Processo Civile Telematico e imprese: opportunità e limiti

Il Processo Civile Telematico è praticamente a regime e il Paese, pur con qualche scossone, cerca di colmare i gap che separano la legge dalle opportunità che le nuove tecnologie offrono. La strada da fare sembra però essere ancora tanta e il continuo ritardo delle leggi sulla tecnologia comincia a non essere più una questione che affligge solo gli avvocati ma anche il ceto imprenditoriale che da diversi anni ha ormai capito che l’innovazione (tecnologica e non) è l’unica vera via d’uscita dalla crisi dell’economia e dei mercati.

Il Processo Civile Telematico funziona, ma sta invecchiando troppo velocemente. I numeri pubblicati recentemente dal Ministero sono chiari e nonostante un impianto normativo non sempre adeguato, il “sistema PCT” regge quotidianamente il peso dell’utenza professionale consentendo sia il deposito degli atti che la consultazione dei fascicoli. Il punto però è che le tecnologie su cui si fonda l’intero sistema sono ormai obsolete e, all’epoca del cloud, l’obbligo di usare, ad esempio, la PEC per i depositi non ha più senso. E’ chiaro che il sistema deputato ad amministrare la Giustizia Civile del Paese non può permettersi di cambiare ad ogni rivoluzione tecnologica ma proprio per questo la prossima piattaforma dovrebbe essere in grado di guardare lontano ed essere, contemporaneamente, efficiente e aperta alle tecnologie di futura generazione.

E sul fronte dell’impresa? Il Processo Civile Telematico è stato percepito come vera innovazione?

All’inizio certamente” – precisa Marco Coldani, Presidente dell’Associazione Italiana Commercio Chimico. “Le aziende, a prescindere dalla loro dimensione, vivono sull’efficienza e sulla velocità dei processi lavorativi interni e, in questo contesto, il risk managemet e il cashflow sono elementi centrali nella gestione dell’azienda. Quando l’esperienza milanese del PCT, prima in Italia, ha avuto inizio con l’avvio della procedura monitoria telematica, i tempi del recupero crediti sono sostanzialmente migliorati e, finalmente, si sono riallineati all’aspettativa che le imprese normalmente ripongono nel “sistema giustizia”.

Con l’andare del tempo però quel barlume di innovazione si è affievolito e ad oggi, a parte qualche buon risultato sul fronte dell’esecuzione forzata, il processo si è nuovamente staccato dalle esigenze dell’imprenditoria e, consolidati i risultati del primo periodo, non ha avuto altri miglioramenti sensibili. Forse il legislatore avrebbe dovuto proseguire nel solco tracciato all’inizio e integrare l’informatica nel processo vero e proprio intervenendo proprio sulla ritualità del giudizio in modo che potesse giovarsi appieno delle evoluzioni tecnologiche, la politica legislativa invece ha optato per una soluzione che ha visto la sovrapposizione dello strumento informatico al dato processuale cosicché, inevitabilmente, l’innovazione iniziale ha perso mordente e, in termini di tempo ed efficienza, ad oggi, non si può parlare di una vera e propria rivoluzione.

Il punto è proprio questo: la tecnologia oggi (ma anche nel recente passato) consentirebbe di rivedere profondamente le norme processuali e approntare un sistema giuridico che, nel rispetto dei principi costituzionali che governano il processo, consenta di avere maggiore certezza del diritto (e del contraddittorio), maggiore efficacia e maggiore efficienza. Il legislatore invece è intervenuto a macchia di leopardo su un impianto processuale che ha più di settant’anni e che, strutturalmente e concettualmente, non può accogliere l’avvento della tecnologia proprio perché progettato pensando soltanto alla carta e all’uomo che ne fruisce. Questo disallineamento sta moltiplicando le decisioni nel rito invece che nel merito e quando si subordina l’esercizio del diritto a formalismi che, troppo spesso, non trovano riscontro nella tutela di un principio giuridico utile, si sta sostanzialmente lasciando un cittadino (o un’azienda) senza facoltà di esercitare un proprio diritto a tutto svantaggio del Paese! Gli avvocati ormai sentono la forte esigenza di recuperare la dimensione di merito dei processi che conducono, senza dover sempre temere il colpo di coda giurisprudenziale che, sulla scorta di norme poco chiare e spesso contraddittorie, annulli il processo e obblighi a ripartire (quando si può) da capo. Spesso infatti è difficile fare da interpreti tra il mondo della Giustizia e quello della società civile e, ancor di più, dell’imprenditoria che funziona su logiche del tutto diverse.

Ed è proprio per questo – dice Coldani – che le imprese auspicano un sistema più trasparente e più accessibile. Ci sono momenti, nella vita di una azienda, in cui il futuro dell’azienda stessa è in mano all’avvocato che la difende e che la rappresenta ma, a parte la necessaria competenza tecnica che coinvolge la difesa nei processi, l’imprenditore potrebbe avere la necessità di verificare direttamente lo stato delle posizioni che lo vedono coinvolto anche, e soprattutto, nell’ambito della redazione dei bilanci e per la valutazione dei rischi. Le imprese non possono e non vogliono fare a meno degli avvocati e della loro preparazione ma alcune attività a basso valore aggiunto come, ad esempio, la consultazione dei fascicoli giudiziali dovrebbe essere agevolata. Ad oggi alcune norme sembrano addirittura consentire tale opportunità, ma nei fatti questa opportunità è rimasta lettera morta. I dati dei processi infatti costituiscono un patrimonio informativo sempre più importante e “fare business” significa anche avere la possibilità di leggere, interpretare e usare questi dati!“.

E, al di là del processo, professionisti e imprese hanno altre istanze comuni nei confronti della tecnologia e del legislatore?

Oggi la maggior parte dei servizi di cui un’azienda fa uso consiste in servizi informatici o che, per loro natura, hanno a che fare con le nuove tecnologie e in un prossimo futuro questo trend non potrà che consolidarsi. Mentre la tecnologia diventa sempre più parte della nostra vita (e di quelle delle imprese) il nostro sistema giuridico, con specifico riferimento agli istituti di merito, si è adeguato solo in pochissimi casi e tutti i contratti o le questioni giuridiche che nascono dai rapporti contrattuali che prevedono l’uso di nuove tecnologie sono pressoché lasciate all’interpretazione degli operatori del diritto. Il punto, purtroppo, è che non solo non esiste una disciplina che renda tipici alcuni contratti che hanno peculiarità tecnologiche (si pensi anche ai soli contratti di housing o di hosting) ma purtroppo il nostro ordinamento non ha ancora nemmeno sviluppato un sistema di principi che consenta all’interprete di muoversi con un buon margine di sicurezza in questo ambito.

Le imprese – puntualizza Coldani – dipendono sempre di più dalla tecnologia e dunque l’esigenza di conoscere i propri diritti e i propri doveri tutte le volte che si stipula un contratto informatico sta pian piano diventando irrinunciabile e l’alea di rischio che porta con sé un vuoto normativo può fare la differenza tra la fine di un’azienda e la sua sopravvivenza. L’accorpamento, ormai risalente, del codice di commercio nel codice civile è stata una scelta di politica legislativa per moltissimi versi discutibile e, con l’avvento delle nuove tecnologie, mantenere tale accorpamento appare ancor più anacronistico considerato che anche nell’uso dei contratti tecnologici l’approccio del mondo imprenditoriale e di quello dei consumatori sono del tutto differenti. Forse è arrivato il momento di ripensare profondamente all’impianto codicistico che governa la Nazione e certamente, questa riflessione, dovrebbe essere l’occasione per disegnare il perimetro dei nuovi diritti e dei nuovi doveri di chi stipula contratti che abbiano a che fare con le nuove tecnologie“.

Tanto è stato fatto ma c’è ancora tanto da fare insomma e le scelte normative del futuro prossimo potranno certamente segnare la strada della rinascita dell’economia e, dunque, dell’intero Paese.

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