Startup: le cinque cose da sapere quando si cerca un Business Angel

Come fare ad attrarre l’attenzione di un business angel? Probabilmente questa non è solo una domanda, ma è LA domanda che gli startupper si pongono con maggiore frequenza quando decidono di passare da una idea innovativa  a una idea di business. Anche in questo caso non esiste una ricetta valida per tutti ma suggerimenti utili su cui riflettere ve ne sono molti.

In occasione del  Business Angel Day promosso da UniCredit StartLab e svoltosi a Milano lo scorso 16 dicembre abbiamo intervistato Nino Lo Iacono Co-founder & CEO della startup WIB, l’avvocato Luca Autuori, Socio di Legance Avvocati Associati e il Presidente di Italia Startup Marco Bicocchi Pichi. Tre esperienze, tre punti di vista che permettono di identificare 5 riflessioni utili per le startup.

  1. Il Business Angel non ha un solo ruolo
    Spiega Marco Bicocchi Pichi che le startup devono capire che avranno a che fare con una persona il cui “ruolo varia da puramente finanziario (fornire capitali) ad “angelo custode” che fornisce un apporto di mentorship, network di contatti e competenze. E’ un ruolo fondamentale di conoscenza diffusa, selezione di mercato e di massa critica di capitale di rischio.”
    Si tratta in alcuni casi, spiega Autuori, di un “fratello maggiore che, dopo aver compreso e condiviso l’idea imprenditoriale alla base della start-up, fornisce al founder il know-how e le competenze “trasversali” complementari al conseguimento dei comuni obiettivi di business.” E’ una relazione particolare quella che deve crearsi tra un BA e una startup, un “processo di conoscenza reciproca che richiede del tempo durante il quale le parti devono imparare a conoscersi e a fidarsi reciprocamente l’una dell’altra.”
    Compito della startup è capire l’importanza di un BA nella fase di avvio delle attività ed essere disposta a confrontarsi e comprendere il senso del supporto di un Business Angel anche quando di tratta di prendere decisioni strategiche dell’attività. Lo conferma Lo Iacono: “Il contributo dell’angel si concretizza fortemente grazie all’apporto di capitali ma, soprattutto, di esperienza e network che consentono di accelerare riducendo gli errori intrinseci nel percorso di creazione di ogni business.” 
  2. Il BA è un angelo custode ma investe economicamente nelle startup
    Tra BA e startup esiste pur sempre una relazione che ha fini di business perciò non deve stupire né deludere che il “Business Angel si assicuri che vi siano adeguate previsioni contrattuali che gli consentano di poter monitorare con costanza l’operato del founder e, se del caso, intervenire nei processi decisionali dando il proprio contributo nelle decisioni strategiche” sempre nel rispetto della libertà di azione del founder, che deve sempre sentirsi “al centro del proprio progetto imprenditoriale” chiarisce l’avvocato Autuori.
  3. Il mercato è pronto a pagare per questa idea?
    E non deve neppure stupire che, forse, una delle prime domande che si ponga il BA alle prese con una startup sia proprio questa. Di fatto, commenta Lo Iacono: il primo motivo di fallimento delle startup è costruire qualcosa che non interessa al mercato”  il che vuol dire che “per attrarre un investitore è fondamentale potere dimostrare di avere realizzato qualcosa che il mercato desidera ed è disposto a pagare” chiarisce Bicocchi Pichi. E per farlo “non è bene concentrarsi solo ed esclusivamente sul proprio bisogno (voglio un finanziatore) ma essere se stessi e concentrarsi sul fare bene quel che si è deciso di fare in base ai propri talenti ed interessi. Essere eccellenti, avere l’ossessione per il miglioramento continuo, essere alla ricerca di critiche, osservazioni, obiezioni alla propria idea e società.”
    Non si tratta di pessimismo ma di oggettività: creare una startup non è né facile né immediato” spiega proprio lo startupper Lo Iacono: “l’errore più comune è immaginare il processo di creazione di una startup semplice e divertente. Intraprendere questo percorso senza la giusta convinzione e motivazione è l’errore più grande che si possa commettere.”
    E il BA lo capirà anche al primo incontro.
  4. Avere chiarezza di obiettivi, capacità di programmazione e organizzazione, anche strategica
    Se, invece, si presenta un progetto a un Busines Angel mostrando queste caratteristiche sin da subito è un ottimo modo per attirare concretamente l’attenzione del BA. Avere una buona idea, chiarisce Antuori, è ovviamente fondamentale ma sono molte altre le caratteristiche che fanno presa su un investitore. Ad esempio “avere obiettivi chiari, capacità di programmazione ed organizzazione, anche strategica, insieme a un buon elevator pitch (i.e., il documento sintetico volto a trasmettere l’idea di business evidenziandone i vantaggi e le strategie di sviluppo), e un business plan adeguato per trasmettere un messaggio coinciso ma efficace sia sulla bontà del proprio prodotto, sia sulla serietà e profittabilità del progetto.” E ancora, mostrare una ottima capacità relazionale e di comunicazione dell’intero team.
  5. Ascoltare e non avere fretta
    Ciò che va evitata, invece, è la fretta, da sempre cattiva consigliera: il facile entusiasmo potrebbe mettere a repentaglio sia l’appoggio del BA che la riuscita della stessa startup. L’errore più grave in questo senso è il “non ascoltare le osservazioni negative. Pensare superficialmente che “poi capiranno” spiega Bicocchi Pichi oppure “si, ma nella release 2:0 questo problema non ci sarà”. Spesso non c’è tempo per seconde o terze possibilità.
    Allo stesso tempo, aggiunge l’avvocato Autuori: “l’entusiasmo porta i founder a sottovalutare alcuni aspetti legali che, invece, vengono valutati con molta attenzione dagli investitori e, se non impostati correttamente in fase iniziale, possono essere difficili (e costosi) da correggere. Mi riferisco, ad esempio, al trattamento dei dati personali o alla regolamentazione dei rapporti di lavoro che sollevano problemi con cui tutte le start-up devono confrontarsi.”

E per il futuro?

Non è un punto dell’elenco ma è IL punto su cui riflettere quando si parla di  investimenti per e sulle startup. Secondo il Presidente Bicocchi Pichi: “nel sistema Italiano manca tuttora sufficiente capitale di rischio che permetta di passare dallo stadio di “seed” alla crescita o per meglio dire al tentativo di crescita. Perché si possa crescere occorre agire “top down” inserendo management di alto livello ed estendere il mercato a livello internazionale, e questo richiede investimenti di rischio significativi. Perché si possano mobilizzare capitali di rischio privati occorre una misura di forte incentivo fiscale sul modello SEIS ed EIS in Inghilterra.”

Sulla stessa scia Lo Iacono: “sarebbe strategico riuscire a mobilitare il risparmio privato incentivandolo, chiaramente con le dovute precauzioni, all’investimento in startup hi-tech. Senza gli angel WIB non sarebbe qui a parlare oggi. Personalmente ritengo ci sia ancora molto da fare per sfruttare appieno le potenzialità offerte dal settore startup, ma i segnali positivi che vanno in questa direzione sono sempre di più e sempre più concreti e noi giovani imprenditori, ottimisti per definizione, non possiamo che concentrarci su di essi.”

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