Local Motors: la cultura custom incontra il modello Open Source

Custom significa personalizzato, fatto su misura, un termine che richiama un vero e proprio stile di vita fondato sull’esigenza di trasformare il proprio veicolo, auto o moto che sia, in qualcosa di unico e rappresentativo della propria personalità. Una cultura sicuramente ben rappresentata dalle icone cinematografiche e televisive americane dello scorso secolo e da sempre sinonimo di libertà.

Ed è proprio in America, e per la precisione a Phoenix (Arizona), che nel 2007, sulla spinta di questa cultura, è nata un’azienda che ha creato uno dei più interessanti ed efficaci modelli di Open Manufacturing al mondo, la Local Motors. Il fondatore, John B. Rogers Jr., è un imprenditore e designer da sempre appassionato di automobili, ha prestato servizio per 6 anni nel corpo dei Marine, si è laureato alla Princeton University e ha conseguito un master in Business Administration ad Harvard. Per la Local Motors ha sviluppato un modello di business innovativo fortemente ispirato alle dinamiche delle comunità Open Source e basato principalmente su due fattori chiave: co-progettazione e micro-manifattura distribuita.

Co-Create

Rispetto a un mondo dell’industria motoristica assolutamente verticale e impenetrabile, fatto di convenienze, compromessi e analisi di mercato, questo nuovo approccio è stato decisamente rivoluzionario: basta imposizioni da parte del mercato, la comunità diventa il tramite per realizzare i nostri veicoli da sogno, dai più folli ai più concreti. Il meccanismo è semplice e meritocratico: si definisce l’ambito di un progetto (la tipologia di veicolo e le sue caratteristiche di massima), si raccolgono le proposte e il design che riceve più voti vince e viene prodotto. Per stimolare la competizione e premiare la partecipazione vengono messi in palio premi in denaro per i primi classificati. A seconda della complessità del progetto, le fasi della partecipazione possono essere suddivise, ad esempio prima la scelta del design esterno, poi gli interni, le soluzioni telaistiche e meccaniche, gli accessori e così via. La piattaforma online diventa luogo di sfida e collaborazione, ma anche di libertà creativa e esercizio di stile.

Una comunità vivace e ben gestita garantisce numerosi vantaggi all’azienda che la ospita:

  • non servono più analisi di mercato, è la comunità stessa a indicare direzione e tendenze.
  • Non servono designer: le linee vengono concepite dalla comunità che premia da sé i progetti più convincenti e creativi.
  • Lo sviluppo ingegneristico viene coadiuvato dalla comunità, garantendo la migliore qualità progettuale e un rapido problem solving.
  • La comunità favorisce il marketing virale, chi ha collaborato alla realizzazione di un progetto non vede l’ora di raccontarlo ad amici e follower.
  • La comunità è una platea di potenziali acquirenti, chi collabora vuole realizzare il sogno di possedere quel veicolo che sente suo.

Microfactory e Mobifactory

Anche l’approccio produttivo segna una forte discontinuità rispetto al modello del mercato globale: la parola d’ordine è “decentralizzare”, produrre quando serve e dove serve (zero magazzino), favorendo la creazione di una rete di agili e versatili officine (le Mobifactory sono addirittura allestite a partire da grossi container) distribuite sul territorio nazionale e puntando sulle competenze locali (magari riscattando l’indotto depresso dalla crisi delle grosse case), scelta che favorisce una percezione del brand come innovativo, ma legato a valori genuini e tradizionali.

Questa struttura produttiva flessibile, unita all’approccio Open e al lavoro della comunità su tutti i fronti (interni, accessori, ecc.), favorisce anche la personalizzazione spinta dei veicoli, un aspetto fondamentale per un mercato di nicchia legato alla cultura custom.

Il Rally Fighter

È stato il primo veicolo realizzato dalla Local Motors, si tratta di un imponente veicolo da baja, una sorta di SUV con le linee da coupè, spinto da un motore di oltre 6 litri di cilindrata e 430 CV trasmessi alle sole ruote posteriori, un mezzo efficace e votato al puro divertimento che non ha faticato a conquistare spazio sui principali media mondiali (Top Gear USA, Jay Leno’s Garage, comparsa nel film Transformers: Age of Extinction e in videogame di larga diffusione come Grand Theft Auto V, Forza Horizon 2 e Forza 6), anche in virtù del primato di essere la prima vettura di produzione al mondo progettata attraverso il crowdsourcing. I file del progetto (modelli CAD 3D) sono accessibili a tutti e rilasciati sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA. A dispetto di un successo commerciale mai giunto (le vendite sono molto al di sotto delle 2.000 unità inizialmente previste, a fronte di un costo di sviluppo di 3 milioni di dollari, il prezzo non è dei più abbordabili: ben 100.000 dollari), il vero successo di questo progetto è stato il dimostrare che il modello collaborativo funziona davvero. In un’intervista alla CNN dal titolo “Come Internet ha costruito un’auto sportiva da 100.000 dollari”, il CEO John B. Rogers ha dichiarato: “Se Henry Ford avesse avuto Twitter e un accesso a Internet, sicuramente avrebbe realizzato le sue automobili in un modo molto differente“.

Sperimentare sempre

Il progetto del Rally Fighter ha avviato un percorso di sperimentazione continua, lo stesso veicolo è diventato un laboratorio di diverse tecnologie sperimentali: per la trazione elettrica, per esperimenti di connected car ed internet of things con piattaforme Open Hardware e così via. La produzione di veicoli è continuata, sempre a piccoli lotti, dalla sportiva motocicletta Racer al divertente trike Verrado e molti altri ancora, ma il vero obiettivo dell’azienda è stato il mettere a continua prova le capacità della sua comunità su fronti sempre nuovi, per collaudarne e rafforzarne le dinamiche, fino al punto di perfezionare il modello di business proponendosi come intermediari tra la comunità e partner selezionati in cerca di una rapida spinta innovativa. Ne è un esempio il progetto “Army CoCreate” svolto per la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) per creare rapidamente un sostituto dell’ormai datato veicolo militare Humvee e menzionato con orgoglio americano dallo stesso Presidente Obama. Il risultato è stato l’XC2V Flypmode un veicolo progettato nel tempo record di un mese e realizzato fisicamente nei successivi tre.

La sfida della stampa 3D

Fin dai primi passi la Local Motors ha sempre fatto largo uso delle più diffuse tecnologie di fabbricazione digitale, ma nel 2014 è arrivata la grande sfida: costruire la prima auto stampata in 3D sulla base della super-compatta elettrica Renault Twizy. La comunità, prolifica di proposte come sempre, ha premiato con 5.000 dollari l’originalissimo design dell’italiano Michele Anoé, ex FIAT e formato nella scuola di design IAAD di Torino: la “Strati”, un veicolo spider dalle linee filanti e sorprendentemente in grado di trasformare il difetto estetico dello slicing, tipico del processo di stampa 3D, in virtù. Per la successiva produzione il lavoro è arduo, i problemi di sottosquadro, anche questi tipici del processo di stampa, non sono banali e l’azienda coinvolge gli utenti anche grazie a numerosi video pubblicati su Youtube. I risultati arrivano e dalle 140 ore necessarie per la stampa dei primi prototipi si passa nel giro di un paio di mesi a meno di 45 ore. Questo tempo record viene sfruttato per fare show nelle fiere di tutto il mondo, nello stand Local Motors il pubblico assiste in diretta alla stampa e all’assemblaggio della Strati, per poi attendere entusiasta in fila l’occasione per un giro da passeggero. La sfida è vinta e i titoli dei giornali di tutto il mondo sono assicurati.

L’impegno per far progredire il concetto di produzione di autoveicoli con la stampa 3D è proseguito l’anno successivo (il 2015) assieme ad importanti partner con il progetto LM3D, un’auto più grande e sfruttabile della Strati che dovrebbe essere messa in vendita quest’anno a un prezzo di circa 53.000 dollari. La maggiore attenzione data ai partner commerciali e il minor coinvolgimento della comunità questa volta, a mio avviso, hanno prodotto un design poco convincente rispetto alle linee promosse dalla comunità, a denuncia di un minore impegno nell’ingegnerizzazione rispetto al caso della Strati. Forse c’è stato maggiore desiderio (o pressione) di avere un titolo ad effetto, che di presentare un prodotto valido e competitivo.

I progetti attuali

La sfida che sta attualmente impegnando la comunità della Local Motors è stata lanciata nientemeno che dalla Airbus, il noto costruttore europeo di aeromobili, con premi per un totale di poco meno di 120.000 dollari. Il progetto prende il nome di “Cargo Drone Challenge” e si prefigge di progettare un innovativo drone che consenta di trasportare con grande affidabilità forniture mediche. Le proposte presentate e validate sono ben 425 e sono attualmente in corso le votazioni, sarà interessante scoprire i risultati.

Ma proprio mentre sto scrivendo questo articolo, la Local Motors ha lanciato un “teaser” tramite il proprio canale Youtube: il 16 Giugno sarà presentata l’ultima innovazione in fatto di veicoli. C’entrerà ancora la stampa 3D o sarà qualcosa di più canonico e fedele alla cultura custom? Toccherà attendere l’evento che andrà live su Facebook.

Criticità

Il meccanismo messo a punto con cura e dedizione ora fa gola a molti grandi player del mercato, che però spesso guardano al risultato in sé senza aver maturato una cultura sulle dinamiche che lo hanno reso possibile. L’azienda offre il proprio modello di sviluppo a partner selezionati, ma deve prestare molta attenzione perché “il giochino” potrebbe non rispondere più ai comandi. La comunità è fatta di persone che ti seguono e partecipano attivamente fino a che rimani entro certi binari, fatti di valori, reputazione e rispetto per la missione che ci si è dati, aspetti che non sempre si possono controllare alzando la posta dei premi in denaro. Per mantenere intatti questi delicati equilibri, figure come il community manager sono più importanti che mai.

Conclusioni

Quello della Local Motors è senza dubbio un caso di successo che rimette al centro l’importanza di un’imprenditoria sana e capace di osare e ci fa capire che fabbricare in un modo nettamente diverso dalla grande produzione di massa è possibile. È possibile un progresso sostenibile che coniughi l’affacciarsi ad una platea globale, recependo le migliori intuizioni e capacità creative ovunque esse scaturiscano, rilanciando contemporaneamente le competenze e il saper fare locali e dove la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica restituiscono umanità al processo manifatturiero. Il suo modello di business dovrebbe essere oggetto di attentissimo studio da parte di chiunque voglia entrare nel mercato con un progetto Open Source/Open Hardware o chiunque voglia imparare come si fa a creare, gestire e far crescere una comunità digitale.

(Foto di zombieiteCC BY 2.0)

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here