Poche donne ai vertici delle grandi compagnie dell’hi-tech? “La causa è biologica” ha scritto in un documento che sta facendo il giro dei media Usa un programmatore Google. Le donne, si legge, avrebbero una “apertura indirizzata verso i sentimenti e l’estetica piuttosto che verso le idee“, quindi “preferiscono lavori in ambito sociale o artistico”. Stereotipo duro a morire evidentemente e rinverdito nonostante la smentita della vice presidente di Google Danielle Brown che ci ha tenuto a far sapere che questo punto di vista non è appoggiato, promosso, incoraggiato dalla società. “Cambiare una cultura è difficile, spesso scomodo”, ha scritto. Eliminare gli stereotipi è dunque impossibile? Ne abbiamo parlato in questa intervista doppia con Giovanna Pezzuoli e Luisella Seveso, curatrici della pubblicazione 100 donne contro gli stereotipi.
Cosa significa oggi parità di genere? Perché capita, parlando di questo argomento, di essere subito etichettate (anche dalle donne) come femministe fuori tempo?
Giovanna Pezzuoli: L’eliminazione delle diseguaglianze fra i sessi è un obiettivo sicuramente non ancora raggiunto, per il quale ritengo sia giusto battersi, anche se sono un po’ allergica a parole come “parità di genere”, “pari opportunità”, perché mi sembrano inadeguate a esprimere la ricchezza e complessità di un pensiero femminile radicato nella nostra specificità. Oggi il nuovo protagonismo delle donne (mi riferisco alla “terza ondata” del femminismo, dalla straordinaria Women’s march alla mobilitazione di “Ni una menos”) va di pari passo con una diffusa diffidenza nei confronti di questo tipo di rivendicazioni, soprattutto da parte di donne giovani che svolgono lavori qualificati. Si sentono in tutto e per tutto pari agli uomini e vivono come una diminutio o un inutile vittimismo l’insistenza sulla disparità. Per esempio, sono le più ostili alla declinazione femminile dei nomi, un obiettivo per cui noi di GiULiA ci siamo a lungo battute: si sentono “avvocato”, “medico”, “prefetto” perché amano quel sostantivo maschile, come fosse il vessillo di un fortino conquistato, senza rendersi conto che vi è nascosta l’accettazione di un modello che alla lunga le danneggia. Certo molti stereotipi negli ultimi venti/trent’anni hanno banalizzato il femminismo. Basta ricordare l’enorme seguito avuto dalla campagna women against feminism lanciata nel giugno del 2014 con #we don’t need feminism because. E, paradossalmente, i motivi erano assolutamente condivisibili: non ho bisogno del femminismo perché non odio gli uomini, perché essere una donna non è uno svantaggio, perché ho la mia opinione, perché non mi sento una vittima…
Luisella Seveso: Parità di genere non è un principio che possa cambiare nel tempo. Io sono convinta che il senso è proprio quello che le parole ci indicano: che parità ci deve essere per tutte e tutti in ogni ambito, lavorativo e privato. Questo naturalmente non avviene, e se apparentemente le opportunità delle donne oggi sono paritarie rispetto a quelle degli uomini, (certamente negli ultimi 50 anni molte cose sono cambiate, ci mancherebbe, ma non moltissime) ci sono ancora abissi di ineguaglianza a tutti i livelli da colmare. Vogliamo parlare della differenza di retribuzione a parità di lavoro, che è una delle vergogne inspiegabili? Vogliamo parlare dell’inesistenza della conciliazione nei rapporti familiari tra uomo e donna, dove la conciliazione non dovrebbe essere intesa, come invece si fa, nel far quadrare il cerchio tra tempi di lavoro e incombenze familiari da parte delle donne, ma nella divisione dei compiti tra uomo e donna? Vogliamo parlare, ed è il punto su cui abbiamo incentrato il nostro progetto 100 esperte, dell’invisibilità delle tante prestigiosissime scienziate (ma anche economiste, storiche, politologhe) che vantano successi importanti nel proprio ambito di ricerca e che sono regolarmente ignorate dai media, spesso avversate dall’accademia maschilista nelle loro giuste aspirazioni professionali? Tutta la nostra cultura è ancora intrisa di stereotipi sessisti che si fatica non solo a superare, ma anche a individuare. Chi indica le donne che si battono per questi principi come femministe fa bene, se essere femministe vuol dire impegnarsi per far cambiare le cose. Non mi offenderei proprio, anzi! Se lo si ritiene un’offesa è perché lo si legge in un modo, anche qui, stereotipato, che richiama il passato ed alcuni eccessi peraltro, dal mio punto di vista, inevitabili in un contesto di forte trasformazione. Un passato grazie al quale (va ricordato perché nulla è mai acquisito per sempre, specie nel campo dei diritti), anche le donne di oggi possono sentirsi più libere.
Quale il ruolo dei social, dove le donne sono presenti in parità ma probabilmente senza riuscire a cogliere le opportunità di questi strumenti?
Giovanna Pezzuoli: Dell’abuso dei social e delle trappole della Rete si parla ogni giorno, dal bullismo virtuale agli hate speech, dalle bufale ai troll che non di rado prendono di mira proprio le donne, ma ci sono anche opportunità. Durante un recente incontro alla Casa delle donne di Milano si è parlato di esperienze di donne utenti e protagoniste attive nelle comunicazioni sul web, un realtà legata alla diffusione dei blog, come alla cultura Lgbt e al mondo delle professioni, ambito dove agisce anche la nostra banca dati on-line 100esperte.it. Due piccoli esempi, la storia di Claudia De Lillo (Elasti) che quasi per gioco apre un blog anonimo dove raccontare la sua storia di mamma che lavora, scoprendo poi che la Rete può offrire un meraviglioso spazio di rinascita professionale: oggi ha 15mila followers su Facebook e un blog visitato da 8mila persone al giorno. E quella di Sofia Borri, che ha dato vita a workHer, una piattaforma digitale pensata per le donne che hanno bisogno di supporto, contatti e conoscenza, cercando un primo lavoro o volendo reinserirsi dopo un periodo di lontananza. WorkHer in due anni di vita ha più che raddoppiato le proprie iscritte, raggiungendo oggi 5mila utenti, mentre la pagina Facebook registra 12mila fan.
Luisella Seveso: Il ruolo dei social rispecchia in un certo senso la realtà non digitale: anche qui, se parliamo di “cogliere le opportunità” succede spesso che le donne si fermino prima di arrivare ad utilizzare al meglio questi media. Un atteggiamento rinunciatario che si evidenzia in molti passaggi della carriera, e in molte scelte di vita. Quasi sempre le donne sono frenate da una insicurezza spesso indotta dall’ambiente, dalle famiglie o dalla società più in generale, che non le sostiene nelle scelte ritenute (del tutto ingiustamente) più maschili. Come lo studio delle materie scientifiche, o dell’informatica. Un esempio: quando si pensa alla figura dell’informatico, si pensa ad un uomo. Il Nerd è nella visione stereotipata comune, un ragazzo con gli occhiali, mago della navigazione e del web. Non una ragazza. C’è una cosa interessante a questo proposito, un progetto avviato nelle scuole da una delle nostre 100 esperte, Paola Velardi, che ha creato Nerd (Non E’ Roba per Donne? E invece sì!) per incoraggiare le ragazze (che sono più brave dei maschi, nei licei e all’Università) ad entrare nella rete e a studiare informatica. Sostiene Velardi, tra l’altro, che l’informatica è una tra le materie più creative e interdisciplinari, adattissima al pensare femminile. Il progetto NERD ha avuto ottimi risultati tra le studentesse che hanno partecipato. A volte basta provare per sfatare certi stereotipi.
L’iniziativa 100 donne contro gli stereotipi fa intuire che questi si possano combattere con controesempi. Ma è davvero così facile? Quali secondo voi gli stereotipi che più di altri penalizzano le donne? Come combatterli?
Giovanna Pezzuoli: Il nostro è un piccolo passo in avanti, ma crediamo nella politica dei piccoli passi! I cosiddetti role model, i modelli positivi funzionano per le ragazze che possono vedere i traguardi importanti raggiunti da tante scienziate, astrofisiche, chimiche, biologhe oncologhe, informatiche, capaci di grande determinazione ed entusiasmo. E capire anche che l’impegno professionale e la dedizione alla ricerca non sono incompatibili con una vita familiare ricca e soddisfacente. Questo l’abbiamo scoperto anche noi intervistando 15 scienziate scelte fra le 100, un’esperienza davvero nuova e coinvolgente. Gli stereotipi che penalizzano le donne sono tantissimi, alcuni palesi, come la loro sistematica umiliazione attraverso dettagli non pertinenti che ne sottolineano la prerogativa di oggetti gradevoli e/o sessualmente interessanti; altri subdoli, sottili. E in fondo sono questi i più pericolosi. Mi viene in mente un brevissimo filmato di Francesca Archibugi che s’intitola “Giulia ha picchiato Filippo”. Sarebbe da far vedere in tutte le scuole: Giulia è una dolcissima bambina bionda che un giorno alla scuola materna si ribella ai sistematici soprusi del coetaneo Filippo e appunto lo picchia. Apriti cielo…genitori a rapporto, un vero scandalo!
Luisella Seveso: L’esempio fatto prima ha risposto in parte alla domanda. Per proseguire col discorso, dico che no, non è facile per niente, è un lavoro culturale faticoso e immane. Il nostro è un piccolo passo, ma se ne sentiva il bisogno, anche visto il successo che ha ottenuto. Anche perché siamo immersi negli stereotipi sessisti, in tv, pubblicità, a scuola (!) in famiglia, e se si osserva con più attenzione ci si accorge che a partire dai giochi, dai colori, dagli atteggiamenti familiari che tendono a perpetrare questa divisione di ruoli a svantaggio delle donne, tutto rema contro. Faccio un esempio piccolo, che cito spesso perché mi ha indispettito molto: per mesi in tv è passata la pubblicità di una grande immobiliare dove ad alcuni bambini si chiedeva di scegliere la propria casa ideale: la bambina, vestita come la principessina delle favole, chiedeva una casa “tutta bianca e rosa”, i maschietti “una casa nella jungla” o “nello spazio “…insopportabile! Lui spinto all’avventura e lei chiusa nel castello…Nessuno ha protestato, ed è stata lanciata proprio mentre Samantha Cristoforetti era in orbita intorno alla terra….quindi le donne ce la possono fare ma la cultura in cui siamo immersi continua a negarlo! Come dice Monia Azzalini, la nostra terza partener del progetto, gli stereotipi sono come le polveri sottili: sono dappertutto, ti fanno male e nemmeno te ne accorgi.
Quale la storia che più vi ha colpite e quale la morale che avete dedotto e che potrebbe supportare altre donne?
Giovanna Pezzuoli: Tutte le storie raccolte sono belle ed emozionanti, ma in particolare mi hanno colpito il senso di responsabilità e l’umanità di Paola Inverardi, docente di informatica e rettrice a L’Aquila, che ha vissuto come uno “spartiacque” l’esperienza del terremoto del 2009. Dei cinquantacinque studenti morti, cinquantaquattro erano fuori sede, cioè avevano proprio scelto di andare a l’Aquila a studiare. E questo fatto, al di là della commozione, la caricava di responsabilità: il futuro di queste ragazze e ragazzi era nelle sue mani, un grande stimolo per fare al meglio il suo lavoro. Di lei mi ha anche colpito la consapevolezza: mi ha raccontato di non aver avuto figli ma di averne capito il motivo solo in tarda età, quando cioè ha realizzato che era il perfetto frutto di un condizionamento sociale, di genere. Fin da piccola infatti aveva interiorizzato il fatto che i figli fossero inconciliabili con il tipo di vita che voleva fare. In altre parole non ha potuto scegliere, per una mancanza sociale che oggi l’accomuna a molte altre donne.
Luisella Seveso: Scrivendo il libro 100donne contro gli stereotipi per la Fondazione Bracco che (insieme alla Commissione Europea) ci ha sostenuto e ci sostiene con grande passione, io e Giovanna abbiamo intervistato alcune tra le scienziate entrate nel database. Un’esperienza bellissima, perché ho conosciuto donne di straordinaria intelligenza, empatia, carattere. Ecco, il carattere e la voglia di farcela sono state le due costanti nei racconti della loro carriera, costellate di ostacoli e spesso di ingiustizie, ma anche di momenti di somma soddisfazione, nonostante tutto. Tra le tante, davvero piacevolissime scoperte, forse quella che più mi ha colpito è Simonetta Di Pippo. Donna non facile, di grande carisma, affascinante. Mi ha colpito intanto perché ha realizzato per noi un video bellissimo in cui spiega il perché della sua adesione a 100 esperte. Poi perché fa un lavoro prestigioso e insolito davvero: è responsabile degli affari extra atmosferici dell’Onu. E infine perché, dopo aver studiato e lavorato e ottenuto ciò che voleva, (tra l’altro è stata la prima donna a dirigere l’Esa nel 1975), ha creato una associazione, “Women in Aerospace Europe” che mette in contatto le giovani scienziate con le senior, per creare una rete di contatti e di legami che possono essere d’aiuto nella carriera. Il progetto intende diventare mondiale. Un modo per valorizzare delle role model utilissimo alle più giovani. E per creare una rete di sorellanza importantissima. Va detto, un 10 per cento degli iscritti è composto da maschi: le donne non li vogliono combattere, insieme è meglio. In definitiva, più che una morale, un’esortazione: ragazze, abbiate coraggio, siete brave, potete arrivare dove volete. Se ci credete, e lo abbiamo verificato con queste scienziate, ma mille altre ci sono, non vi ferma nessuno.
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