Umanesimo e (iper) Complessità intende affrontare, senza alcuna pretesa di esaustività, alcune questioni estremamente complesse che coinvolgono ambiti disciplinari differenti e richiamano la nostra attenzione sull’importanza di una prospettiva sistemica, oltre che multidisciplinare, nell’analisi di “oggetti” che dobbiamo imparare a vedere/riconoscere come “sistemi” (e non viceversa) e che sfuggono alla tradizionali categorie e definizioni; e, nel far questo, la nostra riflessione si pone i seguenti obiettivi: a) provare a definire i “confini” di questa ipercomplessità, caratterizzata da limiti sempre più impercettibili tra natura e cultura, naturale e artificiale, tra umano e non umano, prestando particolare attenzione al contesto globale di riferimento o, per meglio dire, al “nuovo ecosistema” (1996) – che abbiamo successivamente definito Società Interconnessa; b) formulare ipotesi e domande – peraltro, in una fase in cui tutti propongono soltanto risposte e soluzioni semplici a problemi che sono, evidentemente, complessi – rispetto alla possibilità di un Nuovo Umanesimo per questa civiltà ipertecnologica e del rischio (Beck); un Nuovo Umanesimo che – come affermato più volte in passato – parta proprio dal ripensamento complessivo del sapere (come sapere condiviso, Dominici 2003), dello spazio tra i saperi (e, ad un secondo livello, tra le competenze) e, soprattutto, dello spazio relazionale (libertà è responsabilità*- centralità dei processi educativi); che ponga la Persona*, e non la Tecnica, al centro del complesso processo di mutamento in atto; un Nuovo Umanesimo che non consista soltanto nella – per certi versi – scontata, oltre che antistorica, riaffermazione di certi valori (fondamentali) magari calati dall’alto, in un contesto storico globale completamente differente, segnato da un preoccupante “vuoto etico”(Jonas), da indifferenza e torpore morale, da incertezza e precarietà divenute ormai condizioni esistenziali; dal trionfo dell’individualismo, di nuove asimmetrie e dal conseguente indebolimento del legame sociale. Un Nuovo Umanesimo che deve necessariamente ridefinire certe categorie (umanità, identità, dignità, Persona, valore, diritti etc.) per poter ripensare l’essere umano nel mondo, all’interno di un rinnovato, oltre che complesso, rapporto con gli ecosistemi (torneremo anche sui “sistemi complessi adattivi”) e con innovazioni tecnologiche rivoluzionarie e, in molti casi, invasive.
Il cambio di paradigma…l’evoluzione culturale condiziona quella biologica
Oggi infatti, come mai in passato, la tecnologia è entrata a far parte della sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio[1], rendendo ancor più evidente la centralità e la funzione strategica di un’evoluzione che è culturale e che va ad affiancare quella biologica, condizionandola profondamente e determinando dinamiche e processi di retroazione (si pensi ai progressi tecnologici legati a intelligenza artificiale, robotica, informatica, nanotecnologie, genomica etc.). In altre parole, nel quadro complessivo di un necessario ripensamento/ridefinizione/superamento della dicotomia natura/cultura, non possiamo non prendere atto di come i ben noti meccanismi darwiniani di selezione e mutazione si contaminino sempre di più con quelli sociali e culturali che caratterizzano la statica e la dinamica dei sistemi sociali. Sempre più difficile, oltre che fuorviante, provare a tenere separati i due percorsi evolutivi e, allo stesso tempo, sempre più urgente si fa la domanda di un approccio multidisciplinare alla complessità per l’analisi e lo studio di dinamiche (appunto) sempre più complesse, all’interno delle quali i piani di discorso e le variabili intervenienti si condizionano reciprocamente, mettendo a dura prova i tradizionali modelli teorico-interpretativi lineari.
E, ancora una volta, non si tratta di essere “pro” o “contro”, anzi occorre andare oltre la sterile, ma sempre presente e puntuale, polarizzazione del dibattito che ha logiche radicalmente differenti da quelle della produzione e condivisione di conoscenza (potere): dobbiamo acquisire consapevolezza di trovarci difronte ad una trasformazione antropologica (1996) che, mettendo in discussione gli stessi presupposti basilari di pensiero, teoria e prassi, evidenzia ancora una volta l’urgenza di un cambio di paradigma – più volte echeggiato già negli anni Novanta – e la ridefinizione delle stesse categorie concettuali.
Il contesto: la Società Ipercomplessa
Per ciò che concerne il contesto globale di riferimento, abbiamo avuto modo di definirlo nel seguente modo: «La società interconnessa è una società ipercomplessa, in cui il trattamento e l’elaborazione delle informazioni e della conoscenza sono ormai divenute le risorse principali; una tipo di società in cui alla crescita esponenziale delle opportunità di connessione e di trasmissione delle informazioni, che costituiscono dei fattori fondamentali di sviluppo economico e sociale, non corrisponde ancora un analogo aumento delle opportunità di comunicazione, da noi intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza che implica pariteticità e reciprocità (inclusione). La tecnologia, i social networks e, più in generale, la rivoluzione digitale, pur avendo determinato un cambio di paradigma, creando le condizioni strutturali per l’interdipendenza (e l’efficienza) dei sistemi e delle organizzazioni e intensificando i flussi immateriali tra gli attori sociali, non sono tuttora in grado di garantire che le reti di interazione create generino relazioni, fino in fondo, comunicative, basate cioè su rapporti simmetrici e di reale condivisione. In altre parole, la Rete crea un nuovo ecosistema della comunicazione (1996) ma, pur ridefinendo lo spazio del sapere, non può garantire, in sé e per sé, orizzontalità o relazioni più simmetriche. La differenza, ancora una volta, è nelle persone e negli utilizzi che si fanno della tecnologia, al di là dei tanti interessi in gioco»[2].
La Società Interconnessa e l’economia della condivisione (1998), da una parte, e le tecnologie, dall’altra, comportano, a livello locale e globale, un cambiamento di paradigma senza precedenti, che coinvolge direttamente il modo di produzione, i rapporti sociali e di potere (gerarchie, assetti e asimmetrie), lo spazio del sapere, la cultura. Un cambiamento di paradigma che, anche a questo livello, ha profonde implicazioni non soltanto per i sistemi sociali e le organizzazioni complesse, ma per gli stessi attori sociali (individuali e collettivi). L’attuale ecosistema della comunicazione determina anche un cambiamento radicale di codici, culture, modalità di produzione e condivisione, gerarchie (disintermediazione/re-intermediazione) – lo ripetiamo, una vera trasformazione antropologica – dalle numerose implicazioni anche, e soprattutto, in termini di cittadinanza e inclusione, con ricadute notevoli ancora una volta su identità e soggettività in gioco. Il rischio è che un mutamento di tale portata, legato a molteplici variabili e concause, si riveli non un’occasione irripetibile di innovazione sociale e mutamento, bensì l’ennesima opportunità per élites e gruppi sociali ristretti.
Per questa civiltà ipertecnologica, oltre ad una rinnovata attenzione per le regole e i diritti, occorre un approccio sistemico alla complessità, in grado di evitare spiegazioni riduzionistiche e deterministiche e di far dialogare “saperi” e competenze troppo spesso tenuti separati (scuola e università strategiche). L’economia interconnessa richiede scelte strategiche e una nuova sensibilità etica per le problematiche riguardanti gli attori sociali, il sistema delle relazioni e lo spazio del sapere: occorre, cioè, una nuova cultura della comunicazione, orientata alla condivisione e all’intesa, in grado di incidere sui meccanismi sociali della fiducia e della cooperazione. In tal senso, la ricomposizione di un contesto globale, che appare sempre più frammentario e disordinato – anche se occorre assolutamente definire strategie per oltrepassare le retoriche della “liquidità” – spetta alla comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza*(1998) e di mediazione dei conflitti, sinonimo di socialità, “strumento” complesso di superamento dell’individualismo, piattaforma di connessione, cooperazione e produzione sociale delle conoscenze.
L’obiettivo strategico (di lungo periodo) – come ripetuto più volte in passato – è la “vera” innovazione, quella sociale e culturale: un’innovazione in grado di realizzare sistemi sociali più aperti e inclusivi. A questo livello – lo ribadiamo con forza – la sfida all’ipercomplessità è una sfida in primo luogo conoscitiva, con teoria e ricerca/pratica che si alimentano vicendevolmente (!): una sfida che porta con sé un’assunzione di responsabilità, a livello individuale e collettivo: innovazione e inclusione non possono essere “per pochi”. Altrimenti termini come identità, diritti, cittadinanza, libertà, inclusione, meritocrazia, accesso, partecipazione, democrazia etc. saranno/si riveleranno parole “vuote”, funzionali soltanto a certe narrazioni sull’innovazione e sul digitale ed ad un certo discorso pubblico fin troppo conformista e omologante.
[2]Cfr. P.Dominici, Dentro la Società Interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014, p.9. Per ciò che concerne il concetto di “Società Ipercomplessa”, con relativa definizione operativa, è stato da me proposto alla metà degli anni Novanta e, successivamente, sviluppato in P.Dominici, La comunicazione nella società ipercomplessa. Istanze per l’agire comunicativo e la condivisione della conoscenza nella Network Society, Aracne, Roma 2005 e in La comunicazione nella società ipercomplessa. Condividere la conoscenza per governare il mutamento, FrancoAngeli, Milano 2011 (Nuova ed.)
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