IoT sotto attacco: Mirai e i suoi derivati “Made In Italy”

Mirai

Il mese di Ottobre 2016 sarà ricordato come il mese in cui “qualcuno” ha davvero fatto il take down di Internet, come già Bruce Schneier aveva preannunciato a Settembre, in un ormai famoso articolo dal titolo: “Qualcuno sta imparando a tirare giù Internet”.

E così è stato, sebbene già a Maggio i segnali provenienti da altre parti facessero rilevare che nuove tipologie di malware stavano oramai prendendo di mira telecamere IP, router e tutto quel mondo di oggetti che va sotto il nome di Internet of Things (IoT).

A dare il primo allarme in quel di Maggio è stato il gruppo dei Cavalieri di MalwareMustDie, un gruppo unico al mondo che unisce un altissimo livello tecnico nell’analisi dei malware ad una spinta ideale raramente reperibile nel mondo di oggi, ovvero la gratuità del lavoro No-Profit con lo scopo di combattere per un mondo Internet più sicuro.

Furono proprio loro a sostenere, nell’indifferenza generale, che qualcuno stava infettando le webcam e se ne accorsero tracciando e monitorando il traffico su scala planetaria.

MalwareMustDie
Figura 1. MalwareMustDie lancia l’allarme sulle Telecamere IP

Ma perché attaccare le IoT?

E, soprattutto, a che scopo? Lo scopo è quello di generare botnet sempre più potenti, con un numero di nodi infettati sempre maggiore, nodi che si muovono all’unisono come un oceano di zombie pronti ad aggredire di volta in volta un singolo bersaglio: un’aggressione compiuta allo scopo di mettere il target fuori uso mediante quello che in gergo si chiama attacco DDoS (Distributed Denial of Service).

Le botnet sono come dei cannoni che sparano “traffico” di enormi proporzioni in una direzione precisa, con lo scopo di far “scomparire” letteralmente i siti che bombardano. Le ragioni possono essere molteplici e vanno dall’estorsione all’attivismo politico di varia natura.

La scoperta di Mirai

Lo stesso gruppo di Cavalieri MalwareMustDie, proprio inseguendo la pista individuata a Maggio, scopre un mese dopo un nuovo malware e come da loro costume coniano un nome che diverrà presto famoso, anzi famigerato: Mirai.

Mirai
Figura 2. La scoperta di Mirai corredata da un’approfondita analisi sul blog di MalwareMustDie

Dalle loro analisi arguiscono che si tratta di un vecchio malware “riciclato” e riadattato, come spesso accade, per attaccare soprattutto le telecamere IP, basate su sistema operativo Linux. Queste sono oggetto di grande interesse perché hanno un lato debole essenziale: sono installate spesso senza che vengano cambiate le password di default. Inoltre sono spesso non presidiate, non sono munite di antivirus e chi le usa difficilmente si accorge che sono state infettate. Infine, anch’esse del resto sono su Internet.

Le telecamere IP quindi rappresentano i dispositivi ideali, perché le password si scoprono dopo pochi tentativi e spesso sono “admin, password123, 12345, root”. Queste sono scolpite nel codice di Mirai che prova a rotazione ciascuna di esse, fin quando non riesce a trovare quella giusta affinché il nodo infetto sia finalmente pronto per ricevere ordini e compiere azioni criminali.

Prime gesta criminali contro i nemici di sempre

Tra le azioni criminali recenti si annovera quanto accaduto a Brian Krebs, giornalista investigativo ed esperto di sicurezza, il cui sito KrebsOnSecurity è stato vittima di un attacco che lo ha reso inutilizzabile a seguito un bombardamento di traffico dalla potenza mai rilevata prima.

Akamai, azienda specializzata nella protezione dei siti web, ha dichiarato che l’attacco è stato sferrato da circa un milione e mezzo di device sparsi in tutto il mondo, asserendo che una considerevole percentuale di questi era infettata proprio da Mirai.

Mirai mapping
Figura 3. Una rappresentazione planetaria delle infezioni di Mirai

Ma erano solo le prove generali e per assistere alla prima e vera dimostrazione di forza mancava solo qualche settimana.

E come aveva profetizzato sempre Schneier – citato all’inizio dell’articolo – il bersaglio in questo caso, per “tirare giù Internet”, poteva anche essere uno dei componenti chiave della sua infrastruttura, il DNS, e cosi è stato. Il 21 ottobre molti siti sono diventati irraggiungibili: qui sono riportati i dettagli, le sequenze dell’evento e l’intensità del traffico rappresentato in una mappa che mostriamo anche di seguito.

Botnet
Figura 4. Le zone “bombardate” dall’immensa quantità di traffico delle botnet

Piccoli hacker italiani crescono: il malware Made in Italy

La scorsa settimana sempre i Cavalieri di MalwareMustDie scoprono un nuovo malware e lo chiamano IRCTelnet (“New Aidra”), rilasciando il giorno stesso un’intervista al sottoscritto.

Figura 5. Intervista a MalwareMustDie sul nuovo malware “Made In Italy”.
Figura 5. Intervista a MalwareMustDie sul nuovo malware “Made In Italy”.

La novità assoluta, in questo caso, è che all’interno del malware trovano delle frasi in italiano, le quali fanno presagire, insieme con altre evidenze, che l’autore del malware possa essere davvero italiano. Va sottolineato che questa “italianità” del malware poteva dare adito a formulazioni di nomi in codice irrispettosi per l’Italia, cosa che MalwareMustDie ha, molto professionalmente evitato di fare.

Ecco le frasi contenute nel codice binario di IRCTelnet.

Codice
Figura 6. Messaggi in italiano dimenticati nel codice del malware

Il malware IRCTelnet sembra più pericoloso di Mirai perché fa quello che Mirai non faceva, ovvero usare il vecchio schema delle botnet IRC (Internet Relay Chat) connettendo le telecamere IP infettate al sistema per chattare su Internet con tanto di “stanze”, amministratori e utenti che si connettono per chiacchierare. Quello che si dice in una stanza è “visto” da tutti gli utenti che sono connessi: se questi utenti sono i device infettati, all’amministratore della stanza basta digitare un comando perché esso possa essere ricevuto da tutti i device.

La scoperta di MalwareMustDie è notevole, ma il fatto che l’Italia sia coinvolta non è affatto una bella notizia, né è una bella notizia che, in questo caso, l’Italia sia all’avanguardia nella creazione di malware che infettano il mondo delle “cose”.

Durante la fase di analisi, il gruppo di MalwareMustDie riesce ad entrare nella stanza dove gli zombie si connettono per riceve ordini: si comporta come un device infettato registrando quello che avviene (log) ed accorgendosi dell’enorme potenziale distruttivo che si va via via accumulando.

Secondo lo studio riportato da MalwareMustDie, gli zombie connessi in pochi giorni erano già diventati circa 3.500, il che vuol dire che altrettante erano le telecamere IP infettate al momento in cui l’analisi veniva redatta. Ad ognuna di esse dalla stanza arrivavano comandi di “scansione” della rete circostante alla ricerca di altre telecamere da infettare per far crescere il numero degli zombi. Insomma, agli infettati veniva chiesto deliberatamente di ricercare ed infettare i vicini.

Una nota ulteriormente negativa viene dagli antivirus: a riconoscere il malware sono tuttora ancora in pochi e gli stessi antivirus scambiano IRCTelnet spesso con malware di altre famiglie, producendo un’azione di contrasto che spesso non è in grado di disinfettarlo opportunamente.

C’è da dire che una volta scoperta, la botnet formata con il malware IRCTelnet è stata smantellata dal suo stesso autore quando il report di MalwareMustDie è comparso sul blog: troppo clamore e i criminali hanno preferito dileguarsi e tornare nell’ombra.

Anche questo è uno degli effetti dell’azione di contrasto: possiamo dire che almeno in questo caso la consapevolezza ha neutralizzato “indirettamente” l’attacco.

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