Elegia del Fare. 2 – Ancora i Comuni

Nel tentativo di mettere in fila una serie di iniziative immediatamente attivabili nel percorso di digitalizzazione della PA e di dispiegamento generalizzato del digitale, rimaniamo nel dominio dei Comuni e dell’innovazione possibile.

Ancora non sappiamo se verrà concessa la deroga al patto di stabilità per gli investimenti e le spese in innovazione tecnologica e di processo, e non sappiamo neppure se verrà messa nel DEF la norma che istituisce i mutui di Cassa Depositi e Prestiti destinati allo sviluppo dell’agenda digitale. Non sappiamo, quindi, se l’agenda digitale nella PA locale italiana rimarrà una chiacchiera da bar o si trasformerà in progettualità specifiche alimentando un mercato oltre che un circuito virtuoso di innovazione.

Tasche-vuoteOrmai da più di 5 anni, esaurite le ultime code del piano nazionale di e-government e dei relativi e sottostanti bandi di cofinanziamento, alle ICT nei Comuni vengono riservati gli spiccioli rintracciati qua e là nelle pieghe dei bilanci. Alcuni grandi Comuni hanno portato a praticamente zero la spesa IT in conto capitale, dopo aver drasticamente tagliato anche la spesa corrente a suon di spending review e rinegoziazioni coi fornitori.

Nei piccoli e medi Comuni le cose vanno probabilmente un pochettino meglio, in quanto i responsabili dei sistemi informativi sembrano riuscire più facilmente a “difendere” i loro piccoli tesoretti.
Tesoretti che purtroppo, però, vanno ad alimentare un mercato nervosissimo frequentato da fornitori in perenne lotta fra loro. Risultato: prezzi in caduta libera, software regalato (e niente è più dannoso del regalare software, incrementando la leggenda metropolitana del “si può fare tutto pagando pochissimo”), lock-in sui dati, eccetera.
Risultato collaterale: stentano a decollare i grandi progetti nazionali giustamente e fortemente voluti dalla Cabina di Regia del biennio 2011-2013: ANPR in prima fila, dove si assiste allo spettacolo di produttori di software di demografia che si propongono come “fornitori di dati”, ammettendo candidamente (nel corso di riunioni ufficiali, secondo fonti ben informate) che “tanto i piccoli Comuni sono in mano nostra”.
Verrebbe da dire: “a questo punto, ben venga il software unico di Stato per tutti i Comuni”, se questo può servire a risvegliare un mercato completamente intontito da sogni di oligopolio.
Il fatto è che, invece, di fornitori seri ce ne sono. E più d’uno.
E non si meritano la mazzata del Software di Stato.

Quello di cui si sente davvero il bisogno, è di un’autorità capace di pubblicare un set minimo (e reso assolutamente obbligatorio) di norme di interoperabilità e di funzionalità di scarico dati verso il Centro.
E magari, anche un set minimo di dotazioni tecnologiche al di sotto delle quali un Comune viene “commissariato” dal punto di vista dei suoi sistemi informativi.
Si potrebbe introdurre il concetto di “LET” (Livelli Essenziali di Tecnologia), affidando all’AgID il compito di normare e monitorare costantemente il loro rispetto da parte di tutte le amministrazioni.
Mettendo a disposizione di quelle amministrazioni che per ragioni economico-finanziarie e/o organizzative non riescono a “farcela da sole” un’infrastruttura centrale sussidiaria.

Ma anche (o, forse, “soprattutto”) un insieme di regole minime da far rigorosamente rispettare ai fornitori in modo che non si trasformino in “furbetti del quartierino”.

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