Data-driven business, non è quello che pensi

I Big Data sono il nuovo nero. Anzi, diciamolo meglio: i Big Data sono il nuovo sito fatto negli anni 2000, iperpompato, focalizzato sulla tecnologia, visuale (ovviamente, visto che la data visualisation è il nuovo web design) e rigorosamente in mano al Marketing.

Il che è il motivo per cui vedo e prevedo grandi sprechi di risorse, sotto forma di grandi vendite IT (hardware e licenze, sia chiaro, mica competenze), bonus indipendenti dai risultati, un aumento e un allungamento delle riunioni, presentazioni in PowerPoint ancora più barocche e più lunghe, battibecchi manageriali sul sesso degli angeli seguiti dall’inevitabile adattamento dei dati alla narrativa autoincensante del vincitore, mentre i semestri passano nel Business As Usual nell’attesa della prossima rivoluzione a parole.

C’è però qualcosa, in questa corsa ai dati, che sfugge a molti. Vediamo di spiegarla. In un tempo non lontano, “editor” era un lavoro come questo:

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Editor al lavoro, circa 1977 (immagine CC-BY-SA GeorgeLouis)

Oggi, il più grosso progetto editoriale al mondo per garantire la qualità dei contenuti si affida a un altro tipo di editor.

Se il compito è sufficientemente ben definito, i bot funzionano meglio degli umani.

Sì, lo so, sono ancora necessari editor umani. In effetti il loro lavoro è reso migliore proprio dalla presenza di un gran numero di bot che si occupano di dettagli noiosi come refusi, riferimenti mancanti, applicazione delle linee-guida editoriali, identificazione di contenuti discutibili o imappropriati, ecc. Non è questo il punto. Il punto è che gli esseri umani non sono più necessari per l’editing di basso livello.

Scettici? Ma pensate davvero che il vostro giornale di carta o il vostro sito di notizie preferito non migliorerebbe molto usando anche dei bot come editor? Ci scommettereste dei soldi? Stiamo parlando di lavoratori competenti, non sindacalizzati, che si occupano del compito assegnato 24/7 praticamente gratis e con una determinazione assoluta. Credetemi, è il sogno di qualsiasi datore di lavoro.

Ma ormai ci siamo abituati a lasciare alle macchine i compiti più gravosi o noiosi, tenendo per noi il ruolo che realmente ci spetta: decidere e dirigere dalla sala di controllo. Se solo le macchine non ci stessero sostituendo anche lì.

Ricordate quei film anni ’80 sulla borsa, dove il picco dell’azione era rappresentato da un salone pieno di trader urlanti, sudati, sovrappeso, perlopiù bianchi e sull’orlo di una crisi di nervi? Ecco, anche quel lavoro lì sta sparendo:

trading bot data-driven vs. trader umani

 

E qui non si tratta più di padroni schiavisti alla ricerca di forza lavoro da sottopagare. Qui si tratta di maggior produzione di valore. Nessun essere umano può fare trading in 30 millisecondi (che è l’anticipo sul fixing riservato agli high-frequency traders). Ma i bot possono. E lo fanno. I trading bot generano più danaro dei trader umani.

Aspettate, diventa ancora più interessante.

Lo show business (quello di “there’s no business like show business”, proprio quello), questo santuario dell’umanità fisica, sta diventando algoritmico anche lui. C’è stato un tempo in cui questo mondo era dominato da egocentrici maschi alfa con una certa tendenza balistica alla risoluzione di problemi:

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Ti troverai il mio pugno così su per il culo che i tuoi pensieri dovranno ballare il tip tap attorno alla mia fede nuziale!” —Les Grossman, produttore (Tom Cruise)

Oggi una forte leadership è ancora il modo migliore di rispettare le scadenze di produzione, e gli umani si blandiscono, si urlano e si minacciano come nessun’altra specie. Ma quando si tratta di prendere decisioni, sempre più spesso gli umani si trovano a dover solo ratificare la scelta di un algoritmo.

il data-driven business all'assalto dell'industria discografica
La Hit Equation può dire se un brano musicale sarà un successo o no. ©ScoreAHit, scoreahit.com.

Pensate alla vostra megastar di Hollywood preferita. Pensate che sia così difficile programmare una recitazione migliore?

Lo so cosa state pensando: anche se una formula può stabilire su quale artista investire, gli artisti sono pur sempre esseri umani, con la loro creatività, i loro talenti, le loro personalità uniche. Ne siete proprio convinti? Perché nel caso che abbiate vissuto in un armadio negli ultim i trent’anni, vi ricordo che vivete in un mondo dove One Direction, Take That, Spice Girls e altri esemplari creati in laboratorio sono abitualmente in testa alle classifiche.

Ci sono voluti quasi tre anni per scoprire che il mestiere dei Milli Vanilli era solo quello di fornire una “immagine vendibile” a dei vocalist. E da allora, le case discografiche hanno scoperto che on l’autotune il problema scompare, facendo alle voci quello che le copertine delle riviste fanno ai corpi delle modelle. I risultati sono reali come gli unicorni, ma vendono come se non ci fosse un domani. Ma voi siete ancora affezionati all’illusione della “personalità unica”, vero?

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Hatsune Miku, “celebrity costruita collaborativamente” foto © G. Nelva

E allora diamo il benvenuto a Hatsune Miku

  • repertorio di oltre 1000000 brani
  • tour 2016: Seattle, San Francisco, Los Angeles, Dallas, Toronto, New York, Mexico City
  • 170.000 video YouTube
  • oltre 1.400.000 Facebook
  • show esauriti a LA, Taipei, Hong Kong, Singapore, Tokyo

Da un punto i vista puramente di mercato, Hatsune Miku:

  • è altrettanto artificiale richiede uno sforzo produttivo comparabile a qualsiasi altra icona pop
  • ha un potenziale di mercato comparabile e potenzialmente molto maggiore
  • per una frazione del costo: i bot non riscuotono diritti.

Sono convinto che la sola cosa che impedisca ad artisti sintetici (attori inclusi) di diventare mainstream sia il cartello degli agenti. Ma solo fino a quando non troveranno il modo di rappresentare personaggi sintetici. Meno di cinque anni, secondo me. E come sempre, il porno aprirà la strada.

Qualsiasi compito deve essere svolto dall’agente di minimo costo in grado di assolverlo. Qualsiasi altra soluzione è antieconomica.

E quindi? E quindi il lavoro si sta evolvendo. Molte cose che oggi chiamiamo lavoro non richiedono più un essere umano per essere fatte. Sono determinate algoritmicamente, e quindi vengono gestite meglio da un assistente automatico.

Guardatevi attorno: i call center sono il passato, sempre più spesso interagiremo con dei chatbot, e io penso che saremno ben felici di farlo. Perché? Ma perché il costo marginale di usare un software è circa zero, mentre gli esseri umani devono essere pagati. E quindi dal punto di vista aziendale la scelta è fra cercare di ridurre i costi fissi del personale a livelli quasi schiavistici impiegando personale minimamente competente in paesi in via di sviluppo, o investire un qualcosa che può produrre un livello di servizio eguale o superiore a un essere umano ad un costo marginale quasi nullo.

E c’è ancora di meglio.

Mentre state leggendo, la business automation è già al livello del middle management, anche nel marketing. Non saprei come altro chiamare Google keyword planner. Altre funzioni di business seguiranno la stessa strada. L’appiattimento gerarchico reso possibile dai dati non fa distinzioni.

E quindi sì, dovreste cominciare a occuparvi di Big Data, con un avvertimento:

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Don’t Believe The Hype!

Al momento, la proposizione di vendita è che i Big Data sono dati, ma che sono tanti, e quindi dovreste proprio comprare la meravigliosa piattaforma che il venditore vi suggerisce. Questa è una scemenza.

Tutti i venditori sono pronti a dirvi che i Big Data sono tali per Volume, Velocità e Varietà, e che la vostra organizzazione non è in grado di affrontarli da sola. Il che esprime una verità, ma tralasciando un aspetto fondamentale: la qualità dei dati di cui si parla.

Big Data è un processo, non una tecnologia o un prodotto. e il processo inizia prima di iniziare a raccogliere i dati. Se ci si prende la briga di controllare, si scopre che la maggior parte dei database aziendali sono inutili dal punto di vista di una gestione data-driven dell’azienda. Controllate, se avete del tempo, e troverete che il database clienti, quello amministrativo, quello degli acquisti, quello di produzione e quello della logistica non sono allineati. Questo vale anche per quelli di voi che usano come ERP il famoso standard di mercato a tre lettere.

Il business data-driven non è un problema di software, è una strategia sistemica per acquisire, mantenere e sfruttare dati di alta qualità. Si può metterla in atto oppure no, ma non accade da sé. È un processo che bisogna volere, avallare, avviare e governare.

Il primo passo è includere nella cultura aziendale che i dati sono dell’azienda, non della funzione che li origina. Facile? Guardate negli occhi i vostri capo funzione mentre lo dite, e vedete cosa ne pensano davvero. Con ogni probabilità anche la vostra trabocca di capo funzione che semplicemente si _rifiutano_ di condividere i dati in loro possesso. Report? Nessun problema? Statistiche analitiche? Con piacere. Ma dati nudi non trattati? Manco morti.

Questo, purtroppo, implica che l’azienda sappia del mondo esattamente solo quello che il capo funzione vuole che sappia, e solo nel modo in cui lo ritiene utile. Non è solo indorare la pillola, è management alla “paramose er culo”, ed è dovunque. Non dovete credere a me, chiedete i dati grezzi e vedete da soli.

Perché il business data-driven sia possibile non bastano database e software. Ci vuole una governance forte e una propensione alla revisione continua. I report giornalieri sono meglio di quelli settimanali, che sono meglio di quelli mensili. Ma i KPI sono meglio dei report, non importa quanto siano bravi i vostri dirigenti con PowerPoint. Sì, sto dicendo che dovreste avere una dashboard.

Perché poi il problema non è la dashboard. È quello che ci mettete dentro: perché a meno che non abbiate sviluppato una cultura aziendale data-driven, la vostra dashboard sarà uno storytelling multimediale, non uno strumento di decisione.

E siamo giunti alla domanda che fa tremare le vene e i polsi:

Come faccio a promuovere una cultura data-driven?

La mia risposta sono questi otto passi verso il data-driven business:

  1. Corretta Identificazione (quali sono i dati significativi?)
  2. Corretta Raccolta (da dove arrivano i dati, e come?)
  3. Corretta Validazione (i dati sono di due tipi: dati di qualità e spazzatura)
  4. Corretto Governo (chi legge e modifica cosa, quando e come, e come ne teniamo traccia)
  5. Corretta Interrogazione (la risposta è 42; il problema è quale sia la domanda)
  6. Corretta Interpretazione (cosa significano i dati vs. cosa vogliamo sentirci dire)
  7. Corretta Comunicazione (i dati giusti alle persone giuste al momento giusto)
  8. Corretta Epurazione (troppi dati fanno solo rumore)

Ovvio? Forse. Facciamo così: vedete quanti punti su 8 riesce a segnare la vostra azienda (non barate!) e la prossima volta partiamo assieme dal punto 1.

A presto!

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