Industry 4.0: serve una roadmap per rivoluzionare l’azienda

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Michele Dalmazzoni

Il tema della industry 4.0 non è altro che il tema della digitalizzazione declinato in un contesto specifico: quello dell’industria”. Inizia con questa precisazione la chiacchierata con Michele Dalmazzoni, Collaboration & Industry IoT Leader Cisco, che ci tiene a definire un concetto molto usato, a volte abusato, ma che costituisce uno dei pilastri dello sviluppo competitivo del Paese. “Rispetto all’accelerazione nel cambiamento tipica della tecnologia che porta a vedere completamente rivoluzionati interi settori – continua – esiste un unico tema da affrontare per le imprese: come posso riposizionare la mia azienda rispetto a uno scenario nuovo?”. Domanda che purtroppo spesso trova risposta nel progetto di cambiamento di un servizio, di un processo, di un unico, solo aspetto del tutto. “E’ necessario costruire una roadmap che porti a un cambiamento profondo dell’operatività, con il digitale come priorità legata ai modelli di business. Visto che stiamo parlando di trasformazione completa non possiamo certo pensare di essere competitivi cambiando un pezzo del tutto. E in tutto questo – afferma Dalmazzoni – la cosa probabilmente più difficile è innovare garantendo continuità operativa. Molto più facile per le startup che nascono oggi. Le aziende che hanno una storia non possono certo stoppare tutto per ricominciare una volta che si sono adeguate alla rivoluzione digitale”. Difficile insomma cambiare pelle, ma certamente non impossibile se si costruisce un percorso con priorità, risorse e tempi adeguati alla struttura.

Come cambiano i modelli di business con industry 4.0?

Stiamo assistendo a un graduale passaggio: da attenzione sul prodotto si va verso attenzione ai servizi costruiti sul prodotto. Una cosa possibile soltanto se si pensa alla possibilità di connettere i prodotti attraverso l’IoT. Spostando il modello di business sul servizio si può avere un maggior profitto possibile grazie al valore aggiunto sul prodotto e una maggior garanzia di fidelizzazione del cliente garantita dai contratti pluriennali che solitamente contraddistinguono i servizi e dai quali derivano anche una maggior penetrazione e vicinanza al cliente.
Faccio un esempio che aiuta a comprendere meglio: se ho macchinari di alta qualità che metto in connessione ho una serie di dati da poter estrarre da quei macchinari che mi consentono di fornire servizi prima inimmaginabili. Prendiamo il caso Marzocco: connettendo le macchine da caffè ho la possibilità di valutare la qualità dell’acqua utilizzata e offrire al cliente la possibilità di ricevere notifiche nel momento in cui questa diventa scadente e non consente di fare un buon caffè.
Se vogliamo fare un altro esempio possiamo dire che connettendo i nostri prodotti possiamo, sulla base delle scorte esistenti, fare offerte commerciali particolari per andare a vendere ciò che è rimasto in magazzino. E potremmo andare avanti a lungo con il fare esempi concreti.
Possiamo affermare che cambiando il modello di business si può avere un maggior ritorno sul capitale investito, ovvero porre fine ad uno dei problemi maggiori dell’industria italiana.

Quale la situazione delle industrie italiane?

La situazione è abbastanza variegata e a macchia di leopardo. Ci sono sicuramente molte aziende che fanno sperimentazione e si stanno adeguando e parlo soprattutto di quelle con propensione all’export, che lavorano su mercati in cui la concorrenza ha un livello di digitalizzazione più avanzato e devono quindi tenere il passo.
Le imprese dovrebbero fare rete e in questo i distretti industriali hanno un ruolo importante, così come lo hanno le associazioni di categoria che dovrebbero supportare in particolare le realtà più piccole dove il rischio di rimanere isolati (e quindi fuori gioco) è davvero molto alto.
Indubbiamente quelle che funzionano meglio sono le aziende o le startup con propensione alla collaborazione e quindi alla co-innovation. Imprese anche piccole ma agili e con desiderio di internazionalizzare il business.

Quali gli interventi del Governo che aiuteranno di più l’Industry 4.0?

Abbiamo apprezzato il piano presentato di recente che dimostra la volontà di dare una accelerazione. Tra le cose più importanti l’iperammortamento che prevede una percentuale del 140%, ovvero per fare un esempio, su un investimento di un milione di euro oggi potrei ammortizzarne 96.000 mentre domani 360.000.
Oltre a questo è fondamentale l’attenzione riservata alla ricerca e sviluppo oltre che al coinvolgimento dell’università.

Cosa può fare l’università?

Su questi temi più la formazione universitaria è collegata all’economia reale più esercita un ruolo importante. E’ necessario rinunciare all’avere una dimensione troppo accademica, aprirsi al confronto con le imprese e affiancare alla formazione teorica una di tipo pratico-applicativo che possa mantenere viva la parte della ricerca. Questo per evitare che una volta laureati ci si ritrovi con un patrimonio di conoscenze e competenze obsoleto.

La casa si costruisce dalle fondamenta – conclude Dalmazzoni – ed è per questo che le industrie hanno bisogno di una linea strategica che preveda la presenza di infrastrutture di rete che consentano scalabilità, accessibilità e sicurezza. E parlo di sicurezza perché il cybercrime è un settore che ha superato in mercato gli stupefacenti: questo dovrebbe farci riflettere su quanto le imprese oggi debbano proteggere accuratamente i propri asset”.

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