Prendilo, è gratis (la prima volta) /2

Se uno ha imparato a contare soltanto fino a sette
vuol mica dire che l’otto non possa esserci.
Jovanotti

Delle recenti strategie di marketing messe in atto dalle major del software, che regalano prodotti e servizi alle scuole nella speranza di formare futuri utenti paganti, abbiamo già parlato qui.

Ovviamente anche le università rientrano in questi piani commerciali. Microsoft, ad esempio, ha lanciato il suo programma Microsoft Educator Grant, destinato ai docenti universitari e ai loro studenti. Il programma offre accesso gratuito ai servizi cloud Microsoft Azure per il docente e gli allievi del suo corso. Secondo le intenzioni di Microsoft “il programma Microsoft Educator Grant nasce con l’obiettivo di dare ai professori e agli studenti nel contesto universitario l’opportunità di sfruttare tutti i vantaggi di Microsoft Azure, usufruendo, in ambito didattico, di una piattaforma di servizi cloud avanzata come quelle utilizzate dalle grandi aziende”.

Dato che normalmente l’account di accesso a Microsoft Azure viene venduto a 250 dollari al mese per il docente e a 100 dollari al mese per ogni studente, sembra un’ottima cosa.

Invece no. Per diverse ragioni:

  1. l’account docente è gratis solo per un anno, gli account studente addirittura solo per sei mesi; alla scadenza bisognerà pagare i canonici 250 $/mese e i 100 $/mese per mantenerli attivi. Se non si provvede entro 90 giorni, tutti i dati verranno semplicemente eliminati. In realtà è abbastanza verosimile che, trattandosi di strumenti messi in piedi a scopo didattico, dopo un semestre uno studente non ne abbia più bisogno, come non ne ha bisogno il docente dopo un anno, ma a chi piacerebbe sapere che il materiale con cui hai preparato un esame sta per sparire per sempre e non potrà più essere usato né consultato, se non pagando cifre non propriamente trascurabili?
  2. l’università non è un’azienda privata, ma è l’istituzione che fa della condivisione della conoscenza, insieme alla ricerca scientifica, uno dei fondamenti della sua esistenza. La condivisione della conoscenza non si può avere se non in un contesto di neutralità tecnologica (o almeno di pluralismo) e di utilizzo di standard aperti. Può la conoscenza essere rinchiusa in “scatole” private e disponibile addirittura a tempo determinato? Che succederebbe se lo stesso destino di quei dati, cancellati dopo un anno, fosse riservato – per dire – anche alle biblioteche universitarie, così ricche di saperi, in molti casi secolari, liberamente accessibili a chiunque?
  3. chi ci guadagna veramente da questa offerta? Gli studenti? Non molto: avere imparato ad usare uno strumento tra i tanti, proprietari e liberi, che il mercato propone, solo perché regalato, in generale non è un buon biglietto da visita da presentare sul mercato del lavoro. I Docenti? Forse: la disponibilità di una soluzione bell’e pronta e che non grava sulle casse sempre troppo vuote degli atenei è una tentazione troppo forte, ma lascia aperti gli interrogativi posti al punto precedente. Chi propone l’offerta? Sicuramente: uno studente (non pagante) che si forma su un dato strumento sarà portato a pensare che quello sia l’unico esistente, o comunque il migliore sul mercato, e sarà quindi un probabile futuro utente (pagante) di quello strumento, anche semplicemente perché lo sa già usare.

Ma è davvero quello che vogliamo?

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