Trent’anni di Internet, trent’anni di riforme della PA

Abbiamo da poco ricordato il trentennale del primo collegamento italiano alla rete Internet, molto più modestamente sono quasi trent’anni che io mi occupo della riforma dell’amministrazione pubblica e in questo breve articolo mi propongo di fornire un panorama, necessariamente sommario, dei principali cambiamenti che ho visto, con un occhio particolare all’impatto che le tecnologie hanno avuto su questo processo. Temi sempre più attuali, che anche quest’anno troveranno un momento centrale di sintesi e confronto all’interno del FORUM PA (sarà la 27esima edizione) che si terrà dal 24 al 26 maggio al Palazzo dei Congressi di Roma.

Trent’anni fa, mentre partiva da Pisa il primo collegamento alla grande rete, a Roma si succedevano Governi come ciliegie (sette nel corso di cinque anni), informatica pubblica voleva dire grandi mainframe e programmi tutti proprietari, i fax cominciavano a fare capolino nelle imprese, ma non ancora negli uffici pubblici e i “camminatori” percorrevano i lunghi corridoi dei Ministeri umbertini con il loro fardello di faldoni chiusi con il famoso nastro. Da allora se ne è fatta di strada: molte cose sono cambiate radicalmente, molte altre sono libri che hanno cambiato solo la copertina.

In primis direi che sono molto cambiate le leggi: una sequela di grandi riforme epocali ha contraddistinto questi anni. Dalla legge sulla trasparenza di Remo Gaspari (la famosa legge 241 del ’90) ai codici di comportamento di Cassese, dalle riforme Bassanini con la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e il decentramento amministrativo alla legge sulla dirigenza di Frattini, dall’innovazione radicale annunciata da Nicolais alla riforma di Brunetta con l’enfasi sul ciclo della performance, dall’anticorruzione di Patroni Griffi al complesso e ambizioso piano della riforma Madia è stato un susseguirsi di novità annunciate, di semplificazioni sempre “epocali”, di cambi di paradigma rimasti purtroppo spesso sulla carta.

Sono anche profondamente mutati i perimetri di azione della PA: la riforma del titolo V della Costituzione, peraltro ora in nuova trasformazione, introducendo nella massima legge dello Stato la sussidiarietà orizzontale ha spezzato quel paradigma bipolare che vuole da una parte la PA fornire servizi e dall’altra i cittadini come utenti (o clienti in alcune accezioni che sono andate di moda) che al massimo giudicano i servizi attraverso il voto. Co-design dei servizi, cittadini come portatori di saperi e risorse, cura dei beni comuni, commons collaborativi, open government, accountability, trasparenza, partecipazione, collaborazione sono le parole d’ordine di questo cambiamento che non è lessicale, ma che rivoluziona le relazioni tra i soggetti in una sorta di rivoluzione copernicana che scalza la PA dal centro e la sostituisce con le relazioni positive tra soggetti.

Sono cambiati meno i processi della PA perché sostanzialmente si rifanno ancora ad uno schema di diritto amministrativo che, pur rispettando la sua nobile storia, non sembra poter rispecchiare una società moderna basata su di un liquido flusso di informazioni piuttosto che su schemi autorizzativi dati da ruoli precostituiti.

Sono certamente cambiate anche le persone che nella PA lavorano, ma le persone sono cambiate molto meno nella PA che nel resto del mondo e del mercato. Non perché siano lente, anzi quando sono fuori dell’amministrazione sono sveglie né più né meno degli altri cittadini, ma perché debbono sottostare spesso ad antiche usanze: il tornello, il cartellino (ormai è il badge, ma poco cambia), la limitazione nell’uso delle informazioni su Internet, il lavoro pesato ad ore e non con i risultati. Inoltre ahimè i dipendenti pubblici, con il blocco del turnover, invecchiano di media un anno l’anno e così si ritrovano con professionalità che andavano bene nell’era delle carte bollate e fanno fatica a ritrovarsi nell’era dell’accesso, della rete, della continua negoziazione degli interessi di una società ipercomplessa e frammentata.

E le tecnologie? Anche le tecnologie sono evidentemente cambiate radicalmente nella loro forma in trent’anni: dal mainframe al tablet; dall’immobilità assoluta di un elaboratore che occupava un piano intero al lavoro in mobilità. Purtroppo le tecnologie sono cambiate molto meno nelle funzioni per cui sono usate: se un tempo erano state acquistate per fare meglio e più in fretta quel che si faceva a mano, anche ora non hanno superato questo peccato originale e spesso sono usate per digitalizzare l’analogico piuttosto che per immaginare nuovi modelli organizzativi. Così si parla di informatizzare la PA, di PA digitale, di dematerializzazione, di interoperabilità che sono tutti concetti mutuati profondamente da un mondo che non c’è più. Nella società della rete non esiste né può esistere una PA digitale come non esiste un’economia digitale. Questa aggettivazione, è infatti portatrice di un errore di fondo: non esiste una PA digitale che è oggetto di una “politica digitale” e una “PA non digitale” oggetto di studio di esimi amministrativisti che non sanno neanche l’abc dell’innovazione.  Il “digitale” non è infatti uno strumento né tantomeno un settore della nostra vita economica, sociale, relazionale, culturale ma è il mare in cui nuotiamo, è l’aria che respiriamo, è l’ecosistema in cui è immersa la nostra vita. In questo senso, archiviata ormai come totalmente obsoleta la  distinzione tra old e new economy e preso atto dei nuovi paradigmi della “industria 4.0”, possiamo tranquillamente affermare che l’agenda digitale è semplicemente l’agenda dello sviluppo del Paese, perché qualsiasi politica di sviluppo economico non potrà che appoggiarsi sulla trasformazione digitale dei prodotti, dei processi, delle relazioni, dei ruoli. Altrettanto possiamo dire che la PA digitale è semplicemente una PA migliore, più veloce, più semplice, più vicina ai cittadini, più adatta a produrre “valore pubblico” per i contribuenti. Una buona PA o è digitale o non è.

Ma una buona PA deve essere capace di ripensarsi completamente, di rivedere i processi dalle fondamenta, deve non cedere alla tentazione di fare con i bit lo stesso che faceva con la carta, deve immaginare nuovi modelli organizzativi e nuovi ruoli. Deva aprire ai giovani e alle nuove professionalità capaci di porre ai dati le domande giuste.

In questo senso trent’anni sono passati, ma la strada da fare è ancora molto lunga e a volte sembra che non abbiamo davanti una buona carta per immaginare i percorsi che servono.

 

(Foto di Stefano Corso Flickr, CC BY-NC 2.0)

 

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Ideatore e animatore del FORUM PA, la più grande ed importante manifestazione europea, espositiva e congressuale, dedicata all’innovazione nella Pubblica Amministrazione e nei sistemi territoriali giunta quest'anno alla 27° edizione. Nella sua ormai ultraventennale attività di costruttore e animatore di reti, ha collaborato con 17 Governi (dal penultimo Governo Andreotti al primo Governo Renzi) e con 15 diversi Ministri della Funzione Pubblica, mantenendo una sostanziale terzietà, ma contribuendo a sostenere tutte le azioni innovative verso una PA più snella, più moderna, maggiormente orientata ai risultati e in grado così di restituire valore ai contribuenti e innovazione al Paese. Svolge attività didattica presso università e scuole della PA: dalla Scuola Superiore della PA alla Scuola Superiore per la PA locale, al Formez, a vari Istituti pubblici e privati. Autore di articoli ed editoriali su quotidiani nazionali e riviste specializzate nel campo della comunicazione pubblica e dell’innovazione delle amministrazioni.

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