Brain Computer Interface: il pensiero all’opera?

Era il 1999 quando incontrai per la prima volta le BCI: Brain Computer Interfaces. Promettevano il futuro di un’interazione diretta fra la “macchina” informatica e il cervello di una persona, senza mediazione alcuna delle consuete periferiche che utilizziamo quali mouse e tastiera. Da allora queste periferiche sono cambiate, si sono diversificate, ad emulare la funzione del mouse e a sostituirlo talvolta è arrivato il touch e le tastiere sono diventate avvolgibili. Ma nulla ancora raggiunge – almeno nell’esperienza user finale – le promesse di una BCI.

Ai tempi la ricerca intravedeva in questa diretta connessione dei traguardi importanti anche legati alla possibilità di restituire porzioni di autonomia a persone che, a causa di una severa disabilità motoria,  vivessero la condizione di una paralisi degli arti: a vicariare queste autonomie è arrivato via via il puntatore oculare in grado di consentire ormai a molte persone il controllo del computer tramite la trasformazione del movimento degli occhi in puntamento che dirige il cursore sullo schermo. Anche se questo può già sembrare un “miracolo tecnologico”, è ancora la Brain Computer Interface a promettere un futuro di totale smaterializzazione delle interfacce poiché agisce attraverso la lettura delle onde cerebrali, dei pattern elettrici, riuscendo a tradurli in comandi di azione per un computer.

braincomputerProvare un’interfaccia cerebrale è entusiasmante perché, senza quasi capire come possa avvenire – dato che di fatto non si compiono azioni fisiche – si vede il puntatore muoversi suuno schermo toccandone vari punti… Come avviene? Il controllo del pensiero c’entra qualcosa? Ovvero si può stabilire l’equivalenza: penso “su” e il cursore sale, penso “giù” e scende? La risposta è no, niente di più lontano dal funzionamento di un’interfaccia cerebrale che non consiste nella realizzazione visibile del pensiero.

Il suo funzionamento, invece, è il risultato di un’attività cerebrale attivata in alcune zone del nostro “motore principale”, il cervello appunto, tramite un preciso training che forma l’utlizzatore su come poterle rendere attive. Una BCI, dunque, funziona non attraverso il pensiero ma giungendo a individuare e capire quali pensieri possano attivano certe aree del cervello che poi vengono decodificate e tradotte in input per una periferica. Per questo chi prova una BCI viene invitato non tanto a pensare un comando da dare, attraverso il pensiero, ad un device ma, per esempio,  ad immaginare un movimento o a strutturare un pensiero intenzionale legato ad una qualsiasi azione; oppure viene rilevata l’attività che si innesca nel cervello come reazione ad uno stimolo prodotto dall’esterno. Ogni attività cerebrale è un’attività elettrica traducibile in comando dopo essere stata rilevata tramite una cuffia con elettrodi in grado di captare quei percorsi attivati… un po’ come fa un elettroencefalogramma. Le connessioni sinaptiche, nel cervello di ogni essere umano se ne stima un milione di miliardi!, esprimono dunque pura attività elettrica configurando una centrale operativa che viaggia alla velocità della luce ed in cui tutto è già digitale, interconnesso, linkabile e aperto al tempo stesso: un sistema plastico in continua evoluzione.

Ecco, allora, che la macchina computer e il cervello riescono a poter interagire parlando la stessa lingua elettrica, grazie alla traduzione in bit dei comandi prodotti da tale attività a livello cerebrale: arrivano quindi come input al computer /macchina/device che riceve un comando e reagisce tramite un output che visualizza il risultato visivo di quanto ricevuto: il cursore può spostarsi sullo schermo, si possono accendere/spegnere luci, cliccare opzioni varie in un ambiente digitale.

BrainIl primo a studiare e sperimentare le interfacce cerebrali fu l’ambiente militare: Giappone  e Stati Uniti, già prima che la ricerca si spostasse in ambito civile e medico, erano interessati a poter giungere ad una gestione di questo tipo di mezzi militari. Oggi la sperimentazione è molto più ampia e tocca anche la domotica, soprattutto per le opportunità di controllo/gestione ambientale soprattutto se si pensa ad un utente paralizzato nei movimenti. Ci sono volontari in tutto il mondo che si prestano per ricerche di settore e anche l’Italia ha il suo percorso, un percorso che rappresenta una vera eccellenza,  orientata all’applicazione delle BCI con le persone con disabilità: dagli anni ’90 un progetto di ricerca europeo aveva già iniziato a far lavorare insieme il Dipartimento di Fisiologia umana dell’Università La Sapienza di Roma con alcune università e centri di ricerca del nord europa proprio lavorando intorno ad un’interfaccia cerebrale che potesse andare verso il mercato per essere utilizzata da persone con disabilità. Da lì e fino ad oggi sono sorti altri punti e spazi di ricerca anche verso altre direttrici, tutte fiduciose di essere quasi al punto di svolta, quello che supererà le sperimentazioni, gli alfa e beta test, i progetti pilota e che diverrà una chance per tutti quelli che grazie ad alcune caratteristiche fisico-sensoriali e cognitive potranno utilizzarle.

Il dibattito e la ricerca sono tuttora aperte, seppur ancora sconosciuti a molti, ma si stanno orientando verso la possibilità di usare una BCI con sistemi operativi consueti, o di far sì che interagisca anche con un tablet e non per forza con un computer perché anche le Brain Computer Interface stanno subendo una trasformazione, un “alleggerimento” tecnologico che vuole mirare ad una semplificazione tale da poter giungere a farne un prodotto consumer. On line si può rintracciare “Brain Factor” una rivista scientifica italiana dedicata a questi temi. Recentissima, di questo mese, è la notizia di una nuova frontiera di sviluppo tecnologico in questo campo: un articolo pubblicato su “Technology Review” del MIT annuncia una BCI wireless.

Ciò dimostra come la storia  della Brain Computer Interfaces continua e il futuro sarà affascinante, attraente, utile, tutto da vedere, pensare, agire anche grazie a una Brain Computer Interface. E’ il caso di dire che nei laboratori di ricerca di mezzo mondo… il pensiero è all’opera!

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Giornalista pubblicista e Dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione con un progetto sulla “Cultura accessibile”, dal 2011 al 2013 è stata assegnista di ricerca nel Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale (CoRiS) della Sapienza Università di Roma per un progetto sulla e-Inclusion nel lavoro delle persone con disabilità finanziato dall’Istituto Superiore di Comunicazione e Tecnologie dell’Infromazione (Iscom) del MISE. Da oltre un decennio svolge ricerca sulle opportunità offerte dall’ICT nel promuovere e realizzare l’inclusione e la partecipazione delle persone con disabilità. Ha lavorato nella Fondazione ASPHI Onlus di Bologna occupandosi di integrazione dei disabili tramite assistive technologies. Nel 2013 ha promosso la seconda edizione del seminario “Inclusione digitale. Promotori di accessibilità” realizzato nel Dipartimento CoRiS insieme con IBM Italia. E’ Docente a contratto di Tecnologie Digitali per l'Apprendimento presso l'Università Lumsa di Roma. Ha scritto numerosi articoli e saggi sul tema tra cui “Sciences for Inclusion. Cultural approach to disability towards the Society for all” e “Oltre il senso del limite" di Bonanno Editore.

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