Di Isiamed, sovranità digitale ed universi ingenui

C’è del buono nella vicenda della IsiameD.

Certo, bisogna cercarlo con grande attenzione, ma c’è del buono. Per aprire questo 2018 all’insegna di un ottimismo che farebbe invidia anche al Candide di Voltaire non possiamo non vedere il buono che c’è in questa faccenda.

Ormai per i più non vi sono molti dubbi sul fatto che sia una marchetta. Peraltro con denominazione di origine controllata, visto che è stata definita tale da un Senatore della maggioranza di Governo. Non una marchetta normale quindi, ma addirittura una marchetta DOC. Qualche maligno potrebbe asserire che non c’è molta differenza, ma si sa che di maligni è pieno il mondo.

E d’altro canto solo un maligno noterebbe che il segretario generale dell’IsiameD è (stato) Antonio Loche, già Direttore Generale di un altro “storico” istituto italiano, l’Ipalmo: Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente. E lo stesso maligno farebbe notare che ai tempi dell’Ipalmo il vicepresidente dell’istituto era Gian Guido Folloni, che sarebbe poi stato Ministro per i Rapporti con il Parlamento del primo Governo D’Alema e che oggi è Presidente dell’IsiameD. E chi era Presidente dell’Ipalmo quando Gian Guido Folloni ed Antonio Loche erano segretario e videpresidente? Nientepopodimeno che Gianni De Michelis. Ed ecco ricostruito il “giro del fumo”, potrebbe dire il solito maligno. Perchè Ipalmo ed IsiameD altro non sono che due dei tanti Istituti gloriosi e per lo più talvolta inutili della galassia di strutture finanziate negli anni della Prima Repubblica dai Governi che nel tempo si sono avvicendati al potere. Istituti e strutture che, nel caso dell’ecosistema di Gianni De Michelis, si occupavano a vario titolo – e con obiettivi che neanche il succitato Candide riuscirebbe a definire meno che fumosi – di politica euromediterranea.

Ma i tempi cambiano.

Centri Studi, Associazioni ed altri strumenti di gestione poco trasparente della spesa pubblica, spesso collegati al sistema delle Ambasciate, degli Istituti di Cultura ed ai loro corollari, talaltra basate su Strutture di Missione create ad hoc (lo stesso Gianni De Michelis ha avuto a che fare con la nonna di quella attualmente guidata da Diego Piacentini) hanno subito una stretta significativa (anche se non sufficiente). Si è reso quindi necessario identificare nuovi metodi per gestire vecchi processi. Ecco quindi che il “glorioso” Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo si evolve. Crea una srl associandosi con Pier Domenico Garrone, un “professionista della comunicazione” (definizione sua) che si occupa di Web Reputation (il che forse spiega come mai tanto il sito dell’Ipalmo che quello dell’Isiamed siano scomparsi da Internet). Una srl che dice di occuparsi di innovazione (che va di moda). E che, direbbe il solito maligno, alla luce dei fatti sembra quasi voler fare del modo di acquisire fondi pubblici senza procedure di gara la prima innovazione della quale occuparsi.

Il testo in Gazzetta Ufficiale nel quale si assegnano 3 mln di euro all’istituto IsiameD

Certo, l’isiamed di cui parla la Gazzetta Ufficiale è un Istituto senza fini di lucro fondato nel ’74 e l’Isiamed della quale Gian Domenico Garrone è “senior partner” è una srl fondata nel 2016, ma sono particolari che solo un maligno evidenzierebbe. E solo un maligno potrebbe non condividere la ricostruzione pubblicata sul Corriere delle Comunicazioni a firma dello stesso Garrone, che afferma la necessità di un “modello digitale italiano nei settori del turismo, dell’agroalimentare, dello sport e della smart city”. Un modello che sia “funzionale a ristabilire la sovranità digitale del parlamento…qualsiasi cosa questa ultima frase voglia dire. Ma ragionare di significato ha poco senso, se si pensa che nella stessa ricostruzione Garrone se la prende con le società di software, colpevoli di voler vendere software senza risolvere i problemi delle aziende – cosa peraltro talvolta non lontana dal vero – e non si ricorda che il codice ateco della sua startup “Isiamed Digitale s.r.l.” – finanziata con tre milioni di seed governativo sancito in Gazzetta Ufficiale – è proprio quello di una società di software (anche se il mistero rimane fitto sul cosa faccia effettivamente).

Soltanto un maligno potrebbe pensar male guardando alla confusione che si sta facendo e si farà tra una associazione senza fini di lucro ed una società di capitali posseduta dalla stessa associazione, oltre che dal suo ineffabile “senior partner”. E poco importa se la saggezza popolare afferma che a pensar male si fa peccato…

Insomma: ci vorrebbe davvero tanta malignità, ed abbiamo detto che nel 2018 dobbiamo essere ottimisti e da questa faccenda dell’IsiameD dobbiamo trarre il buono. E il buono c’è. Di buono c’è che questa faccenda mostra il volto ingenuo di un mondo, quello di chi si occupa di digitale, capace ancora di indignarsi per fatti che in altri contesti sono dati per scontati, non stupiscono perchè rappresentano la norma, non destano scalpore perchè “tutti lo fanno”. Perchè – questo va detto e sottolineato – il problema con la IsiameD non è di merito, è di metodo.

La Sen. Magda Angela Zanoni
La Sen. Magda Angela Zanoni

Nel merito è tutto fatto probabilmente secondo la normativa vigente. Non c’è nessun illecito. Ha buon gioco la Senatrice Magda Zanoni (ricordiamocela, alle prossime elezioni) a dire che è stato fatto tutto “alla luce del sole”. Perchè non serve fare le cose di nascosto quando certi processi, taluni modi di operare, alcune azioni sono prassi consolidata. Nel merito la IsiameD non è l’unica né la più scandalosa posta di bilancio pagata dai cittadini in un bilancio pubblico che nelle sue pieghe nasconde da sempre decine e decine di milioni di euro elargiti ad Istituti, Associazioni, Enti e simili in maniera del tutto legale. In una equa distribuzione che copre amici ed affini di tutto l’arco parlamentare. Nel merito tutto è a posto. Ma è nel metodo, un metodo politico, che il Re è nudo. E se fossimo così accorti da evidenziare la nudità del Re anche per tutti quei contesti che vanno al di là del digitale, quelle situazioni, quelle “prassi consolidate” che nascondono meccanismi di controllo del potere, marchette, piccole e grandi prebende gestite tra gruppi di amici che si conoscono da decenni, forse l’Italia sarebbe un Paese migliore.

Quindi, visto che nel 2018 dobbiamo essere ottimisti e cercare il buono nelle cose, di buono c’è che la IsiameD ha forse aperto uno spiraglio in quello che se fosse scoperchiato sarebbe un vero e proprio vaso di Pandora. La Rete ci da la possibilità di reagire: che lo si faccia nelle camere dell’eco dei social media ed attraverso i media mainstream, sui giornali e sui siti di informazione. Ma che lo si faccia davvero. E non per invidia. Questo è l’augurio più importante per il 2018 che è appena cominciato. Che si passi da una indignazione acritica ed indistinta che passa anche per i pochi euro l’anno dei sacchetti di plastica ad un’attenzione diffusa e costante sul come vengono spesi i nostri soldi. È – questo – uno dei pilastri portanti di quell’Open Goverment di cui tanto si è parlato finché non si è notato che forse, visto che il potere logora chi non ce l’ha, era più conveniente avvicinarvisi che contrastarlo.

Se dobbiamo trovare il buono della storia dell’IsiameD riflettiamo sul fatto che probabilmente non è casuale che a fare scalpore sia stato proprio – tra i tanti – un finanziamento dato nell’ambito dell’innovazione. Un ambito tutto sommato ancora povero rispetto ad altri, ma che è popolato da persone che forse – ancora oggi – hanno il coraggio di scandalizzarsi. Un mondo forse ingenuo, ma che riesce ancora a vedere quando il Re è nudo.

Con le mille IsiameD italiane dobbiamo porre la questione su un piano che non è di merito ma di metodo: di metodo politico. Poiché se anche è certo che tutto sia stato fatto a norma di legge, è altrettanto certo che – per quanto si possa essere ottimisti – non c’è ottimismo che regga dal gridare allo scandalo per quello che è successo.

Ed è la responsabilità politica quella che va stigmatizzata. Una responsabilità che i decisori – politici – devono pagare politicamente. E che è responsabilità della società civile evidenziare.

 

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