C’era una volta…

C’era una volta una fondazione che rappresentava, idealmente, tutto il software libero, e di cui tutto il software libero era orgoglioso.

Era la fondazione che per prima era riuscita a mettere in difficoltà il software proprietario con il suo server HTTP, e che aveva saputo conquistare una quota di mercato significativa, fino a superare il server HTTP Microsoft.

onceuponatimeEra la fondazione che aveva indicato la strada per una governance indipendente che nasceva dalla comunità, ed esprimeva il meglio di quell’intelligenza collettiva che rappresenta il principale punto di forza del software libero nei confronti del software proprietario.

Oggi c’è una fondazione che rappresenta un problema per tutto il software libero, e di cui tutto il software libero comincia a subire la presenza dannosa sotto il profilo della governance e della qualità.

E’ la fondazione che ha sostenuto per tre anni la strategia IBM tesa a eliminare un progetto indipendente di software libero, ha eletto come Presidente un dipendente Microsoft che decanta in pubblico le meraviglie del tablet Surface, e distribuisce da 5 mesi un software affetto da una vulnerabilità senza che gli utenti vengano messi al corrente del problema.

Purtroppo, stiamo parlando della stessa organizzazione – Apache Software Foundation – in quella che potremmo definire la storia Avanti AOO e Dopo AOO (acronimo che sta per Apache OpenOffice).

Lo spartiacque è il mese di giugno 2011, quando IBM convince Oracle – sulla base di un contratto ereditato con l’acquisizione Sun – a ignorare il buon senso e a trasferire OpenOffice ad Apache Software Foundation, per tentare di controllare il progetto e la comunità, ed eliminare al tempo stesso LibreOffice.

IBM non capisce che la stragrande maggioranza dei volontari è passata compatta a LibreOffice, e che dalla parte di OpenOffice è rimasto solo un gruppo di romantici testimoni del passato, che affiancano i nemici di LibreOffice e quelli delle licenze copyleft. Per questo motivo, il destino di Apache OpenOffice è segnato fin dal primo giorno.

Apache Software Foundation, invece, è attratta dalla possibilità di portare un progetto come OpenOffice dalla parte delle licenze “permissive” – create per fare un favore alle aziende come IBM e Microsoft, che vogliono avere la “libertà” di trasformare qualsiasi progetto da libero a proprietario – per cui sta al gioco di IBM, piuttosto che trasferire OpenOffice a The Document Foundation.

Quando, nel 2014, IBM comprende che il progetto è fallito, perché ha in mano – se tutto va bene – non una comunità ma un gruppo di nemici del software libero (i quali preferiscono usare Microsoft Office piuttosto che LibreOffice), abbandona il progetto stesso, lasciando i suoi fedelissimi con un pugno di mosche.

Il 25 aprile 2015, Apache Software Foundation non blocca la distribuzione di Apache OpenOffice, che da quel giorno è affetto da una vulnerabilità che è stata resa pubblica dopo i normali 60 giorni di embargo, e che non è stata risolta perché il progetto non ha gli sviluppatori necessari per risolvere il problema.

Il problema viene citato all’interno di un messaggio distribuito alla mailing list annunci, che raggiunge solo una piccola percentuale degli utenti, mentre non c’è traccia dell’avvertimento nella pagina dei download, che viene visualizzata ogni giorno da milioni di utenti.

Sono passati cinque mesi, e la situazione è rimasta la stessa. Nel frattempo, Apache OpenOffice è stato installato da diversi milioni di utenti, con un impatto potenzialmente disastroso per la reputazione del software libero (chissà perché?), mentre il board di Apache Software Foundation sembra il branco delle scimmie che non sentono, non vedono e non parlano.

Oggi, 1° ottobre, si apre a Budapest la Apache Conference Europe, e nel programma non c’è traccia di una discussione sulla governance (è mai possibile che un dipendente Microsoft sia il presidente di Apache Software Foundation?) o sulla qualità del prodotto.

Questo, nonostante ci sia un centinaio di milioni di utenti tenuti in ostaggio – non esiste definizione migliore – da parte di un progetto che in 4 anni non ha saputo fare di meglio che confermare con i fatti la sua totale inutilità.

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