I 10 (+1) punti importanti emersi da #SCE2015

Anche quest’anno si è svolta la Smart City Exhibition, giunta alla quarta edizione, per raccontare le innovazioni che stanno portando avanti le diverse realtà della Pubblica Amministrazione. Questa edizione in particolare è stata focalizzata sui dati, sul loro ruolo per le città e per i cittadini: non a caso, infatti, il payoff della manifestazione di quest’anno è stato “Citizen Data Festival”, un modo per porre l’attenzione sulla partecipazione dei cittadini alla costruzione e alla fruizione dei dati.

Una smart city è una città che viene governata e amministrata sulla base di una reale conoscenza perché “se non è possibile misurarla allora non è possibile amministrarla”: inizia così il panel inaugurale di Gianni Dominici, direttore di FPA, che tenta, riuscendo, di orientare tutto il lavoro proprio verso il concetto di misurazione e di analisi attraverso i dati, che devono essere realmente leggibili, standardizzati e interoperabili.

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Credits: ForumPA – Stefano Corso

Ma cosa è emerso realmente dalla tre giorni di Smart City Exhibition 2015? Ecco i 10 punti più interessanti che sono venuti fuori dalle diverse conferenze, più uno (forse il più importante) che è il nodo conclusivo su cui il Paese deve lavorare nei prossimi anni per poter continuare sulla strada dell’innovazione digitale e urbana.

I 10 temi centrali emersi da #SCE2015

  1. Mancano le reali competenze per lavorare sui dati: a parte rare eccezioni, una larga maggioranza di relatori sostiene che manchino le reali skill per lavorare sui dati aperti e sui big data; Nello Iacono, fondatore degli Stati Generali dell’Innovazione, afferma che “bisogna ancora creare le condizioni per far nascere professionalità specifiche e concrete”; più ottimista su questo fronte Franco Patini di Confindustria Digitale, il quale sostiene che “molte realtà accademiche si stanno già attrezzando per fare formazione” e rimediare alle attuali mancanze. Paolo Testa, Responsabile dell’Osservatorio Nazionale Smart City dell’Anci, sottolinea che in questo contesto il compito culturale spetta agli esperti all’interno delle amministrazioni: “Il nostro ruolo principale è soprattutto quello di diffondere la cultura del dato all’interno delle varie realtà e tra i cittadini”.
  2. C’è reale volontà di partecipazione, sia dei cittadini sia della PA: è quanto emerge dalle parole di Raffele Parlangeli, Dirigente del Comune di Lecce, che ha raccontato come, grazie ad un contest di Open Data, il Comune è riuscito a raccogliere 40 idee dai cittadini per la città; inoltre, come dichiarato da Andrea Rangone, CEO di Digital360, alla call interna di #SCE2015 chiamata App4Cities, il contest di app per le smart city, hanno risposto ben 124 realtà, un numero importante e per nulla scontato.
  3. Cresce il ruolo dei Big Data: una delle notizie più rilevanti in tal senso è stata probabilmente la dichiarazione di Nadia Mignolli, Prima Ricercatrice presso l’ISTAT: “l’Istituto Nazionale di Statistica ha cominciato ad effettuare sperimentazioni e rilevazioni attraverso i Big Data”. È un passo importante che testimonia come le nuove tecniche di analisi, che sono ormai realtà consolidata presso le grandi aziende, comincino a penetrare con decisione il tessuto della Pubblica Amministrazione.
  4. L’Europa è a lavoro per misurare la sharing economy: Emanuele Baldacci, CIO di Eurostat (quella che egli stesso ha definito come “una sorta di Istat dell’Unione Europea”) ha dichiarato che l’istituto europeo di statistica è a lavoro per comprendere e misurare la reale portata della sharing economy; non si tratta solo di comprendere lo scenario, ma di “offrire uno strumento ai decision maker” per cogliere le possibilità di business e di integrazione con la PA dell’economia collaborativa.
  5. Nonostante la volontà di partecipazione, i dati da soli non bastano: è quanto sostiene Emanuele Schirru, CIO di SOSE e consulente della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia, il quale sottolinea che i dati “non basta semplicemente pubblicarli, ma vanno spiegati ed illustrati ai cittadini e in questo senso la strada, purtroppo, è ancora lunga”; a supportarlo indirettamente anche Silvia Giannini, Vice Sindaco di Bologna, che sostiene che alcuni portali Open Data “possono essere addirittura fuorvianti per i cittadini” se non vengono spiegati e illustrati in maniera comprensibile anche per chi non è addetto ai lavori.
  6. Il problema culturale, sviluppo vs. adempimento: immancabile la questione culturale all’interno delle pubbliche amministrazioni ed Alessandro Delli Noci, assessore all’innovazione del comune di Lecce, ben sintetizza il problema dichiarando che “spesso la digitalizzazione viene vista non in ottica di sviluppo, ma come adempimento obbligato”; questo atteggiamento rischia di compromettere gli sforzi della PA perché distoglie dall’obiettivo reale, trasformando l’orientamento allo sviluppo in una “rogna” da togliersi il prima possibile.
  7. Fatturazione elettronica, ottimo inizio ma deve essere supportata: Paolo Catti, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione e visionist di TechEconomy, osserva che la Fatturazione Elettronica (cominciata bene come un obbligo) non è fine a se stessa e da sola non ha senso: “la fatturazione elettronica è utile solo se viene relazionata con altre attività” che hanno a che fare con la trasformazione digitale e la dematerializzazione, altrimenti rischia di essere solo un costo in più e i vantaggi si annullano.
  8. Gli Open Data devono andare oltre il concetto di trasparenza: “Se non si va oltre il pilastro della trasparenza, si rischia di depotenziare il ruolo degli Open Data” afferma Stefano Epifani, direttore di TechEconomy e professore di Social Media Management all’Università La Sapienza di Roma, che prosegue affermando che in realtà “ci sono mille motivi per non fare Open Data  e che non è un dato scontanto, ma le ragioni del no si annullano tutte dal fatto che la conoscenza equivale alla libertà” e questo vale sia per i cittadini, sia per la PA, sia per le imprese; a sostenere la stessa tesi anche Francesca Gleria, coordinatrice del progetto Open Data in Trentino dal 2012, che dichiara: “Non è sufficiente concentrarsi solo sulla trasparenza per fare buona crescita nella PA”.
  9. Non è vero che ci sono molti dati a disposizione: Vittorio Alvino di OpenPolis, in occasione della presentazione dell’ICity Rate 2015, afferma che non è vero che i dati nella PA sono sufficienti, anzi: “Il problema di base è che non c’è mai abbastanza disponibilità dei dati” e quei pochi che ci sono, si trovano in maggior parte in formati non utilizzabili, “addirittura PDF ottenuti tramite scansione”, il che ovviamente supera oggi la soglia dell’accettabilità minima.
  10. Gli incontri “di persona” servono. A SCE2015 si è incontrata una nuova generazione di amministratori (50 assessori all’innovazione di altrettante città, di cui dieci città metropolitane) in molti casi giovanissimi ‘nativi digitali’. L’incontro è stato fondamentale per “trovarsi” e per provare a tradurre una diffusa sfiducia in propositività, innescando processi inclusivi e partecipativi, che consentano a tutti i livelli – vertici politici e dirigenti amministrativi – di fare co-progettazione, rendere duplicabili e scalabili le buone pratiche, accelerando la messa a sistema delle soluzioni virtuose e favorendo il confronto e il dialogo. Desideri accolti da FPA che ha lanciato da Bologna i ‘cantieri dell’innovazione’: tavoli di incontro tra le amministrazioni più smart, le aziende più innovative e il sapere delle accademie, soprattutto quelle che lavorano su temi di frontiera. “L’obiettivo – spiega il Presidente Carlo Mochi Sismondi – è provare a rimettere in moto gli ingranaggi, cavalcando l’entusiasmo e la voglia di fare di una nuova generazione di amministratori che hanno desiderio e competenze per fare bene. Il nostro è un ruolo di advocacy verso il Governo centrale e di sostegno delle amministrazioni locali, attraverso la diffusione della conoscenza: vogliamo innescare un processo virtuoso, fatto di condivisione e di dialogo.”

L’undicesimo punto: manca un piano coerente nazionale per Smart City e Agenda Digitale

Una delle questioni più problematiche che emerge dalla Smart City Exhibition 2015 è la sensazione che manchi una reale struttura nazionale, coordinata e competente per il raggiungimento degli obiettivi legati alle smart city e, in generale, all’agenda digitale: è un assunto non banale che emerge da diversi relatori nel corso di panel differenti.

Paolo Praticò, consulente della Presidenza della Giunta Regionale Calabrese afferma con forza che, nonostante si lavori ai temi dell’agenda digitale dal 2000, “non c’è profilo nazionale, unitario e competente su questi temi”. Anche Matteo Lepore, Assessore del Comune di Bologna, lamenta una mancanza di coordinamento nazionale come un problema centrale e strutturale affermando, in particolare sulle smart city, che “manca una strategia per l’agenda urbana nazionale e ognuno prosegue per la sua strada in maniera indipendente”.

In conclusione, c’è molto da lavorare per la Pubblica Amministrazione: se è vero che le realtà comunali, provinciali e regionali devono mettersi a lavorare per colmare le proprie lacune, è anche vero che senza un coordinamento centrale competente, strutturato e dal disegno chiaro e orientativo, tutti gli sforzi rischiano di essere vani. Possiamo permettercelo nel contesto attuale? Probabilmente no ed è opinione comune che i cambiamenti dovranno avvenire prima possibile.

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