Proposta Indecente

E’ un dato di fatto: Microsoft è molto più brava nelle attività di marketing e di public affair (aka lobby) che nello sviluppo di software. Lo provano diversi fatti, dalla capacità – eccezionale – di trasformare una forma di gruviera (quello con i buchi) in un sistema operativo utilizzato dalle aziende, ovvero Windows, a quella – addirittura sublime – di fare di Outlook, il peggior software mai sviluppato nella storia dell’uomo (anche se non è certo stato un uomo “normale” a svilupparlo), il programma di riferimento nell’area della posta elettronica. In un mondo giusto, Microsoft venderebbe consulenza di marketing e non venderebbe software.

openaccess1Ed è un dato di fatto che il mondo del software libero sia molto più bravo nello sviluppo del software che in qualsiasi attività di marketing e comunicazione. Nel caso dello sviluppo, basta un banale confronto tra Linux e qualsiasi altro sistema operativo proprietario (il migliore, MacOS, è di fatto una versione di Linux con un’interfaccia proprietaria). Nel caso del marketing, non basta un trattato in sedici volumi per elencare gli errori a tutti i livelli, dall’assenza di un portavoce capace di dialogare in modo credibile con il mondo delle aziende (che vorrebbero adottare il software libero, ma sono ovviamente spaventate da un movimento con eccessi di radicalismo che vanno nella direzione sbagliata), a casi umani come il marketing di prodotto di quasi tutti i progetti, fino a situazioni imbarazzanti di idioti che ancora oggi – 2015 – sostengono l’inutilità del marketing.

Avendo a disposizione le necessarie risorse economiche, la soluzione migliore sarebbe quella di acquistare da Microsoft servizi di consulenza di marketing, per riuscire a promuovere i prodotti costruendo intorno a loro quell’ecosistema che ha il compito di “accerchiare” le aziende al punto tale da farle sentire a loro agio solo all’interno dell’ecosistema stesso, ovvero quando non sono più libere di scegliere le tecnologie in grado di rispondere alle loro esigenze (per cui finiscono con l’acquisto di quelle che “credono” rispondere alle loro esigenze).

Purtroppo, il software libero non dispone delle necessarie risorse economiche, per cui tutto questo rimane solo un’ipotesi. Fermo restando il fatto che Microsoft trova molto più conveniente e lucroso vendere a peso d’oro software di scarsa qualità che proporre attività di marketing per le quali verrebbe sicuramente misurata sulla base dei risultati (cosa che con il software non succede, anche perché la End User License Agreement che tutti sottoscrivono senza leggere nemmeno un paragrafo sposta sull’utente tutti i problemi, compresi quelli che derivano dai bug, che in ossequio alla trasparenza vengono occultati con enorme abilità).

Fortunatamente, la migliore qualità del software libero viene confermata da servizi come Coverity Scan, che analizzano il codice sorgente delle applicazioni per rilevare gli errori, che attribuiscono al software libero un numero inferiore di problemi per 1.000 righe di codice rispetto al software proprietario (0,65 contro 0,71), e dai risultati delle ricerche sul futuro del software open source ).

Passando all’ambito delle vulnerabilità e delle esposizioni, ovvero dei problemi di sicurezza, il confronto tra il software proprietario – e il software Microsoft – e tutto il software libero è addirittura impietoso: negli ulti tre anni, per esempio, Office è stato affetto da 101 problemi di sicurezza, mentre LibreOffice – che fa le stesse cose – solo da 9 problemi di sicurezza.

Sintetizzando, il software libero non dispone delle risorse economiche necessarie per acquistare servizi di marketing da Microsoft, ma ha tra le mani un prodotto di gran lunga superiore a cui manca l’ecosistema necessario per arrivare alle aziende e la comunicazione indispensabile per arrivare agli utenti.

La proposta indecente è quella di copiare da Microsoft le cose che Microsoft non può brevettare, ovvero le strategie di marketing, comunicazione e public affair, in modo saggio, aggiungendo quel pizzico di irriverenza e di creatività che è proprio del software libero (quello vero, non quello che si dichiara libero, e poi propone licenze proprietarie per ricreare le stesse condizioni di lock-in). E non solo copiare ma dire apertamente che si sta copiando, perché il divertimento non sta solo nel ribattere colpo su colpo, ma anche nel creare la pressione psicologica che mette in condizione di sbagliare colui che ha tutto da perdere e nulla da guadagnare.

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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