«Faremo di tutto per riconquistare la vostra fiducia». Questo si è letto più volte nelle ultime ore sui principali quotidiani italiani, in una lettera pubblicata da Volkswagen in pagine acquistate a pagamento dalla casa automobilistica del Dieselgate. Stesso impegno ribadito come un claim sul sito dell’azienda. Stesse parole usate in un’analoga lettera all’indomani dei 25 anni della riunificazione tedesca. E il motivo – il motivetto, musicale diremmo… Quasi come uno slogan pubblicitario? – è sempre lo stesso: «Sappiate che non ci fermeremo finché non avremo riconquistato pienamente la vostra fiducia».
Non intendiamo certo entrare nel complicato caso VolksWagen, da analizzarsi alla luce di un quadro ben più ampio, data la molteplicità delle sue radici.
Ci interessa però qui il “ritornello”, appunto. Fin troppo ovvio forse evidenziarlo: si tratta però del fil rouge ormai ricorrente e dominante ovunque, dai tentativi di ricostruzione di immagine da parte di un gigante come Volkswagen a… una nota acqua minerale italiana, la cui pubblicità in radio suona « Acqua XY? Fiducia ben riposta».
Fiducia: questo il nodo centrale. «Products from brand I trust»: prodotti di un’azienda di cui mi fido. Questi risultano non a caso, stando a una recente ricerca Nielsen, i beni di consumo che la maggioranza dei clienti è spinta di più a comprare oggi. Quelli per cui la gente è più indotta ad aprire il portafoglio: per i quali paga più volentieri. Anche più del consueto: proprio oggi, in tempo di crisi, povertà e resilienza. Se ne vale la pena: se si tratta cioè di prodotti davvero affidabili, di compagnie «autentiche, trasparenti», sincere e cristalline. Proprio come l’acqua.
Lo studio Nielsen, The Sustainability Imperative, condotto su oltre 30.000 consumatori in 60 Paesi nel mondo e pubblicato qualche giorno fa, lascia emergere dati davvero significativi. Il 66% ha dichiarato di spendere volentieri di più «per prodotti e servizi provenienti da aziende «socialmente responsabili», «positivamente impegnate sul piano sociale e ambientale». Un dato in costante crescita: nel 2014 il tasso si attestava sul 55%, l’anno prima sul 50%.
In questo quadro, il fattore chiave per la maggioranza sta proprio nel «brand trust», l’affidabilità e responsabilità del marchio, la serenità con cui possiamo affidarci ad esso. Un valore dominante per il 62%: a livello mondiale.
Risultato tanto interessante quanto quasi scontato se si dà anche solo un’occhiata alla recente rassegna stampa sul tema: notizie che rimbalzano agli occhi sempre più frequentemente, non solo della nicchia di esperti e addetti ai lavori, ma anche di tutto il panorama italiano (Esselunga docet) «Brand Trust and Reputation»: livello di affidabilità e responsabilità, reputazione del marchio, rappresentano i fattori decisivi nell’innescare oggi il processo d’acquisto. Sono «paramount», «di primaria importanza», come ribadisce Carol Gstalder, senior vice president, reputation and public relations solutions a Nielsen. «Una reputazione eccellente rende molto più facile per un’azienda essere ben accolta nelle nuove comunità».
Molto più di offerte e coupon: che non entrano neppure nella «Top Five», tra i primi cinque elementi chiave del processo d’acquisto in questo nuovo quadro. «I valori personali sono più importanti dei benefici individuali, come il costo o la convenienza».
Basta dunque a «prezzi stracciati» e super-mega-sconti, a quelle offerte speciali-talmente-speciali che subito ti chiedi: «Dove sta il trucco?». Un’azienda oggi, se vuol far business – se vuol ottenere il tanto sospirato ROI – non deve più puntare sui modelli tradizionali. La responsabilità oggi è il vero ROI. E conta molto più del prezzo.
Udite, udite. La fiducia ha un costo: per entrambe le parti. Chi deve garantirla e chi deve darla. Le compagnie devono impegnarsi a investire per poterla assicurare al massimo: se no il cliente se ne va, e son dolori. Altrettanto costa al cliente: in termini personali, spirituali, e materiali, economici, dell’investimento sostenuto per aggiudicarsi quel prodotto. Il consumatore si dichiara ormai, però, disposto a farlo: cosa aspettano le aziende?
Anche perché le voci corrono. E se qualcuno non si trova bene con te, nell’era dell’always on, del mondo iper-connesso 24/7 – con una rete che rilancia a tempi record online qualsiasi informazione o notizia – mica ci mette molto il cliente insoddisfatto a far sapere a tutti che da te no, è meglio non andarci, e magari far sì che ugualmente lontani restino tutti quelli che lo conoscono.
«I clienti mettono i soldi là dove le loro bocche stanno», chiosano da Nielsen, con una frase da scolpire. Là cioè dove c’è un ottimo «Word Of Mouth»: quella «parola della bocca» che, nel mondo del «Word Of Mouth Marketing», diventa in breve «World Of Mouth», parola che si diffonde viralmente come il ritmo di un tam-tam a livello mondiale, globale. Un passaparola che oggi deve essere impeccabilmente positivo. Una «recommendation» – l’endorsement inglese, il «consiglio per gli acquisti» nel senso più profondo e sincero: tale per cui il cliente non solo comprerà, ma farà comprare. Condividerà la responsabilità del brand – se questa c’è stata – assumendosi l’onere di spendere la sua immagine, la moneta della sua affidabilità, in favore del marchio X o Y: perché nella misura in cui certi prodotti si saranno rivelati utili per lui, allora potranno esserlo anche per altri clienti con le stesse esigenze.
Ecco che torna a suonare la campanella per le aziende: un nuovo modello di business è già qui. «Lo stai facendo male», verrebbe da dire a chi ogni giorno arriva in ufficio e cerca qualsiasi nuovo deal possibile per staccare a fine mese la cedola agli azionisti, o l’amministratore delegato a caccia del suo bonus, o come arrivarci invece lui a fine mese, senza però pensare a come pagherà la bolletta quello prossimo. «Vuoi vendere? Aiuta!». #SellHelp. Questo l’imperativo categorico per ottenere il Return On Investment. Dove l’«aiutare» è da declinarsi nel suo senso più profondo: mettere il cliente al centro, «customer first», considerandolo persona, amico, non ticket da gestire. Il ROI è Responsabilità: quanto e quanto a lungo tu sia responsabile, quanto tu metta il cuore e tutto te stesso nell’aiutare, soddisfare ogni esigenza del cliente-amico, mostrandoti come sei, senza trucchetti, finzioni. In cui io possa riporre la mia fiducia, sentendoti vicino. Tu, azienda, con la tua immagine e reputazione alta non solo perché sei popolare, ma perché si sa che di te ci si può fidare. Tu che non hai mai pensato alla «brand awareness» del «purché se ne parli», ma ti sei dedicata a garantire la satisfaction di chiunque avessi di fronte.
«Ti amo, mi piaci, ti compro. E ti faccio comprare dagli altri». Pazienza se costa un po’ di più: «Io pago!», pretendo un prodotto di qualità. Sul piano etico, del rapporto personale anzitutto.
Customer experience memorabile, passaparola, assistenza al cliente prima, durante e dopo l’acquisto: queste le parole-chiave del Nuovo Marketing.
Stop Social-Selling – ne consegue nello specifico – se l’accento è posto sul selling, sul voler vendere a ogni costo via web e social media. Il focus sia semmai sul social, sul fattore chiave delle relazioni sociali: principio valido sempre nel mondo #IoT. Si parli di Social Helping, Social Engagement come fattore chiave del successo, anche e in specie sul piano finanziario.
Lavoriamo insomma per tenerci stretti i clienti che abbiamo o che via via guadagniamo: proprio loro, se soddisfatti al meglio, ci porteranno i nuovi. Un circolo forse finalmente virtuoso, dove bene porta bene, dove i soldi si fanno facendo del bene: dove l’utile si fa… con l’utilità.
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