Parafrasando una frase celebre, la comunità spaventa quelli che non c’è l’hanno, ovvero le grandi aziende, che costruiscono gerarchie basate su un potere che cala dall’alto piuttosto che su una leadership che nasce dal basso.
Un progetto come LibreOffice, che cresce senza soluzione di continuità per cinque anni pur non avendo una vera organizzazione – non ci sono né capi né capetti – è destabilizzante per coloro che avevano proclamato l’impossibilità di questa evenienza, proprio perché mancava quella burocrazia che giustifica l’esistenza delle loro inutili sovrastrutture.
E come se non bastasse, il progetto “alternativo” (per usare un eufemismo) voluto dalle aziende è fallito perché guardava alla comunità con sospetto, imponendo condizioni che solo le aziende trovano accettabili, come la presenza del community manager.
Certo, la comunità è strana, perché è un organismo fluido, guidato nelle sue decisioni dalla forza straordinaria dell’intelligenza collettiva, che non trova alcuna corrispondenza all’interno delle aziende, dove le decisioni vengono spesso prese in funzione della gerarchia. Questa condivisione delle idee e delle responsabilità è quella che motiva i volontari a impegnarsi per la comunità, nella consapevolezza che da soli non riuscirebbero mai a raggiungere gli stessi obiettivi.
Ogni individuo, infatti, viene spinto da motivazioni diverse, che vanno quasi sempre nella direzione della sfida professionale con sé stesso, che ovviamente è diversa per ciascuno di noi in funzione della storia e del proprio background. Io, per esempio, trovo estremamente stimolante – e incredibilmente divertente – il “duello” di comunicazione con le aziende.
Oggi, posso affermare con certezza che negli ultimi dieci anni – occupandomi di marketing prima di OOo e poi di LibreOffice – ho imparato molte più cose che in vent’anni di comunicazione per le aziende del mondo proprietario, e sono anche riuscito a divertirmi. A pensarci bene, avrei dovuto pagare piuttosto che essere (in un certo senso) pagato dalla comunità.
Ovviamente, ho potuto fare tutto questo perché la comunità – una volta compreso che avevo le competenze – mi ha lasciato agire in totale autonomia, senza impormi scadenze e senza chiedermi un rendiconto (o peggio ancora un time sheet). In questo modo, ho puntualmente superato gli obiettivi più ambiziosi, che di volta in volta ero io stesso a stabilire.
Peraltro, la comunità è tutt’altro che perfetta, e tanto più è forte e coesa tanto più è chiusa e refrattaria ai tentativi di ingerenza dall’esterno, anche perché la storia dimostra che tutti quelli che arrivano animati dal sacro fuoco della competitività – appreso in azienda o ancor peggio all’università – si sgonfiano come soufflé venuti male non appena capiscono che la teoria fine a se stessa – che in altri ambiti viene spesso riverita – all’interno della comunità viene apprezzata tanto quanto i calli sui mignoli.
Così come le richieste di intervento – in particolare, quelle relative alla soluzione dei bug e delle regressioni – che non sono accompagnate da una dimostrazione di buona volontà (per esempio, una documentazione esauriente, oppure una verifica su più sistemi operativi). In questi casi, la risposta più probabile è: “datti da fare, non ho tempo”, ma a seconda della direzione del vento potrebbe anche essere peggiore, e molto più sgradevole.
La comunità va trattata con grande rispetto, perché riesce a ottenere risultati là dove tutti gli altri falliscono.
Prendiamo a esempio il sistema operativo Linux, dove un insieme eterogeneo di migliaia di persone – dipendenti di grandi aziende del mondo proprietario, aziende focalizzate sul software open source come Canonical (per fare un nome), membri di comunità del software libero come Debian e LibreOffice (per fare due nomi) e singoli individui – contribuiscono alla realizzazione di un “oggetto” che per qualità e sicurezza non ha confronti con l’analogo prodotto sviluppato nelle segrete stanze della più grande software house del mondo.
Inoltre, sviluppando un prodotto migliore, riescono anche a divertirsi, e spesso a costruire qualcosa di socialmente utile. Straordinaria la comunità, forse è veramente il caso di conoscerla meglio.
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