Come stare al passo con l’evoluzione della tecnologia

Quando il sistema educativo non riesce a stare al passo con la tecnologia, il risultato è devastante per il sistema. All’epoca della prima rivoluzione industriale, questo problema – che rischiava di far fallire le aziende – portò allo sviluppo della scuola di massa. Successivamente lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione ha portato a una crescita delle università a indirizzo tecnico.

In entrambi i casi, la maggior parte del processo educativo era concentrata prima dell’ingresso nel sistema produttivo. Una situazione che oggi, con l’allungamento della vita lavorativa e la rapida evoluzione delle tecnologie, rischia di provocare un’obsolescenza delle competenze, a cui bisogna porre rimedio con una diversa organizzazione della formazione.

Il modello classico dell’educazione, concentrata nei primi 25 anni di vita, e poi affidata alla formazione aziendale e – in parte – alla buona volontà dei singoli, è inadeguato rispetto alla realtà. In pura teoria, bisognerebbe studiare un po’ di meno all’inizio, e frequentare periodicamente dei cicli di aggiornamento che ci aiutino a rifocalizzare le nostre competenze in funzione dell’evoluzione della società e delle tecnologie.

Oggi, il numero delle persone che rimangono all’interno della stessa azienda per l’intera durata della vita lavorativa è una minoranza, mentre cresce il numero di quelli che intraprendono una carriera diversa rispetto al corso degli studi.

Paradossalmente, prolungare il corso degli studi per raggiungere una maggiore specializzazione può diventare addirittura controproducente, se non corrisponde anche a una maggiore flessibilità. Infatti, quelli più specializzati tendono ad abbandonare il mondo del lavoro prima di quelli con una formazione generalista, probabilmente perché non riescono ad adattarsi con altrettanta facilità alle mutate condizioni del mercato e della tecnologia.

I ritmi del lavoro e i ritmi della vita ci lasciano sempre meno tempo per le attività al di fuori del lavoro stesso, della famiglia e della cerchia degli amici più stretti, e questo significa che spesso non abbiamo il tempo per leggere e tantomeno per studiare. Anche la formazione aziendale è penalizzata, perché il taglio dei costi in qualche caso interviene sul training mentre non tocca – per esempio – l’acquisto di software proprietario, che potrebbe essere tranquillamente sostituito da software open source.

Anzi, il passaggio al software open source aprirebbe degli spazi all’interno del budget delle aziende, che potrebbero essere reimpiegati per la formazione, sullo stesso software open source e su altri temi di attualità, come per esempio l’uso corretto delle tecnologie digitali – compresi i formati standard – che rappresentano il punto debole della maggioranza delle aziende. Infatti, la scarsa conoscenza di questi temi porta a maggiori costi (nascosti) di interoperabilità.

Un’altra opzione, anch’essa legata al principio di condivisione della conoscenza alla base del software open source, è quella dei Massive Open Online Courses (MOOC) offerti da università e altre istituzioni didattiche.

La possibilità di conseguire un titolo seguendo un corso online semplifica il compito di quei professionisti che vogliono migliorare le proprie competenze ma non hanno il tempo di farlo durante una pausa dal lavoro. Per le sue caratteristiche, però, questa soluzione è più adatta a chi ha una buona conoscenza della tecnologia, per cui non risolve il problema di quelli che hanno una ridotta dimestichezza con i computer e con la rete.

Inoltre, la maggior parte dei corsi è in lingua inglese, e questo rappresenta sicuramente una barriera in un Paese come l’Italia dove la conoscenza delle lingue straniere è limitata, e quasi sempre insufficiente per la frequenza di lezioni online.

Sicuramente, un intervento da parte delle autorità in direzione del supporto alla localizzazione dei corsi erogati con licenza Creative Commons da organizzazioni come edX, piuttosto che alla firma di protocolli con aziende che non hanno nessun interesse verso il pluralismo e la neutralità, sarebbe un segnale importante nella direzione della crescita del sistema educativo non solo nell’area della scuola dell’obbligo ma anche in quella della riqualificazione della forza lavoro già attiva.

Proviamo solo a immaginare cosa potrebbe succedere se le conoscenze delle soluzioni di produttività individuale fossero più diffuse, per quanto riguarda sia i software sia i formati standard. La scelta delle soluzioni non sarebbe legata agli effetti di un lock-in che alcuni considerano addirittura un vantaggio (perché ignorano la presenza del lock-in), ma agli aspetti tecnici delle soluzioni stesse, che porterebbero a un riequilibrio delle quote di mercato dei diversi software e a una maggiore diffusione degli standard.

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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