, la Sharing Economy.

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