Assistere il cliente per resistere alla crisi: il suo ROI (a lungo termine)

«Il vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l’Italia o la crisi […], ma i suoi azionisti di riferimento e il suo amministratore delegato. […] Se il cliente è contento, prima o poi lo sarà anche l’azionista». Così Della Valle provocava Marchionne dalle pagine del Corriere della Sera nel settembre 2012, richiamando però l’attenzione su un problema attuale per tutte le aziende: il difficile rapporto tra «soddisfazione del cliente» e «soddisfazione degli azionisti», tra il mito del profitto a tutti i costi – obiettivo soldi sempre, anche se «pochi, maledetti e subito» – e quello di una più circospetta, ponderata e prudente (ma non meno proficua) attenzione costante a chi già ci ha scelti una volta.

Muhammad Ali«Total shareholder return» o «customer centricity»? Pensare a far soldi e compiacere gli azionisti o porre al centro il cliente, con tutto il caring che ciò comporta? Questo l’interrogativo che spesso si pone ai Brand specie in questi ultimi anni di crisi. E le aziende che, se vogliono resistere, si trovano a dover essere «resilienti» – a imparare a «sopravvivere oltre la crisi» venendone fuori e rinascendo a vita nuova – devono capire che strada prendere: se prediligere le cedole da staccare agli azionisti nel breve periodo o instaurare un percorso a più lunga scadenza che, per focus, abbia il cliente e la sua satisfaction.

«Resilienza»: ne abbiamo già parlato, mostrando come proprio il Social Care sia uno dei suoi principali driver: parte del suo DNA, del patrimonio genetico delle compagnie che «ce la fanno» – tra i principali motori, dunque, che possono spingere le aziende fuori dal buio della crisi. Per divenire resilienti – mantenere l’equilibrio nonostante le avverse forze esterne, contrastandole e raggiungendo così gli obiettivi di business – occorre una prospettiva di lungo termine, che guardi al futuro dell’identità del Brand. Ciò richiede «autenticità», «trasparenza», un’immagine affidabile che conquisti la fiducia dei clienti: un altissimo livello di «customer centricity», di «dedizione sincera alla cura dei clienti, ai loro bisogni», pronta a «sacrificare obiettivi di profittabilità a breve pur di legare i clienti al sistema per il lungo periodo». Le aziende che «ce la fanno» sono quelle che «curano» assistendo e donando se stesse all’altro, mentre comunicano e coinvolgono la community: in un «comunicare e coinvolgere» i propri clienti che non dimentica mai la propria rete di contatti e se ne prende cura costantemente, ascoltando e dialogando ogni volta che trasmette il proprio messaggio. L’azienda che ce la fa è quella che «comunica, coinvolge, cura»: fa sue «le 3 C» del Social Media Marketing, essenza di ogni gestione delle social community che intenda arrivare al successo.

Un ragionamento in apparenza abbastanza lineare: tutt’altro, nella realtà. Quando si arriva mese dopo mese nei CdA guardandosi negli occhi e chiedendosi che fine abbiano fatto, che ROI abbiano dato i tanti investimenti per risanare i bilanci, non è così semplice tranquillizzare gli animi e far assumere per buona la versione «ci vuole tempo». Quando i soldi mancano perché escono e basta, gli animi scalpitano: occorre un management “con gli attributi” per far comprendere che i parametri di valutazione sono cambiati e che è inutile, nonché dannoso, mirare a ricavi nel breve periodo. «La strada del profitto fine a se stesso non ha portato risultati buoni» alla lunga, ricordano Pirotti e Venzin nel loro studio «Resilience», frutto di una ricerca triennale sul tema: ci vogliono parametri diversi, come il nuovo indicatore VOLARE, con focus sulla «SSP» a lungo termine, che non pensi solo a moltiplicare le entrate oggi, ma sappia «rinunciare a una parte di profitti, se questo significa maggiore stabilità». Una «sana e prudente gestione manageriale» ben riassunta dalle parole di Jack Welch, già CEO di General Electric: «Il valore degli azionisti è la più terribile idea del mondo. Esso è il risultato, non la strategia. Gli asset portanti di un’azienda sono i dipendenti, i consumatori e i prodotti».

Return-on-Investment-ROIAl centro insomma non c’è più l’azionista, ma il cliente: non il profitto fine a se stesso, ma un atteggiamento «outside-in» ove è dal Customer che parte tutta la macchina organizzativa. Apple, Google, Amazon, con la loro «ossessione per il cliente», sono un esempio di questa filosofia. Dal design di prodotto alla sua realizzazione, distribuzione, vendita, assistenza: tutto si configura in base alle richieste ed esigenze del cliente. Anche precedendole, “inventandole” se necessario (Steve Jobs insegna): tutto per soddisfare – persino preventivamente – il cliente, realizzando i suoi sogni e garantendosi così un’assicurazione sulla vita che, se non darà frutti tangibili oggi o domani, certo ne maturerà di succosi dopodomani. A beneficio non direttamente nostro, ma dei nostri figli: di chi verrà dopo di noi, della azienda come tale.

«Customer Centricity», intesa oggi in maniera inevitabilmente social come «Social Customer Care» a 360 gradi, significa qui anzitutto, come spiega lo studio SDA Bocconi:

  1. «amore per il prodotto», da curare e customizzare in base alle esigenze sempre più personalizzate del destinatario, rendendolo «sofisticato», capace di rispondere a ogni bisogno ma, al contempo, semplice, di immediata fruibilità;
  2. eccellenza, massima efficienza nei processi, da snellire per evitare che la macchina si inceppi e possa creare problemi al cliente;
  3. innovazione, intesa come predisposizione e prontezza alla sfida del cambiamento, a trasformarsi divenendo qualcosa di nuovo, se si individua un bisogno anche “inconsapevole” del cliente ancora da soddisfare, anticipandolo e “creandolo”.

«Sul ring o fuori non c’è nulla di male nel cadere. È rimanere a terra che è sbagliato». Così Muhammad Ali, a monito per tutti i Brand che non abbiano il coraggio di accettare il challenge del cambiamento, per venire incontro alle esigenze di chi ti ha dato fiducia e, dunque, alle tue stesse esigenze.

Come si vede, ad esser posta male è pertanto proprio la domanda iniziale. «Total shareholder return o customer centricity»? Attenzione: non si tratta di un aut aut, ma di un et et: o meglio ancora di arrivare ai profitti proprio grazie al Caring, al «Social Care». Un’azienda resiliente, che sopravviva alla crisi, non può prescindere dal «comunicare, coinvolgere, curare» il proprio network: proprio così si arriva al business. Vuoi vendere, insomma?… Aiuta!

 

Facebook Comments

Previous articleGartner: entro 2018 tablet e smartphone saranno accesso principale alla rete
Next articleTlc, Ansip: su pacchetto Ue serve accordo e più ambizione
Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here