Siamo tutti un po’ ostaggi del digitale?

Tra un discorso sulla digital transformation, uno di prospettiva al Tg delle 20 con il nuovo Commissario Straordinario Piacentini da Amazon (che qualcuno penserà pure sia una città) e quattro slide che condensano lo scibile sulla PA digitale, sulla industry 4,0 e sulla sharing economy, forse sfugge che cominciano ad essere “un po’ tante” le occasioni in cui siamo ostaggio del digitale. Ostaggio volontario e senza riscatto (se non quello che si paga raramente con una C di conoscenza e consapevolezza). Ostaggio incatenato da una nuova tecnologia, da un termine sconosciuto ma abusato anche fuori luogo, da un contratto che non ci sembra di aver mai sottoscritto, da una notifica, da un alimentatore che manca quando serve, dall’unico software che ci hanno insegnato ad usare e che diventa irrinunciabile, da tutto quello che ci porta ad essere inadeguati, imbranati, non pronti, per niente digital trasformati nonostante le borse piene di mele morsicate.

Prima che qualcuno parta con una immediata risposta al quanto siano da eretica digitale le poche righe scritte sopra, proverei a riflettere su quanto siamo ostaggio del digitale in queste occasioni:

ogni volta che compro un modello nuovo di telefono e io no, non trovo neppure il tasto di accensione

ogni volta che un medico perde 45 minuti del suo tempo (a fronte di 5 di visita) per scrivere al computer una prescrizione medica (che poi stampa su carta perché la ricetta elettronica c’è ma si deve anche vedere)

ogni volta che un impiegato impreca e sbatte il mouse perché voi siete in fila e lui ha il computer lento, bloccato, con procedura non funzionante, fuori uso (l’escalation di disastro digitale è ovviamente proporzionale alla fila che ha davanti)

ogni volta che un postino o un corriere ci fa firmare con un dispositivo “fighissimo” ma quel geroglifico non è mica la nostra firma “ma sa, basta uno schizzo”

ogni volta che una maestra non si ricorda la password del registro elettronico e pensa di dover fare richiesta su carta bollata per averne una nuova direttamente scritta in chiaro e stampata

ogni volta che un genitore a fine giornata lavorativa si trova a dover smistare 897 notifiche nel gruppo Whatsapp della scuola dei figli, dove persone “avanti” scambiano uno strumento potenzialmente utile con il nuovo solitario di Windows utile solo a passare il tempo. E libero da usare che tanto non si paga un tot a messaggio

ogni volta che un’azienda paga il riscatto di un ransomware perché da quando non ci sono più i floppy disk non fa il backup di nulla. Neppure della contabilità che tanto è tutto sul computer (uno ovviamente)

ogni volta che un insegnante fa acquistare a un dirigente una licenza di software proprietario “che siamo abituati a usare questo e di tempo per impararne un altro non ce n’è”

ogni volta che una pubblica amministrazione sceglie il cloud senza valutare cosa serve al cloud per funzionare e soprattutto cosa significhi avere i dati (di altri, i cittadini) su server (di altri, spesso imprese private)

ogni volta che perdiamo le nostre foto digitali perché da quando sono digitali è inutile stamparle. Ma anche salvarle magari in modo sicuro

ogni volta che un dirigente della PA fa firmare digitalmente un’altra persona al suo posto perché basta un pin, che ci vuole?

ogni volta che abbagliati da fantadiscorsi sull’opportunità del digitale un Ministero firma un accordo con una multinazionale senza valutare con razionalità il rapporto beneficio-costo solo perché il costo è apparentemente pari a zero mentre, visto che la moneta è rappresentata da informazioni di liberi cittadini, è spesso incommensurabile

ogni volta che ci sentiamo persi senza il navigatore

ogni volta che ci sentiamo inutili senza un mi piace

ogni volta che ci sentiamo annientati senza un caricabatterie e uno smartphone al 5% di batteria

ogni volta che pensiamo che nostro figlio sia un futuro Bill Gates solo perché ha mosso il gatto di Scratch

ogni volta che una maestra perde un’ora di tempo in aula per usare una lim, un portatile, un tablet, una maledetto touchpad invece che pensare alla sua lezione

ogni volta che organizziamo un convegno sul digitale in cui parliamo ogni anno della stessa cosa

ogni volta che un’impresa pensa di costruire una startup usando gli open data per poi accorgersi che i dataset disponibili non interessano a nessuno

ogni volta che facciamo un hackaton per costruire un’app che non useremo neppure noi che l’abbiamo pensata

ogni volta che compiliamo un modello che poi qualcuno deve trascrivere a computer “perché sa noi abbiamo un sistema informatizzato”. Ma poi stampa la ricevuta e la fa firmare che “signora mia come facciamo a tracciare tutto?”

ogni volta che l’operatrice di un Centro Unico di Prenotazione chiama il vostro esame medico 035

ogni volta che si stampa una fattura elettronica per metterla dentro una cartellina di carta con una marca da bollo adesiva sopra

ogni volta che parliamo di cultura digitale e poi organizziamo un addestramento (magari su un solo prodotto)

ogni volta che un comune comunica al mondo di essere smart per quattro lampioni che s’accendono da soli

ogni volta che un sindaco si definisce smart solo perché ha investito soldi (di altri, i cittadini) in qualcosa di simil digitale che non sa bene cos’è ma va di gran moda

ogni volta che un’infermiera si presenta nella camera di un paziente con un portatile in braccio più grande di lei e perde 20 minuti, non sapendo bene come usare il touchpad e dove appoggiarsi, per scrivere su un foglio di carta più sul pc che ha consegnato una pillola

ogni volta che un ragazzo perde un’occasione di lavoro perché non sa registrarsi al portale del lavoro perché usa Facebook ma non sa aprire una casella di posta elettronica

ogni volta che commentiamo una bufala che qualcuno ha condiviso senza aver verificato la fonte

ogni volta che scriviamo un messaggio a qualcuno per avvertirlo che gli abbiamo mandato una email

ogni volta che fingiamo di non aver ricevuto una email. E neppure una PEC che tanto è digitale

ogni volta che inviamo per fax il testo di una email

ogni volta che in un procedimento digitalizzato ognuno stampa la sua copia del documento digitale dando vita al fenomeno della IPER materializzazione (sorella gemella della DE materializzazione)

e per gli altri ogni volta continuate pure voi l’elenco. Mi fermo qui solo perché essendo questo un magazine digitale ho come il sospetto che ci possa essere qualcuno che si fermi a leggere solo il titolo per poi commentare abbondantemente sui social il contenuto (mai conosciuto ma immaginato. Digitale insomma).

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2 COMMENTS

  1. Se non fossero stati inventati i motori saremo ancora tutti ostaggi del bue e dei suoi capricci.

    Sonia, io ho riflettuto sulle tue “riflessioni” e la maggior parte le trovo dovute a persone che non sanno cambiare ed innovarsi. Non solo negli aspetti tecnologici.
    Mi padre a 75 anni, vecchio architetto in pensione e tendenzialmente filo-nostalgico, si è rimesso in gioco studiando un software per progettazione CAD 3D…con successo!

    Se ora siamo ostaggi del digitale, prima lo eravamo dell’analogico… e se per esempio penso che per prenotare un biglietto del treno negli anni 90 impiegavo 3 ore e oggi impiego 3 minuti…direi che il gioco è valso la candela, senza doversi per forza sentire ostaggi.
    Poco male se ogni tanto il computer dell’addetto si rompe e la fila impreca. La gente impreca in quanto nel nuovo millennio è abituata ad impiegare 3 minuti invece che 3 ore.
    Se una maestra perde un’ora ogni tanto per far funzionare la LIM…pensa al valore aggiunto ad usarla rispetto a quando si usavano solo i gessetti…

    ciao
    Daniele

    • Il senso dell’articolo è proprio questo: diventiamo ostaggio del digitale quando “lo stiamo facendo male”. E tutte le situazioni descritte sopra sono di scarsa conoscenza o consapevolezza o incapacità di cogliere le innovazioni. Mi spiace che sia sfuggito il senso vero del testo 🙂

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