I social media e l’attentato a Boston: sei proprio sicuro di voler twittare?

In Italia erano da poco passate le nove, a Boston era pomeriggio e nel resto degli Stati Uniti era giorno pieno: qualsiasi cosa stessimo facendo lunedì, quasi tutti eravamo a portata di tastiera. E come spesso accade in questi casi, davanti a un evento tanto drammatico la prima reazione è quella di scriverne sui propri profili social. È un modo per avvisare gli altri di quanto sta succedendo, un modo per dire “io lo so”, un modo per entrare nella notizia e seguirla nella sua evoluzione.

Ma parlare di un attentato quando questo è ancora in corso significa parlare sulla base di notizie incerte, frammentarie e incomplete. Informazioni che vengono diffuse e poi smentite e modificate, ripetute decine di volte da voci sempre diverse. Soprattutto parlare di un attentato – o di un terremoto, o di qualsiasi altro grave fatto improvviso – significa parlare immersi una enorme corrente di emotività: un attentato durante un evento sportivo è un evento che colpisce profondamente. E con i precedenti più o meno recenti che ricordiamo tutti soltanto leggere le parole “attentato terroristico” ci fa scattare nella mente una serie di immagini precise. Immagini che non comprendiamo bene ma che sappiamo di temere.

Non mi riferisco solo agli “utenti”, ai cosiddetti “consumatori di informazioni”, ma anche a coloro che l’informazione la dovrebbero fare. E invece sono stati proprio questi ultimi a particciare, cadendo nell’epicfail. Nelle prime ore dopo l’attentato di Boston in molti sono caduti nel tranello di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato a causa di una certa leggerezza, di alcuni pregiudizi ben radicati e anche di un pizzico di cinismo. Soprattutto, in molti si sono dimenticati che scrivere su Twitter è come parlare in un luogo pubblico e che “pensare a voce alta” non sempre è una buona idea.

Quelli che “Ho fatto lo scoop”:

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C’è poco da commentare: Antonio Bacci è un giornalista e blogger friulano, collaboratore del Messaggero Veneto e appassionato podista. Quel giorno si trovava a Boston per correre la maratona e si è trovato nel bel mezzo dell’inferno. Ha pensato di avvisare la redazione per potergli passare un po’ di notizie di prima mano. La risposta della redazione del Messaggero Veneto è esattamente quella che si sarebbe sentita in qualsiasi altra redazione del mondo. Peccato che tutte le altre redazioni del mondo questo genere di considerazioni tendono a non condividerle su Twitter. (Per la cronaca: la squadra di basket dei Boston Celtics avrebbe dovuto contro gli Indiana Pacers martedì sera. Ovviamente l’incontro è stato rimandato in segno di rispetto e per non distogliere le forze dell’ordine dal loro lavoro)

Quelli che “Pensavo peggio”: 

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In questo caso da commentare c’è ancora meno: quella tra Silvia Motta e Red Ronnie è la classica conversazione che due persone possono fare al bar o al telefono. Red Ronnie ha espresso una considerazione personale e peraltro molto opinabile (che è un modo carino per dire che l’ha sparata grossa), la classica reazione di una persona che non ha ancora ben chiara la gravità del fatto e che valuta la rilevanza di un attentato sulla base del numero delle vittime. Ma quando affermi una cosa del genere in pubblico, e hai quasi cinquantamila follower, forse ti devi aspettare che qualcuno ti faccia notare che hai appena detto una tavanata galattica. O, magari, che la tua opinione non era richiesta e non interessa a nessuno.

Quelli che “Io ve l’avevo detto”:

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 [Erik Rush: “Forza, facciamo entrare negli Stati Uniti tutti questi sauditi senza controllarli!” – “Dio mio, stai già dando la colpa ai musulmani?” – Erik Rush: “Sì, sono cattivi. Uccidiamoli tutti”.]

Nota Bene: Erik Rush è un contributor di Fox News. Un giornalista. Non credo ci sia altro da aggiungere.

Quelli che “Ma non ti compreresti una cosa nel frattempo?”

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[“Se non aggiungi valore, non dire nulla: Epicurios ci mostra una cosa da non fare su Twitter” –   Epicurios: “In onore di Boston e del New England suggeriamo focaccine di farina integrale e mirtilli rossi” – “Boston i vostri cuori sono con voi. Ecco una bella ciotola per fare il pieno di energie a colazione, per iniziare la giornata”.]

Da Groupalia ad American Apparel, nessuno sembra resistere all’idea di piazzare lo spottone pubblicitario nel bel mezzo della tragedia. Epicurios è un portale che parla di cibo e cucina e ha la malaugurata idea di “dedicare una ricetta” alle vittime dell’attentato. Si tratta di un espediente in grado di far imbufalire anche l’utente più mite, perché viene percepito come un mero tentativo di strumentalizzare il dolore collettivo che inevitabilmente si riversa sui social media al solo scopo di vendere il proprio brand.

Quando legge questo genere di cose, la gente si arrabbia: vedersi scodellata una tale strumentalizzazione, e un simile qualunquismo fa saltare la mosca al naso a tutti e, per un momento, si mettono da parte i tweet di cordoglio per trasformare il dolore in rabbia, contro coloro che hanno avuto la bella idea di parlare senza prima collegare il cervello.

Lesson Learned: Nei momenti critici, come può essere un attentato in corso, pensaci due volte prima di inviare quel tweet che hai appena scritto: sicuro di avere qualcosa di utile da dire? Nel dubbio, c’è sempre la regola d’oro del tacere e passare per idiota piuttosto che parlare e dissipare ogni dubbio.

 

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3 COMMENTS

  1. Molto interessante questa analisi.
    A dire il vero ero venuto qui credendo parlassi del dopo-attentato, cioè di tutta la vicenda che ne è seguita della ricerca e cattura dei 2 attentari. Non l’ho seguita su twitter ma su reddit.com.
    Bisogna dire che ci sono stati un paio di utenti che hanno fatto un lavoro immane.
    Quello che volevo esprimere è il fatto che nonostante twitter per me a livello di news sia il massimo, social come reddit ( che ha una struttura progettata anni fa) possono aocra dire la loro

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