Grandi notizie questa settimana, si direbbe, per clienti social. Grandi notizie invece, in realtà, per i brand. E per i troll, che quanto a business imperano.
Numerose infatti le novità provenienti dal mondo web e social d’interesse del social caring. Se però volessimo chiederci quale sia lo stato del #SocialCare in questa metà giugno, al giro di boa del 2015, ne verrebbe un quadro sempre più «caring» solo in apparenza – e sempre meno, in realtà, «social». Con meno «cuore», dedizione e «social devotion». «Business oriented» piuttosto, com’è pure fisiologico. E anche però, inconsapevolmente, «troll oriented».
Quattro le news a fotografia di questa sintesi:
- Facebook: Pages, «very responsive to messages». Dell’ultim’ora è la comparsa, sulle pagine Facebook, dell’icona «elevata reattività ai messaggi»: un nuovo distintivo, una stelletta speciale rilasciata ai brand che si siano contraddistinti in «Response Time» e «Response Rate», velocità e quantità di risposte date ai messaggi degli utenti. Se vuoi che anche la tua pagina sia onorata della nuova bandierina, molto attesa dagli utenti dopo le prime voci circolate in rete un mese fa, sappi che Facebook la renderà visibile, in brillante verde giusto sotto la foto profilo in alto a sinistra, solo se – come spiegano da Web in Fermento, insigniti del “premio” – si sarà risposto «negli ultimi 7 giorni al 90% dei messaggi ricevuti, mantenendo un tempo di risposta medio di 5 minuti per tutte le risposte inviate. Se la tua Pagina ottiene l’icona, tutti possono vedere che la Pagina ha una grande reattività ai messaggi». Complimenti al customer care dell’agenzia, nota per la sua professionalità. In generale però, a prescindere dal caso citato, oggetto delle metriche decisive – qui suggerite dal social stesso – restano sempre solo tempo e spazio, velocità e quantità di smaltimento ticket. Niente sulla qualità dell’assistenza: sul cuore messo, o meno, per l’«amico», prima che per il «cliente» o utente.
- Facebook: preferito a Twitter dai brand per il Social Care. Non che molti, in ogni caso, possano già lustrarsi della nuova medaglia. Anche se nelle stesse ore rimbalza da Mashable la notizia: «L’80% delle compagnie americane ignora le domande dei clienti su Twitter, mentre risponde a quelle su Facebook». Stando a un nuovo report di Socialbakers, 4 su 5 dei milioni di domande twittate alle aziende americane resterebbe inevaso. Perché?
«I brand sono stanchi di rispondere a domande noiose su Twitter». L’esodo dei clienti dai call center tradizionali e telefonici ai canali social, Twitter in primis – preferito per la sua velocità – avrebbe popolato a tal punto la rete di complaints, di cinguettii lamentosi, da render quasi impossibile lì la vita alle aziende: e sempre più sottile la linea di confine tra la normale discussione e il «public shaming».
Da lì ai troll il passo è breve. Proprio su Twitter, specie negli USA, paiono trovare terreno particolarmente fertille gli haters. Come d’altronde ben sapeva l’ormai ex CEO Dick Costolo, che pochi mesi fa aveva dichiarato, in una nota interna intercettata da The Verge: «We suck at dealing with abuse and trolls», «we’ve sucked at it for years». Così le aziende – dopo anni di lezioni di crisis management e altrettanto innumerevoli #EpicFail – starebbero provando a canalizzare altrove le loro attività di social caring: tra cui Facebook, appunto, e il suo Messenger. Sostituire però «otri vecchi» con (presunti) «otri nuovi» non significa render «nuovo» anche il «vino»: offrire cioè un social care diverso, più soddisfacente, meno inquinato da troll o anche solo reclami giustificati da carenze oggettive delle compagnie e conseguenti sofferenze dei clienti, nella fruizione dei loro prodotti o servizi. Specie perché qui di «otri nuovi» c’è ben poco.Anche qui, dunque, nulla di significativo per clienti intesi come «amici». Grandi manovre piuttosto – almeno tentate – lato business. Dal vantaggio peraltro scarso. Lamentele e troll non scompaiono dalle Timeline solo perché il brand, forzatamente, cerca di portarmi sui messaggi privati di Facebook: o sui DM di Twitter.
I quali anche, non a caso, hanno presentano parecchie novità.
- Twitter: DM oltre i 140 caratteri. In direzione «facilitazione processi aziendali di social CRM» va anche l’ultima di Twitter (una delle tante): l’apertura dei DM a una lunghezza maggiore dei classici 140 caratteri. «Twitter is removing the 140 character limit in Direct Messages next month», titola The Next Web, riportando la news direttamente dal «developer forum» di Twitter. Niente più cinguettii brevi, dunque, almeno nelle conversazioni private: specie per quelle chat degli account dedicati al customer service, ove i clienti necessitano di «un maggior numero di caratteri per descrivere la propria situazione».
L’update, previsto per luglio, non può che rallegrare, in apparenza: avremmo tutti più spazio per dedicarci con maggior libertà a spiegare alle aziende i nostri reclami. La realtà però non è così rosea. «Cui prodest» tutto ciò? Chi avvantaggia – o almeno ci prova?- Twitter stesso, anzitutto: stop all’affannosa ricerca lato brand di software e tool esterni per gestire richieste e pratiche degli utenti;
- Le aziende: dotate così di uno strumento certo utile per il customer care online. Con cui mirano a proteggersi meglio anche dai troll e dalle loro gogne pubbliche: che una maggiore accessibilità delle conversazioni private vuol contribuire ad arginare, rendendo più invitante – persino per i clienti più arrabbiati – spostarsi in DM onde provar davvero a risolvere la questione. Salvando la «brand protection».
- I troll stessi, alla fin fine. Questi, buttati fuori dalla porta, rischiano di rientrare dalla finestra: di invadere cioè di spam le chat private tanto dei brand come degli utenti in generale, proprio approfittando dell’aumentata fruibilità dei DM, inviabili da poco tra l’altro a tutti (non solo a chi ci segue).
Twitter questo lo sa. Infatti…
- Twitter, condivisione delle liste nere. «Twitter rende più semplice bloccare tweet abusivi per proteggere meglio gli utenti», titola Forbes. E il Corriere incalza: «Ora la lista nera dei troll si può condividere con gli altri utenti». Come annunciato sul blog, viene adesso data la possibilità a chi cinguetta di condividere con gli altri l’elenco degli account bloccati e silenziati. «Andando nelle impostazioni si potrà esportare la lista in un file CSV», spiega Marta Serafini, «che sarà memorizzato sul computer». «Questo file sarà poi condivisibile con gli altri utenti, che possono utilizzarlo come un punto di riferimento o possono direttamente importarlo nel loro account». Un atteggiamento non diverso da quello posto in atto da Reddit che, come riportato da The Verge, ha iniziato a bannare decine di utenti dediti a innalzare flame sull’«odio contro la Fat People», che ponevano cioè in ridicolo persone in sovrappeso prendendoli in giro con foto e commenti imbarazzanti.
Ci auguriamo che almeno questa mossa si traduca in un vero passo contro l’harassment. E non in un nuovo gioco al massacro utile ai troll – a gente senza scrupoli che se ne serva per aizzare meglio l’odio contro chi pare loro, “mettendo in lista” chi vogliono in modo pregiudizievole. Seminando nuove “Stelle di Davide”: odio vecchio e nuovo in rete.
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