A proposito di migrazioni

Alcuni uccelli, e non solo loro, migrano costantemente da un continente all’altro perché trovano giovamento a trascorrere alcune stagioni in certe parti del mondo piuttosto che in altre. In generale hanno deciso, o qualcuno lo ha fatto per loro, che per vivere bene è bene evitare grossi sbalzi di tempertura anche a costo di grossi sforzi fisici per farlo.

Birds flyingOgni volta che lo stormo decide di partire, due volte l’anno,  i preparativi fervono e nulla è lasciato al caso. Solo così infatti è possibile attraversare il mediterraneo o farsi migliaia di chilometri senza apparentemente soffrire, anzi con la convinzione che dopo sei mesi si dovrà rifare lo stesso percorso a ritroso. Per gli uccelli, almeno per alcuni di loro, la migrazione è un comportamento naturale, è parte del loro essere, e quindi non genera ansia proprio perché è tutto pianificato nei minimi dettagli.

Si, ma che c’entra questa storia con le tecnologie digitali? C’entra, eccome se c’entra ed è proprio l’assenza di metodo e di familiarità con i processi di cambiamento e migrazione che troppo spesso fa naufragare le più nobili iniziative.

Non esiste un problema di migrazione da un prodotto ad un altro, la vera questione è la capacità di progettare e pianificare le attività da fare per governare un cambiamento, qualunque esso sia. Provo a spiegarmi meglio.

Le tecnologie digitali ci hanno abituato, e per fortuna continuano a farlo, ad una “user experience” affascinante ed apparentemente facile che spessso ci fa sentire complici dell’applicazione che stiamo usando, o meglio semplice da usare e quindi apparentemente facile da sviluppare, peraltro il tema della complicità dell’utente con la sua applicazione è materia di studio continuo da parte di psicologi e psicoterapisti. La user experience “abbordabile” ha ribaltato la situazione in cui siamo cresciuti digitalmente. L’informatico di turno, bravo o somaro che fosse, era quello che per definizione sapeva tutto ciò che l’utente avrebbe dovuto sapere e fare, senza quasi mai coinvolgerlo se non nelle fasi finali di test di un sistema che spesso non risultava aderente alle esigenze a volte troppo genericamente espresse. L’utente, sempre troppo spesso, veniva poi anche denigrato, diventando “utonto”, perché non aveva le sufficienti capacità per usare gli strumenti o i sistemi tecnologicamente avanzati che l’informatica gli metteva a disposizione. Per fortuna questa situazione si è ribaltata ed è ormai assodato che senza il coinvolgimento nessun sistema sarà mai in grado di andare facilmente in esercizio. Il nuovo protagonismo dell’utente  ha però fatto emergere un nuovo scenario in cui la sempre maggiore semplicità d’uso delle soluzioni, porta ad una frequente sottovalutazione dell’impegno necessario alla loro realizzazione. Questo è ancora più evidente in quegli interventi in cui il ruolo delle fasi di dispiegamento e diffusione è predominante rispetto allo sviluppo perché si riferisce a soluzioni esistenti, disponibili e di uso comune.

Un caso eclatante, sotto gli occhi di tutti sia a favore che contro, è quando una organizzazione decide di cambiare gli strumenti di produttività individuale, nello specifico da Microsoft Office a LibreOffice, o viceversa.

Circa il 70% del tempo che passiamo al computer lo impieghiamo per leggere scrivere fare di conto, queste due ultime attività le facciamo con strumenti di videoscrittura e fogli di calcolo che usiamo da molto tempo e dei quali quindi conosciamo il loro comportamento, dove sono gli strumenti, come si produce un bel documento, quali scorciatoie esistono e così via. Diciamo che sono ormai appendici che ci permettono di esprimerci con efficacia nel mondo digitale e che usiamo ormai nella pratica quotidiana, non solo al lavoro. E’ evidente che il pensiero di cambiare uno strumento al quale si è abituati e che risponde efficacemente alle proprie esigenze personali è quasi una follia, infatti non esiste un vero motivo razionale per prendere questa decisione singolarmente ed in autonomia, semplicemente perché non è cambiando la penna con cui si scrive che arriva la vena e la capacità dello scrittore. E’ chiaro quindi che la migrazione è una forzatura, una scelta di qualcun altro in forza di una autorità o per l’autorevolezza della soluzione futura, comunque in nome  di un beneficio generale che in qualche modo è stato individuato come necessario. Se ci pensiamo bene anche la migrazione degli uccelli è una forzatura dettata dalle condizioni climatiche che diventano incompatibili.

Da quanto sopra ne discende quindi che più lo strumento è facile da usare e più difficile sarà cambiarlo, e quindi più complesso sarà il progetto di migrazione. Per migrare occorre un progetto di cambiamento, non è sufficiente installare uno strumento diverso in nome della sua apparente semplicità d’uso proprio  perche si va ad incidere sulla personale capacità operativa quotidiana delle persone. Occorre pianificare in dettaglio ogni attività a partire dal coinvolgimento attivo di ogni singolo utente, calibrare la corretta quantità di formazione da somministrare, affiancare costantemente l’utente per almeno un anno dopo la fine del progetto. Insomma “robba forte” su cui tutti si sperticano quando viene deliberato un percorso di migrazione ma che poi quasi mai viene rispettato rigorosamente in fase di esecuzione e quindi eccoci puntualmente a leggere dell’ennesimo insuccesso di una migrazione.

Serve metodo e manico. Il primo lo studiamo, il secondo dobbiamo trovarlo e l’esperienza ci racconta che è estremamente difficile reperire qualcuno all’interno in grado di presidiare autorevolmente il metodo per governare rigorosamente il processo. E’ molto più facile e produttivo assumere un capitano di ventura che segue le operazioni con il cinismo del professionista.

Ho letto della decisione dello Stato Maggiore della Difesa di migrare i propri 150.000, diconsi centocinquantamila, posti di lavoro a LibreOffice e credo che questa, visto anche l’ambiente, può essere la madre di tutte le battaglie per affermare che la Pubblica Amministrazione può gestire un progetto complesso e diffuso sul territorio. Non entro nelle motivazioni della scelta se non per congratularmi per la decisione (sono un felice e consapevole utente di LibreOffice) e per sottolineare quanto sia importante il buon esito dell’operazione, non per la scelta LibreOffice in se, ma per il coraggio di un progetto innovativo che inciderà sull’operatività quotidiana di tutta la Difesa Italiana.

migrazione

Recentemente mi sono imbattuto in una interessante evoluzione della formula del cambiamento di Gleicher-Bechard-Harris, una rappresentazione rapida e veloce dei fondamentali necessari al cambiamento. Questa evoluzione ha un approccio meno deterministico rispetto alla formula originaria e descrive gli scenari ai quali siamo abituati quando manca qualcosa, quel qualcosa che non riusciamo mai a definire ma che ci rende ansiosi fino alla fine del progetto.

Per cambiare servono ameno 5 elementi fondamentali, la visione, ovvero una chiara idea del futuro, le competenze per raggiumgerlo, incentivi e motivazione per iniziare il percorso, le risorse per realizzarlo ed una pianificazione rigorosa da rispettare. Tutti aspetti che quasi sempre crediamo di avere sotto controllo quando facciamo partire una nuova iniziativa, purtroppo a volte ci accorgiamo che in effetti sono solo dichiarazioni di intenti ed è allora che ci rendiamo conto di aver sottovalutato alcuni aspetti che incideranno pesantemente sulla riuscita di un progetto, soprattutto se è di cambiamento o di migrazione. L’assenza di visione genera confusione ed incertezza, senza competenze arriva l’ansia da prestazione,  senza incentivi e motivazione i processi sono rallentati, senza risorse arriva la frustrazione e senza pianificazione saremo condannati alle false partenze. L’assenza di tutti gli elementi rappresenta il caos.

La capacità di tenere sotto controllo le variabili dell’equazione permette di governare il cambiamento e, come gli uccelli, affrontare una migrazione consapevoli degli scenari operativi e dei rischi che un percorso, qualunque esso sia, normalmente comporta. Sono convinto che l’applicazione rigorosa e costante di metodologie e l’altrettanto costante e rigoroso riferimento alle buone pratiche evita i fallimenti ai quali spesso siamo costretti ad assistere ed è proprio per questo che la migrazione dei 150.000 della difesa è importante, dimostrerà che il cambiamento è possibile e la PA è in grado di gestirlo.

Buon lavoro e complimenti per l’ardimento e per il coraggio.

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